Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1715 del 25/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1715 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 25/09/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Amoruso Battista Onofrio, nato a Bari il 13.11.1953, avverso l’ordinanza
emessa dal tribunale del riesame di Milano in data 26.3.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente il difensore di fiducia, avv. Ezio Monaco del Foro di
Milano, che ha concluso riportandosi alla memoria in atti ed ai motivi di
ricorso.
FATTO E DIRITTO

/1

1. Con ordinanza adottata in data 26.3.2013 il tribunale del riesame di
Milano confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Milano, in data 4.2.2013, aveva
applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di
Amoruso Battista, in relazione ai reati di cui agli artt. 416, co. 1 e 2, c.p.

c.c. (capo B dell’imputazione provvisoria)
2. Avverso tale ordinanza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione l’Amoruso a mezzo del suo difensore di fiducia,
articolando distinti motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione al reato di cui all’art. 416, c.p., per avere il
tribunale del riesame ritenuto erroneamente la sussistenza del requisito
dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’Amoruso in ordine alla sua
partecipazione all’associazione a delinquere di cui al capo A), laddove
l’indagato ha avuto solo rapporti professionali, in qualità di socio dello
studio legale “Palmisano & Amoruso”, per essere stato per oltre
trentacinque anni uno dei legali di fiducia della Banca Popolare di Milano,
con la struttura facente capo a Ponzellini Massimo (presidente del c.d.a.
della B.P.M., del pari indagato, unitamente a Cannalire Antonio, Chiesa
Enzo, Milanese Marco, Corallo Francesco e Rubbi Guido, del delitto
associativo), non potendo nemmeno considerarsi soggetto interno alla
B.P.M. Il ricorrente evidenzia, inoltre, di non avere mai avuto nessun
rapporto con il Rubbi, il Milanese ed il Corallo; di avere avuto sporadici
contatti con il Cannalire ed il Chiesa, direttore generale della B.P.M.
durante la presidenza del Ponzellini, mantenendo un buon rapporto
professionale con quest’ultimo sino a tutto l’anno 2010, risalendo al
dicembre di tale anno il loro ultimo incontro.
4. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, il
ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, anche in
ordine ai reati ex art. 2635, c.c., di cui ai capi B) e C) dell’imputazione
provvisoria (anche se, come chiarito dal tribunale del riesame, il reato di
cui al capo B è divenuto improcedibile per remissione di querela),

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e 110, c.p. (capo A dell’imputazione provvisoria) , 2635, co. 1, 2 e 3,

rivendicando, sostanzialmente, la legittimità di tutte le operazioni, che,
invece, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero rivelatrici delle finalità
illecite perseguite dall’indagato, in uno con i suoi sodali
5. Con il quinto motivo di ricorso, il difensore dell’indagato lamenta
violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della mancata

elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 2635, c.c.
6. Con il sesto motivo di ricorso, infine, il difensore dell’indagato deduce
violazione di legge e vizio di motivazione circa la sussistenza delle
esigenze cautelari.
7. Con memoria depositata il 19.9.2013, il difensore dell’indagato, nel
riportarsi al ricorso innanzi indicato, rappresentava al Collegio
l’intervenuta revoca della misura cautelare nei confronti del proprio
assistito, disposta dal giudice procedente, con provvedimento del
5.7.2013, allegato alla memoria, dopo avere qualificato la condotta
associativa addebitata all’Amoruso in termini di semplice partecipazione
al sodalizio, escludendo in capo allo stesso il ruolo, originariamente
contestatogli, di organizzatore dell’associazione.
Tale provvedimento, secondo il ricorrente, non ha fatto venir meno
l’interesse al ricorso, confermando, piuttosto, l’assenza dei gravi indizi di
colpevolezza nei confronti dell’Amoruso, “quantomeno rispetto al reato
più grave di cui all’art. 416 bis, c.p.”
8. Il ricorso va rigettato.
9. Preliminarmente va rilevato che, alla luce di quanto rappresentato
dalla memoria in precedenza indicata, in cui il difensore insiste in
particolare sulla mancanza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla
più grave ipotesi associativa di cui all’art. 416, co. 1, c.p., deve ritenersi
venuto meno, per rinuncia implicita, l’interesse dell’indagato a far valere
i motivi di ricorso relativi alle condotte in contestazione riconducibili al
paradigma normativo di cui all’art. 2635, c.c. ed alla sussistenza delle
esigenze cautelari, con conseguente inammissibilità sopravvenuta dei
relativi motivi di ricorso.

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dimostrazione della sussistenza del “nocumento” subito dalla B.P.M.,

10.

