Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17158 del 28/03/2018

Cassazione penale, sez. II, 28/03/2018, (ud. 28/03/2018, dep.17/04/2018),  n. 17158

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Con ordinanza del 22/9/2017 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta disponeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di L.G. in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p. per avere il L. partecipato all’associazione mafiosa, in particolare all’articolazione territoriale di Gela, facente capo a ai fratelli R. e nella specie diretta da R.S., “offrendo ogni utile supporto per favorire l’infiltrazione dell’associazione nel tessuto economico di attività con le quali riciclare i proventi illeciti” ed inoltre, al capo aa), per la detenzione di un’arma comune da sparo, reato aggravato dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame l’indagato contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

1.2. Il Tribunale di Caltanissetta, sezione del riesame, con ordinanza del 30/10/2017, accoglieva l’istanza con riguardo al delitto di cui al capo aa) ritenendo il quadro indiziario, fondato su una sola conversazione intercettata, insufficiente a ritenere sussistente l’ipotesi di reato contestata e respingeva nel resto l’istanza proposta, confermando l’ordinanza impugnata.

2. Ricorre per Cassazione l’indagato, sollevando i seguente motivi di ricorso: violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 273 c.p.p. e art. 416 bis c.p..

Si duole, in particolare, della ritenuta sussistenza del reato associativo pur avendo la difesa rappresentato la carenza del dato organizzativo dell’associazione, presupposto essenziale per ritenere sussistente la condotta partecipativa del L. la cui attività si sarebbe limitata a favorire non già la associazione nel suo complesso, ma un singolo soggetto ovvero R.S., amico d’infanzia del L., per cui non sarebbe dimostrato l’inserimento del ricorrente nella compagine associativa contestata posto che per giurisprudenza costante, le semplici frequentazioni per parentela, affetti comune estrazione ambientale o sociale per amicizia, possono essere al più configurate quali motivi di sospetto ma, se non supportati da elementi di riscontro, non possono essere valorizzati quali prove nemmeno indirette o logiche.

3. Quanto poi alla partecipazione del L. all’associazione mafiosa, il ricorrente sottolinea che le intercettazioni poste a base della ricostruzione della vicenda relativa all’acquisto di un autoarticolato da parte di G.C., sponsorizzato dal R., presso la società riconducibile al ricorrente (la Do Li car di Gela) ed alla vicenda M., relativa alla esecuzione di alcuni lavori di sbancamento poi eseguiti da altri soggetti, avrebbero un contenuto neutro, non risultando dalle stesse un ruolo dinamico e funzionale svolto dal L. all’interno della consorteria.

Con memoria depositata il 20/3/2018 il ricorrente sottolinea la carenza della gravità indiziaria in ordine al reato associativo avuto riguardo sia alla ritenuta – “messa a disposizione”, sia al contributo apportato al sodalizio criminoso. Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

1.1. E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame sulla libertà personale. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità è, quindi, circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146/1995, Rv. 201840; Sez. 2 56/2011 rv. 251760; Sez. 2, 9212/2017, rv. 269438). Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda nè la ricostruzione di fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice dì merito.

2. Nel caso di specie il Tribunale del Riesame ha giustificato la propria valutazione degli elementi indiziari, relativi alla sussistenza della ipotizzata associazione mafiosa ed al ruolo rivestito dall’odierno indagato, con motivazione dotata di logica coerenza e linearità argomentativa, che come tale, per le ragioni dette, si sottrae a censure nella presente sede di legittimità.

2.1. I giudici di merito hanno riscontrato le ipotesi accusatorie sulla base di una analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine, rappresentati dalle numerose conversazioni, anche ambientali, intercettate, spesso riportate per stralci, unitamente agli esiti di una complessa attività investigativa condotta attraverso servizi di controllo e osservazione.

Alla luce di tali plurime emergenze investigative risultano compiutamente prese in esame tutte le prospettazioni difensive, in questa sede reiterate ed oggetto di ricorso, le quali sono state confutate alla stregua di considerazioni che risultano puntuali e coerenti sul piano logico e corrette da un punto di vista giuridico, di tal che le critiche mosse dal ricorrente, lungi dall’evidenziare profili di evidente illogicità o carenza argomentativa, si risolvono nella prospettazione dell’esistenza di diverse chiavi di lettura, le quali però non si impongono rispetto a quella avversa con carattere di oggettività e univocità e non possono pertanto trovare ingresso in questa sede, tanto più in quanto caratterizzata da criteri valutativi più fluidi ed elastici propri della fase cautelare.

