Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17154 del 05/04/2016


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Penale Ord. Sez. 1 Num. 17154 Anno 2016
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

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sul ricorso proposto da:
RINALDI BIAGIO N. IL 03/02/1971
avverso la sentenza n. 51271/2015 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 09/02/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
jt(e/sentite le conclusioni del PG Dott. 01,f, -t921
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Udit difensog.Avv.;

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I CA

Data Udienza: 05/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Biagio Rinaldo avanza istanza di remissione in termini per
poter partecipare all’udienza in camera di consiglio davanti a questa Corte,
originariamente fissata davanti alla Quinta Sezione penale per il giorno
9/2/2016, deducendo di essere stato indotto in errore dall’indicazione dell’ora
dell’udienza – le 19 1 00 – presente nel decreto di citazione, di essersi presentato
e di avere compreso solo dall’impossibilità di accedere all’Aula che, in realtà,

Il difensore chiede la fissazione di una nuova udienza.

2. Il Presidente ha disposto che il ricorso venisse qualificato ai sensi dell’art.
625 bis cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In effetti, quella disposta dal Presidente era l’unica qualificazione possibile
del ricorso, non essendo configurabile un’istanza di restituzione nel termine con
riferimento ad un’udienza che la Corte di Cassazione ha già celebrato e che si è
conclusa con la pronuncia di una sentenza.

Si deve rilevare che il difensore non deduce la sussistenza di una nullità
della citazione, ma solo il sorgere di un “equivoco” in ordine all’orario della sua
fissazione.
Ma la giurisprudenza di questa Corte formatasi sull’ipotesi più grave quella, appunto, di una nullità assoluta verificatasi nel giudizio di legittimità – è
ferma nel negare ad essa ogni rilevanza: si è infatti ripetutamente affermato
che, se nel giudizio di rinvio è precluso il rilievo di ogni nullità, anche assoluta,
verificatesi nei precedenti giudizi, ivi compreso quello di legittimità, in virtù della
disposizione contenuta nell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 1595
del 16/12/2014 – dep. 14/01/2015, Borrelli, Rv. 261979; Sez. 5, n. 39205 del
09/07/2008 – dep. 20/10/2008, Di Pasquale e altri, Rv. 241697), la sentenza
resa dalla Corte di cassazione è impugnabile solo con il ricorso straordinario per
errore materiale o di fatto di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen..

Nel ribadire il predetto principio, una recente sentenza di questa Corte (Sez.
6, n. 53415 del 22/10/2014 – dep. 22/12/2014, Scuotto e altro, Rv. 261836) ha
sottolineato che “d’altra parte, la preclusione scolpita nell’art. 627, comma 4,
cod. proc. pen. costituisce naturale corollario della inoppugnabilità delle sentenze

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l’orario era da intendersi come le ore 10’00.

della Corte di cassazione, che – salvo non contengano errori materiali o di fatto
emendabili con il mezzo straordinario di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen. coprono il dedotto ed il deducibile e, quindi, anche l’implicita decisione negativa
in ordine all’esistenza di eventuali cause di nullità, di inutilizzabilità o di
inammissibilità.
Come ha osservato la Corte Costituzionale nel dichiarare manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 627, comma 4, cod.
proc. pen. in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, e

anche assolute, verificatesi in precedenti fasi o gradi del giudizio, “la norma
denunciata risulta pienamente rispondente all’obiettivo di evitare la
perpetuazione dei giudizi che costituisce un interesse fondamentale
dell’ordinamento e che risponde alla logica che ispira il sistema delle
impugnazioni ordinarie rispetto alla quale è incompatibile un controllo del giudice
del rinvio circa la sussistenza o meno di vizi in procedendo nella fase del giudizio
svoltasi dinanzi alla Corte di cassazione”. Ed invero, “è connaturale al sistema
delle impugnazioni ordinarie che vi sia una pronuncia terminale – identificabile
positivamente in quella della Cassazione per il ruolo di supremo giudice di
legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione (art. 111, comma 7) – la
quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al
fine di dare certezza alle situazioni giuridiche controverse e che, quindi, non sia
suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso” (C. Cost., ord.
del 17/11/2000, n. 501). Nello stesso senso si era, del resto, già pronunciato il
giudice delle leggi nel ritenere non fondata, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
e art. 101 Cost., comma 2, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384
cod. proc. civ., nella parte in cui prevede la soggezione del giudice di rinvio al
principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione anche nell’ipotesi in cui
una delle parti non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà,
esercitare in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità. Al
riguardo la Corte Costituzionale ha difatti evidenziato che il principio della
definiti vità delle sentenze della Corte di Cassazione – preclusivo, salvo i rimedi
straordinari, dell’ulteriore riesame di ogni questione di rito o di merito – è
espressivo dell’esigenza di certezza circa i rapporti giuridici controversi,
costituzionalmente protetta in quanto direttamente collegabile alla effettività del
diritto alla tutela giurisdizionale; che da tale inoppugnabilità consegue che il
vincolo derivante al giudice di rinvio dall’affermazione del principio di diritto
contenuto nella sentenza di cassazione non può essere rimosso, in assenza della
formale caducazione della sentenza medesima, a seguito di un inammissibile
controllo da parte dello stesso giudice di rinvio, sulla sussistenza o meno di vizi

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art. 112 Cost., nella parte in cui impedisce di rilevare nel giudizio di rinvio nullità,

”in procedendo” nella fase del giudizio di legittimità; che, comunque, il vizio
costituito da assoluta violazione del principio del contraddittorio nel corso di tale
giudizio – ove non rimediabile attraverso lo strumento della revocazione ex art.
391 bis cod. proc. dv. – potrebbe essere rimosso soltanto attraverso la
previsione di idoneo mezzo straordinario di impugnazione che rientra nelle
attribuzioni discrezionali del legislatore (C. Cost. sent. 26/6/1996, n. 224)”.

2. Se, quindi, la qualificazione del ricorso ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc.

che, all’udienza odierna, il difensore si è associato a tale qualificazione disposta
dal Presidente e ha insistito per l’accoglimento del ricorso straordinario, così
qualificato quello presentato.

Ciò premesso, il ricorso è inammissibile atteso che l’impugnazione
straordinaria è ammessa solo a favore del condannato e non, quindi, in relazione
a provvedimenti concernenti misure cautelari (Sez. 6, n. 8714 del 04/12/2012 dep. 21/02/2013, Bruno, Rv. 255316; Sez. 1, n. 47932 del 09/11/2012 – dep.
11/12/2012, Maddalena, Rv. 253858; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002 – dep.
30/04/2002, Basile P, Rv. 221281).

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex lege, in forza
del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.500 (millecinquecento) in favore delle Cassa delle
Ammende, non esulando profili di colpa (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del
2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.500 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 5 aprile 2016’

I Consigliere estensore

pen. era l’unica possibile per consentirne la trattazione, si deve ancora rilevare

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