Con riferimento al reato associativo, non può non rilevarsi,

innanzitutto, come il provvedimento di revoca della misura cautelare
adottato dal giudice per le indagini preliminari, non assume alcuna
diretta incidenza sul giudizio del materiale raccolto nella fase

del presente ricorso, essendo fondato, il suddetto provvedimento di
revoca, su di una autonoma valutazione, successiva all’adozione del
titolo cautelare, di quanto emerso dalle indagini svolte a seguito
dell’applicazione della misura coercitiva poi revocata, conformemente al
parere reso al riguardo dal pubblico ministero, riportato nella
motivazione del provvedimento del 5.7.2013.
Lo stesso difensore dell’indagato, peraltro, nel ribadire nella memoria
difensiva che, in conseguenza dell’intervenuta rimessione in libertà
dell’Amoruso, il suo interesse all’impugnazione permane con riferimento
alla condotta associativa originariamente contestata al proprio assistito,
sembra prestare acquiescenza alla configurabilità della condotta
dell’indagato in termini di semplice partecipazione al sodalizio criminoso
di cui al capo A), come ritenuto dal giudice per le indagini preliminari nel
provvedimento di revoca degli arresti domiciliari, circoscrivendo
ulteriormente il campo di indagine su cui deve concentrarsi l’attenzione
di questo Collegio.
11. Così delimitato il thema decidendum, occorre richiamare, sia pure
brevemente, l’approdo interpretativo, condiviso da questo Collegio, al
quale è giunta la giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha
evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di
Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né
di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle
esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di
apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo

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investigativa, operato dal tribunale del riesame nell’ordinanza oggetto

hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (cfr. Cass., sez. IV, 3.2.2011, n. 14726, D.R.), essendo
sufficiente ai fini cautelari un giudizio di qualificata probabilità in ordine
alla responsabilità dell’imputato” (cfr. Cass., sez. II, 10.1.2003, n.

Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del
provvedimento di conferma emesso dal tribunale del riesame in ordine
alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione
spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del
giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto
ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione
degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli
adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia
cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata
probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza
espositiva” (cfr. Cass., sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di
Milano ha fatto buon uso di tali principi, in quanto con motivazione
approfondita ed immune da vizi, ha ritenuto sussistente il requisito dei
gravi indizi di colpevolezza, in relazione alla qualificazione della condotta
dell’Amoruso in termini di partecipazione di quest’ultimo, con il ruolo di
organizzatore, all’associazione a delinquere di cui al capo, alla luce degli
elementi su cui si fondava l’originario titolo cautelare, senza,
ovviamente, prendere i considerazione i risultati delle indagini svolte
successivamente all’applicazione degli arresti domiciliari, che inducevano
il giudice per le indagini preliminari procedente a revocare la suddetta
misura coercitiva e che, altrettanto ovviamente, questo Collegio non è in
grado di valutare.

5

18103, rv. 224395; Cass., sez. III, 23.2.1998, n. 742).

Nel caso in esame i giudici del riesame si sono attenuti
scrupolosamente a tale insegnamento, non limitandosi a richiamare le
conclusioni cui è pervenuto il giudice per le indagini preliminari nella
motivazione del provvedimento impositivo degli arresti domiciliari
(che, come è noto, sotto il profilo motivazionale, si pone in un

tribunale del riesame: cfr. Cass. Pen., Sezioni Unite 17.4.1996, Monì;
Cass. Pen., Sez. V, 28.3.2000, Cesario; Cass. Pen., Cass. Pen., Sez.
V, 24.3.2010, n. 16587), ma procedendo anche ad un’autonoma e
complessiva valutazione degli elementi che consentono di affermare
l’esistenza dell’associazione a delinquere di cui al capo A) e la
partecipazione a tale sodalizio del ricorrente, in qualità di
organizzatore.
Tra questi elementi assumono un incontestabile valore dimostrativo,
come correttamente evidenziato dal tribunale del riesame, una serie di
operazioni, aventi ad oggetto prevalentemente finanziamenti di favore
concessi dalla B.P.M. ad una pluralità di soggetti, allo scopo, oggetto del
pactum sceleris tra gli indagati, di commettere una pluralità di delitti in
materia di corruzione, corruzione privata, appropriazione indebita,
violazione del divieto degli esponenti bancari di contrarre obbligazioni,
emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio, che hanno
visto come protagonista l’Amoruso, ed, in particolare : 1) l’operazione
“Atlantis-Bplus”, in cui l’Amoruso ha ricevuto un compenso di oltre un
milione di euro per il finanziamento ottenuto dalla “Bplus”, società
facente capo al Corallo, pari a circa 145.000.000,00 di euro, per il
periodo 2009-2010, senza avere svolto alcuna attività professionale che
giustifichi il suo compenso, versando, inoltre, a riprova del vincolo
illecito che lo legava al Ponzellini, alla “Penta s.p.a.”, società
riconducibile alla famiglia Ponzellini, attraverso il conto corrente
intestato allo studio “Palmisano & Amoruso”, la complessiva somma di
euro 187.200,00, in concomitanza degli accrediti dei finanziamenti
erogati in favore di “Bplus”; 2) il finanziamento in favore della società
immobiliare “Ippo 2009 s.r.l.”, facente capo al “Gruppo Scuteri”,