2.3. Tanto precisato, nel caso in esame va osservato che il Tribunale del riesame, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non ha affatto omesso di considerare il profilo indiziario relativo al reato associativo di stampo mafioso, ma ne ha evidenziato gli elementi strutturali ed il modello operativo richiamando la storia criminale del sodalizio mafioso facente capo ai fratelli R. che, dopo la scarcerazione di R.S., andava ricostituendosi attorno alla sua figura e riprendeva vigore, infiltrandosi, come già dimostrato dalla richiamata storia giudiziaria, nel tessuto economico e sociale anche in aree distanti dalla Sicilia, avvalendosi di imprenditori, professionisti ed appartenenti alle istituzioni, collusi, riciclando nelle e tramite le imprese mafiose i proventi dell’attività di commercio dello stupefacente, i proventi delle altre attività illecite realizzate mediante l’intimidazione violenta e di natura estorsiva finalizzata a garantire il controllo del territorio.

Il Tribunale ha esaustivamente adempiuto al proprio onere motivazionale in ordine alla sussistenza del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., richiamando le precedenti decisioni giudiziarie utilizzate come dato storico ed evidenziando l’identità soggettiva dei vertici, l’identità di strategia operativa, nonchè l’utilizzo della metodologia mafiosa nello svolgimento di attività d’impresa caratterizzata dall’ ingerenza del boss quale intermediario e sfruttando il L. la sua posizione per ottenere commissioni, in un’ ottica di reciproco supporto funzionale all’infiltrazione di Cosa Nostra nel tessuto economico.

3. L’apporto del L., a prescindere dalla risalente amicizia con R.S., si è sottolineato, non si limitava al conferimento al sodalizio di un contributo episodico e temporalmente limitato, finalizzato all’attuazione di propri obiettivi estranei agli scopi del sodalizio criminoso; detto apporto, invece, alla luce delle emergenze investigative acquisiste, era funzionale agli interessi dell’organizzazione criminale e volto, nello specifico, alla infiltrazione dell’associazione nel tessuto economico legale di attività con le quali riciclare i proventi dell’attività illecita.

Nel provvedimento sono riportate analiticamente intercettazioni telefoniche che danno atto di tale contributo anche per ciò che concerne l’attività di riscossione di crediti con metodi estorsivi (vicenda Cosenza), oltre che del rapporto fiduciario che legava il L. al R. (vicenda G. e Lu.).

In conclusione, si è ritenuto che, a livello di gravità indiziaria, fosse emersa un’attività posta in essere dal ricorrente di cooperazione nel perseguimento degli scopi del sodalizio costituiti dal conseguimento di ingiusti profitti derivanti dallo svolgimento di attività imprenditoriale in regime di favore grazie alla “persuasione mafiosa”, in grado di alterare le regole della concorrenza di mercato, consentendo in questo modo al sodalizio di accrescere la propria capacità economica e quindi consolidare la propria presenza criminale sul territorio.

In particolare l’esito di attività di intercettazione permetteva di ricostruire il coinvolgimento del L. (che quale imprenditore operante nel settore degli autotrasporti aveva collaborato per lungo tempo con D.M., già condannato per associazione mafiosa nel periodo di gestione comune dell’azienda), nell’affare che R. intraprendeva con G.C. titolare dell'(OMISSIS), ditta considerata impresa mafiosa, per avviare il mercato del pesce in Germania, nella vicenda relativa alla assunzione in nero, di Lu.Gi. parente del R., presso l’impresa del L., nella vicenda relativa alla coinvolgimento del L. in alcuni lavori da eseguirsi in Palermo grazie all’intercessione del R., presso M.A., esponente mafioso palermitano.

Trattasi di elementi indiziari correttamente ritenuti significativi della compenetrazione del L. nel sodalizio criminoso che il ricorrente censura attribuendo alle intercettazioni un significato “neutro”, a suo avviso non conducente verso la ritenuta partecipazione all’associazione mafiosa.

Va rammentato allora che, in tema di intercettazioni telefoniche, la interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (S: Unite 2247/2015, Rv. 263715; Sez. 2 50701/2016, Rv. 268389).

Con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, dunque, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del contenuto delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo dei colloqui intercettati; in questo caso, ben potendo il giudice di merito fondare la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni. Alla stregua delle indicate linee interpretative, dunque, le censure del ricorrente si risolvono in una richiesta di incursione nel meritum causae, non consentito – come tale – in sede di legittimità.

All’inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto, al pagamento delle spese del procedimento nonchè al pagamento in favore della cassa delle ammenda della somma di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempienti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2018

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