Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17137 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17137 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1.

Maccarone Carmela, nata a Furci Siculo il 31/08/1959

2.

Maccarone Concetta, nata a Furci Siculo il 09/02/1971

3.

Maccarrone Francesco, nato a Furci Siculo il 07/05/1962

4.

Maccarrone Rosario, nato a Furci Siculo il 22/12/1964

5.

Maccarrone Rosario, nato a Furci Siculo il 03/01/1960

avverso l’ordinanza del 31/07/2017 del Tribunale di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi per i ricorrenti gli avv. P. Luccisano e F. Puzzello che hanno concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1.- Il Tribunale di Messina, con ordinanza in data 31 luglio 2017, ha
rigettato la richiesta di riesame, ex art. 322 cod.proc.pen., proposta da
Maccarone Carmela, Maccarone Concetta, Maccarone Francesco, Maccarone

Data Udienza: 20/02/2018

Rosario cl. 60, Maccarone Rosario cl. 64, contro il provvedimento del Giudice
delle indagini preliminari del Tribunale di Messina di sequestro preventivo delle
opere edilizie, in corso di realizzazione, presso il cantiere insistente in Furci
Siculo, via Amerigo Vespucci, distinto al catasto al foglio 10, part. 224,
nell’ambito del procedimento penale, nei confronti dei predetti, per i reati di cui
all’art. 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 e artt. 323 cod.pen., per avere i
ricorrenti, in qualità di proprietari committenti, realizzato, sulla base di un
permesso a costruire rilasciato in violazione dell’art. 3 della Legge Regionale n.

opere da considerarsi eseguite in assenza del necessario titolo, confermando il
relativo decreto.

1.1. Il Tribunale cautelare, preso atto, quanto al fumus commissi delicti, che i
ricorrenti, avvalendosi della legge regionale n. 6 del 2010 (cd. Piano casa),
avevano ottenuto un permesso a costruire (n. 1456/2015), avente ad oggetto la
demolizione del fabbricato esistente e la realizzazione di un nuovo fabbricato con
destinazione: locali commerciali e due unità residenziale piano rialzato,
residenziale al primo piano e secondo, oltre ad un piano cantinato destinato a
cantine box auto, ha argomentato che il provvedimento autorizzatorio era stato
adottato in violazione di legge e segnatamente, in violazione dell’art. 2 della
legge regionale n. 6 del 2010 (Norme per il sostegno dell’attività edilizia e la
riqualificazione del patrimonio edilizio. Pubblicata sulla Gazz. Uff. Reg. sic. 26
marzo 2010, n. 14), che consente interventi edilizi di ampliamento di edifici
esistenti nella misura del 25%, poiché il fabbricato preesistente era privo dei
requisiti previsti dalla citata normativa, in quanto risultava costituito da un piano
terra opificio, classato coma D1, un primo piano “non ultimato” alla data del
31/09/2009, ed era mancante la regolarità tributaria, e prevedeva, altresì, in
contrasto con il PRG, una terza elevazione. Dovendosi considerare, ai fini
dell’incremento di volumetria consentito dalla legge menzionata, la unitarietà
dell’intervento edilizio, difettavano, secondo il Tribunale, i presupposti di
residenzialità (quanto al piano terra) e di ultimazione del fabbricato (quanto al
primo piano), oltre alla non regolarità tributaria, non potendosi accedere
all’interpretazione del giudizio amministrativo invocata dalle difese, in quanto
mancante comunque l’adempimento tributario relativo ad un segmento
temporale, dovendosi, invece, interpretare la norma nel senso della regolarità
tributaria dell’intero periodo e da parte di tutti i richiedenti, requisiti in relazione
a quest’ultimo parametro parimenti mancante.
Quanto al reato di cui all’art. 323 cod.pen., il Tribunale cautelare ha evidenziato,
oltre alle ripetute macroscopiche violazione di legge, la circostanza che
l’adozione del provvedimento era avvenuta, nonostante i dubbi sulla regolarità
9

6/2010, i lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente,

manifestati dall’allora ing. Foti, responsabile del settore edilizia del Comune di
Furci Siculo, all’indomani dell’elezione a sindaco del marito di Maccarone
Carmela, e con il rientro anticipato dell’Arch. Crisafulli (distaccato ad altro
servizio) e la attribuzione al Sindaco medesimo della responsabilità di Dirigente
dell’Area tecnica del comune.