6

rapporto di reciprocità integrativa con l’ordinanza di conferma del

deliberato, nonostante il motivato parere contrario della divisione crediti
e dell’ufficio edilizio della B.P.M., in esecuzione dell’accordo criminoso,
all’esito di una riunione, durata appena quindici minuti, presso lo studio
Bianchini Scudellari, alla quale avevano partecipato, tra gli altri,
l’Amoruso, il Ponzellini ed il Cannalire, nonché il diretto interessato alla

l’erogazione, aveva provveduto ad effettuare un bonifico di euro
212.000,00 in favore dello studio Bianchini Scidellari, dal quale era
partito, sempre nel 2009, un bonifico di 10.000,00 euro in favore dello
studio Palmisano-Amoruso, che si era aggiunto ad altro bonifico,
dell’importo di 137.000,00 euro proveniente direttamente dalla “Ippo
2009 s.r.l.”; 3) il finanziamento in favore della “Bialetti Holding”,
concesso originariamente per un importo di 5.000.000,00 di euro, per
essere poi sostituito con un mutuo ipotecario per il maggiore importo di
8.000.000,00 di euro, nonostante le perplessità avanzate dal servizio
crediti della B.P.M., che aveva consigliato grande cautela per le incognite
legate alla capacità di rimborso e, comunque, di non superare la soglia
dei cinque milioni di euro, operazione in relazione alla quale il 6.6.2010
era pervenuto sul conto corrente dello studio dell’indagato un accredito
di 400.404,00 euro, non giustificato da alcuna attività prestata dallo
studio legale; 4) l’operazione “Risanamento”, qualificata dai giudici di
merito come appropriazione indebita aggravata e considerata rivelatrice
della reale natura illecita dei rapporti intercorrenti tra il Ponzellini e
l’Amoruso, in cui il primo aveva autorizzato il pagamento in favore del
secondo di una parcella dell’importo di 300.000,00 euro per l’attività
svolta in favore della B.P.M. in relazione alla pratica riguardante la
“Risanamento s.p.a.”, società, di cui il pubblico ministero aveva chiesto
il fallimento, esposta nei confronti della B.P.M., attività, tuttavia, che,
come emerso dagli accertamenti effettuati all’interno della banca, non
era mai stata svolta dall’Amoruso, che non si era mai occupato di tale
pratica, ma da altri legali.
11.1 Tale modo di argomentare appare conforme ai principi da tempo
affermati nella giurisprudenza di legittimità, condivisi da questo Collegio,

7

erogazione del finanziamento, Scuteri Rosario, il quale, avvenuta

secondo cui, ai fini della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in
ordine al reato associativo per l’applicazione di una misura custodiale, è
rilevante accertare la stabile messa a disposizione della propria opera
per i fini dell’organizzazione.

degli elementi disponibili all’atto dell’adozione dell’ordinanza oggetto di
ricorso, in uno alla qualifica di organizzatore attribuita all’Amoruso,
considerato un elemento centrale nella compagine associativa, in virtù
della sua posizione preminente all’interno dell’associazione dei socisindacalisti della banca, denominata “Amici di B.P.M.”, sodalizio
criminoso che egli ha contribuito a costituire, curando, al tempo stesso il
coordinamento dell’attività degli altri aderenti (cfr. Cass., sez. V,
21.12.1998, Barbanera; Cass. sez. V, 07/06/2011, n. 37370, rv.
250491).
11.2 Infine non assumono rilievo le doglianze difensive che prospettano
una diversa lettura del materiale indiziario, peraltro sulla base
prevalentemente di elementi documentali non allegati al ricorso, in
violazione del principio della cd. autosufficienza, posto che in tema di
impugnazione dei provvedimenti in materia di misure cautelari
personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la
violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità
della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino
la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Cass.,
sez. V, 8/10/2008, n. 46124, rv. 241997).
12. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse dell’Amoruso va, pertanto, rigettato, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 25.9.2013

Il che risulta esaurientemente dimostrato nel caso in esame, sulla base

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