Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17142 del 28/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17142 Anno 2018
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: CORBETTA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Conti Mica Antonino, nato a Biancavilla il 02/02/1978

avverso l’ordinanza del 03/11/2017 della Corte d’appello di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, Massimo Galli,
depositata il 6 febbraio 2018, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 28/02/2018

I

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, la Corte d’appello di Messina rigettava
l’istanza di ricusazione proposta da Antonino Mica Conti nei confronti del
consigliere dott. Bruno Sagone, componente del collegio avanti al quale è
chiamato il procedimento n. 616/2017 r.g. App. a carico di Alessandro Talamo e
altri, tra cui l’odierno ricorrente, per aver giudicato i computati del medesimo
reato associativo in altro giudizio d’appello, definito con sentenza n. 1045/2016

la Corte territoriale che, nel caso di delitto associativo, la dedotta incompatibilità
può prefigurarsi solo allorquando il giudice abbia già compiuto una valutazione,
anche solo sommaria, della posizione del coimputato giudicato separatamente,
ciò che, nella specie, non era ravvisabile, in quanto nella sentenza resa a carico
del Calà è stata unicamente valutata la posizione del coimputato Francesco Mica
Conti, e non già anche quella di Antonino Mica Conti.

2. Avverso l’indicata ordinanza, l’imputato, mezzo del difensore di fiducia,
propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, con cui si deduce
violazione degli artt. 41 e 127 cod. proc. pen. e dell’art. 37 cod. proc. proc.
Il ricorrente, in primo luogo, sotto il profilo formale deduce la nullità del
provvedimento impugnato per essere stato assunto inaudita altera parte, in
violazione del disposto dell’art. 127 cod. proc. pen.
In secondo luogo, nel merito, il difensore contesta la motivazione
dell’ordinanza in esame, in quanto il dott. Sagone, nell’ambito del processo di
appello a carico del Calò, avrebbe già espresso un giudizio in ordine alla
rilevanza penale del fatto e alla sua qualificazione giuridica, ivi compresa la
contestata aggravante del numero degli associati, superiore a dieci, in cui è
computato anche l’odierno ricorrente; in ogni caso, oggetto del giudizio di
appello era la sentenza n. 167/2015 resa dal gi.i.p. del tribunale di Messina, in
cui vi sono riportate intere conversazioni tra Francesco e Antonino Mica Conti, il
che dimostrerebbe come la posizione dell’odierno ricorrente sia stata oggetto di
precedente valutazione. In altri termini, nel caso in cui il giudice abbia esaminato
la posizione di un concorrente nel medesimo reato a concorso necessario, la
forza pregiudicante di quella sentenza rispetto a un giudizio successivo, relativo
ad altri coimputati, non dipende dall’ambito dell’accertamento – pieno o limitato
alla verifica dei presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen. – che il primo
giudizio esprime, perché esso inevitabilmente tocca un fondamentale aspetto del
successivo giudizio, quello della responsabilità penale, che, per la parte in tal
modo “anticipata”, ne risulta correlativamente pregiudicato.

del 20 aprile 2016, in cui era imputato il solo Carmelo Calà Campana. Osservava

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e merita, perciò, accoglimento.

2. Va premesso che, inizialmente, l’azione penale in ordine, tra l’altro, al
delitto associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, era stata esercitata nei
confronti di una pluralità di soggetti, tra cui Carmelo Campana Calà e Antonino

avevano optato per la definizione del processo con rito abbreviato. Con sentenza
resa dal g.u.p. del tribunale di Messina, il Calà veniva dichiarato colpevole del
delitto in esame; con sentenza resa in data 20 aprile 2016, la Corte d’appello di
Messina, in cui uno dei componenti del collegio era il dott. Bruno Sagone, ha
confermato la sentenza di primo grado. Con sentenza resa dal tribunale di Patti
in data 25 luglio 2016, il Conti veniva assolto dal delitto associativo per non aver
commesso il fatto; la sentenza veniva appellata dal pubblico ministero e il
processo è pendente davanti alla Corte d’appello di Messina, che vede, tra

i

componenti del collegio, anche il dott. Bruno Sagone.
Come si è anticipato, con il provvedimento impugnato la Corte d’appello di
Messina ha rigettato l’istanza di ricusazione presentata dal Conti nei confronti del
dott. Sagone, il quale, peraltro, come emerge dagli atti di causa, in data 2 luglio
2017 aveva correttamente presentato istanza di astensione, per aver giudicato i
coimputati del reato associativo in precedente giudizio, istanza rigettata dal
presidente della Corte d’appello di Messina con provvedimento del 21 luglio
2017.

3. Ciò premesso, si osserva che, avendo carattere assorbente, nel merito il
ricorso è fondato.

4.

Invero, la Corte costituzionale, con sentenza n. 371 del 1996, ha

dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen.,
“nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei
confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a
pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la
posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia
già stata comunque valutata”.
In quella decisione, che affrontò la questione proprio in relazione alla
peculiare ipotesi dei reati a concorso necessario, la Corte costituzionale chiarì,
tra l’altro, che l’incompatibilità del giudice «sussiste non solo quando nel primo

3

Mica Conti; nel corso dell’udienza preliminare, alcuni imputati, tra cui il Calà,

giudizio la posizione del terzo sia stata valutata a seguito di un puntuale ed
esauriente esame delle prove raccolte a suo carico, nna anche quando abbia
formato oggetto di una delibazione di merito superficiale e sommaria, apparendo
anzi, in questa seconda ipotesi, ancor più evidente e grave la situazione di
pregiudizio nella quale il giudice verrebbe a trovarsi».
Orbene, nel caso di specie risulta come la posizione del Conti sia stata già
valutata nel merito, nella precedente sentenza resa a carico del Calò, laddove la
Corte territoriale, nel rigettare un motivo di appello, ha ritenuto sussistente

criminale composta, oltre che dai quattro imputati giudicati con rito abbreviato,
anche da altri soggetti, espressamente e nominativamente menzionati, tra cui
viene indicato (p. 9 della sentenza) proprio l’Antonino Mica Conti.
E’ perciò evidente come la posizione del Conti stata oggetto di una
valutazione, sia pure superficiale e sommaria, ma, nondimeno, di merito, in
quanto egli è stato computato nel novero degli associati, ai fini della ritenuta
aggravante prevista dall’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990.

5. Deve perciò affermarsi il seguente principio di diritto: in tema di delitto
associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, non può partecipare al giudizio nei
confronti di un imputato, il giudice, che, in un precedente giudizio, abbia
ravvisato l’aggravante del numero degli associati, prevista dall’art. 74, comma 2,
d.P.R. n. 309 del 1990, nei confronti di un coimputato del medesimo reato.
Essendo perciò fondata l’istanza di ricusazione, il provvedimento impugnato
deve essere annullato senza rinvio, con trasmissione alla Corte d’appello di
Messina, che, nella formazione del Collegio giudicante, si atterrà al principio
sopra enunciato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato ed accoglie l’istanza di
ricusazione, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Messina.
Così deciso il 28/02/2018.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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Elisabetta Rosi

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l’aggravante del numero delle persone superiore a dieci, essendo l’associazione

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