2. – Per l’annullamento della ordinanza, i difensori dei ricorrenti, avv.
Ferruccio Puzzello e avv. Pietro Luccisano, hanno proposto ricorsi per cassazione,
e hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui

2.1. Violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod.proc.pen.
in relazione all’art. 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 323 cod.pen. e
vizio di motivazione.
Argomentano i ricorrenti che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto
non ultimato il fabbricato di cui al primo piano e, con una inesatta valutazione
dello stato dei luoghi, avrebbe risposto alle censure difensive con motivazione
illogica e frutto di errata valutazione dei fatti. La motivazione sarebbe anche
contraddittoria laddove avrebbe disatteso i pareri provenienti dal dipartimento
regionale dell’urbanistica dell’assessorato regionale e, in particolare, sulla natura
residenziale dell’edificio, come risultante dal progetto approvato con il rilasciato
permesso a costruire, anche con riferimento al piano terra ove la conservazione
del magazzino sarebbe pertinenziale alle residenze sovrastanti. Parimenti, il
Tribunale avrebbe disatteso con motivazione illogica il

dictum del giudice

amministrativo sulla corretta interpretazione del requisito di regolarità tributaria.
Infine, dalla lettura degli atti sarebbe illogica e frutto di presunzioni la
sussistenza del fumus con riguardo al reato di cui al’art. 323 cod.pen.

In data 1 febbraio 2018, i difensori hanno depositato motivi nuovi ex art.
585 comma 4 cod.proc.pen. con i quali hanno insistito nell’accoglimento dei
ricorsi.

3. Il Procuratore generale, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi sono inammissibili per la proposizione di motivi non consentiti
nel giudizio di legittimità e manifestamenti infondati.

5. Deve premettersi che in tema di ricorso per cassazione proposto
avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il

all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge nella
cui nozione rientrano, oltre agli “errores in iudicando” o “in procedendo”, anche i
vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a
sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto,
inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n.
6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009,
Bosi, Rv. 245093), restando del tutto estraneo il vizio di motivazione, declinato

deducibile attraverso il disposto di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen.

6. Così specificato l’ambito del sindacato del giudice di legittimità in
materia cautelare, al netto del dedotto vizio di motivazione che non è
scrutinabile in questa sede, sia sotto il profilo della illogicità della motivazione
che della sua contraddittorietà rispetto ai pareri e decisioni assunte nel diverso
ambito amministrativo, il provvedimento è sorretto da diffusa, congrua
motivazione, corretta in diritto e che non può dirsi apparente.
Il

Tribunale cautelare,

contrariamente all’assunto difensivo,

ha

argomentato, in base ai dati fattuali incontestati, l’assenza dei presupposti
normativi fissati dall’art. 2 – “Interventi edilizi di ampliamento degli edifici
esistenti” della citata legge regionale, e segnatamente (vedi supra par. 1.1. del
ritenuto in fatto) l’assenza in parte del requisito di residenzialità, in quanto
risultava costituito da un piano terra opificio, classato corna D1, un primo piano
“non ultimato” alla data del 31/09/2009, prevedeva, altresì, in contrasto con il
PRG, una terza elevazione, ed era mancante la prevista regolarità tributaria di
cui al citato art. 2 (“purché al momento del rilascio del titolo abilitativi edilizio
relativo agli interventi di cui al presente articolo siano in regola con il pagamento
della TARSU o della TIA e dell’ICI alla data della presentazione dell’istanza di cui
all’articolo 6).
Il Tribunale ha confermato il provvedimento cautelare facendo corretta
applicazione della legge extrapenale (legge regionale c.d. Piano casa) e
dall’assenza dei citati presupposti per l’ampliamento, ha tratto convincente e
motivata decisione della sussistenza del

fumus commissi delicti

del reato

urbanistico contestato. La motivazione non solo non appare apparente, ma è
anche adeguata e corretta sul piano del diritto.
7. Quanto al profilo del fumus commissi delicti in relazione al reato di
abuso in atti di ufficio, esso è stato correttamente individuato sulla scorta di una
pluralità di elementi significativi; oltre alle ripetute macroscopiche violazione di
legge, la circostanza che l’adozione del provvedimento era avvenuta, nonostante
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quale illogicità e/o contraddittorietà della motivazione, vizio autonomamente

i dubbi sulla regolarità manifestati dall’allora ing. Foti, responsabile del settore
edilizia del Comune di Furci Siculo, all’indomani dell’elezione a sindaco del marito
di Maccarone Carmela, e con il rientro anticipato dell’Arch. Crisafulli (distaccato
ad altro servizio) e la attribuzione al Sindaco medesimo della responsabilità di
Dirigente dell’Area tecnica del Comune, elemento quest’ultimo a connotare il
dolo specifico del reato, di cui all’art. 323 cod.pen., del fine di ingiusto profitto.

8. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono
essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616

13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i
ricorsi siano stati presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

9. L’inammissibilità dei ricorsi principali si estende ai motivi nuovi ex art.
585 comma 5 cod.proc.pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 20/02/2018

cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data

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