Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17136 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17136 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Alzaini Shadi, nato a Roma il 15/06/1986
2. Petrò Stefania, nata a Roma il 24/01/1987

avverso la sentenza del 16/07/2012 della Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito per gli imputati l’avv. Carla Corsetti, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma riformava solo in
punto di determinazione della pena finale, che veniva ridotta, e confermava nel
resto la pronuncia di primo grado del 22/11/2011 con la quale il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Cassino aveva condannato Shadi Alzaini e

Data Udienza: 11/04/2013

Stefania Petrò per avere, il 03/06/2011, in concorso tra loro, detenuto a fine di
spaccio gr. 118 di sostanza stupefacente del tipo eroina, divisi in 138 distinte
confezioni, idonea alla preparazione di circa 110 dosi singole, e gr. 7,92 di
sostanza stupefacente del tipo cocaina, divisa in dodici involucri, idonea alla
preparazione di circa sedici dosi singole.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero
dimostrato la colpevolezza dei due imputati in ordine al reato loro ascritto, non
potendo essere dato alcun credito alla dichiarazione del solo Alzaini di aver
potessero beneficiare del riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di
lieve entità, di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990, né delle
circostanze attenuanti generiche; e come la pena inflitta dal primo giduice
dovesse essere ridotta esclusivamente per adeguarla all’entità del fatto e alla
complessiva personalità dei due imputati.
2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso entrambi gli imputati, con
distinti atti sottoscritti dal loro unico difensore avv. Carla Corsetti, ma aventi
analogo contenuto, i quali hanno dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità o
contraddittorietà, per avere la Corte di appello negato qualsivoglia credito
all’affermazione resa dall’Alzaini di aver acquistato quelle droghe per poterne
fare consumo di gruppo assieme ad altre quattro persone, di cui aveva fatto il
nome, e per non avere tenuto conto del mancato rinvenimento nell’abitazione dei
prevenuti di materiale atto alla pesatura, al taglio e alla divisione delle sostanze
stupefacenti.
2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità e
contraddittorietà, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato ai due
Imputati il riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità, già in passato
riconosciuto agli stessi da altro Giudice in relazione ad un diverso, ma analogo
episodio delittuoso, e per non avere tenuto conto dell’accertato stato di
tossicodipendenza della Petrò e del fatto che anche l’Alzaini era abituale
assuntore di droga.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 133 cod. pen. e 62 bis cod. pen.,
e vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà, per

avere la Corte distrettuale erroneamente negato ai due imputati il
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che ben potevano essere
concesse in ragione dello stato di tossidipendenza dei prevenuti, delle loro
precarie condizioni di vita individuali e familiari, del fatto che l’Alzaini avesse
tenuto un ottimo comportamento processuale e che la Petrò, che, come per il
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acquistato quelle droghe per farne consumo di gruppo; come i due imputati non

compagno, aveva pure avviato un percorso di recupero dalla tossidipendenza,
aveva un solo precedente penale specifico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che i ricorsi siano inammissibili.
2. Il primo motivo, comune ai ricorsi formulati nell’interesse dell’Alzaini e della
consentite dalla legge.
I ricorrenti solo formalmente hanno indicato, come motivo delle loro
impugnazioni, il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione della
decisione gravata, ma non hanno prospettato alcuna reale contraddizione logica,
intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle
regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse
e le conclusioni; né essendo stata lamentata, come pure sarebbe stato
astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova
rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi
desumibili dalle carte del procedimento.
I ricorrenti, invero, si sono limitati a criticare il significato che la Corte di
appello di Roma aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante la
fase delle indagini. E tuttavia, bisogna rilevare come i ricorsi, lungi dal proporre
un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del
procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione,
sono stati presentati per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei
fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero
materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
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Petrò, è inammissibile perché presentato per far valere ragioni diverse da quelle

processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cessazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta
durante le indagini dalla Petrò, il solo Alzaini aveva riferito come parte delle due
sostanze stupefacenti rinvenute nella loro autovettura fosse destinata al
consumo di gruppo, indicando, però, in maniera generica, i nomi dei potenziali
consumatori, senza fornire alcun altro dato che potesse permetterne una
compiuta identificazione, e, comunque, offrendo una versione difficilmente
compatibile con l’accertata disponibilità di ben due diversi tipi di droghe,
ciascuna delle quali di rilevante entità ponderale, ed entrambe già divise in
differenti numerosi pacchetti pronti per lo spaccio (v. pagg. 4-5 sent. impugn.).
Soluzione, questa, conforme al consolidato Indirizzo della giurisprudenza di
questa Corte secondo il quale, in tema di reati concernenti sostanze stupefacenti,
la non punibilità della codetenzione implica la prova rigorosa – nella fattispecie
assente – che la droga sia stata acquistata o detenuta da uno dei partecipanti al
gruppo su preventivo mandato degli altri, in vista della futura ripartizione e
destinazione al consumo esclusivo dei medesimi ed attraverso una
partecipazione di tutti alla predisposizione dei mezzi finanziari occorrenti (così,
tra le tante, Sez. 4, n. 7939 del 14/01/2009, D’Aniello, Rv. 243870; Sez. 5, n.
31443 del 04/07/2006, Roncucci, Rv. 235213; Sez. 4, n. 34427 del 10/06/2004,
Inglese, Rv. 229693; Sez. 6, n. 28318 del 03/06/2003, Orsini, Rv. 225684; Sez.
4, n. 10745/11 del 29/11/2000, Catania, Rv. 218778).
3. Il secondo motivo, anch’esso comune ai due ricorsi, è manifestamente
Infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza
attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del
1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi
normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità
e circostanze della stessa), che quelli che attengono all’oggetto materiale del
reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta
criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento
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illogicità: avendo la Corte laziale spiegato come, a fronte del silenzio serbato

dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che
la lesione del bene giuridico protetto sia di ‘lieve entità’ (così, ex plurimis, Sez. 4,
n. 6732/12 del 22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 4, n.
43399 del 12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; 4, Sentenza n. 38879 del
29/09/2005, Frank, Rv. 232428).
Di tale regula íuris la Corte di appello di Roma ha fatto corretta applicazione
chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono riconoscibili lacune o
vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non censurabili in questa sede,
termini di ridotta offensività ovvero di scarso allarme sociale in ragione della
duplice natura della droga sequestrata e della quantità globale di ciascuno dei
due tipi di stupefacenti, destinati a soddisfare un consistente numero di
destinatari (v. pag. 5 sent. impugn.).
Né una carenza o altro difetto nella motivazione sono rilevabili per la mancata
considerazione di taluni elementi segnalati in sede di appello, asseritamente
favorevoli agli imputati (quale il loro stato di tossicodipendenza), in quanto è
pacifico negli indirizzi esegetici di questa Corte che il provvedimento impugnato
non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti
ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento,
dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi
considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (così Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n.
13151 del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590).
4. Anche il terzo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, è manifestamente
infondato.
I ricorrenti hanno preteso che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una
rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali i Giudici di merito hanno
esercitato il potere discrezionale loro concesso dall’ordinamento ai fini del
riconoscimento delle attenuanti generiche. Esercizio che deve essere motivato
nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in
ordine all’esistenza dei presupposti di applicazione delle relative norme di
riferimento.
Nella specie del tutto legittimamente la Corte territoriale ha ritenuto di negare
all’Alzaini e alla Petrò un’ulteriore riduzione della pena finale irrogata dal giudice
di primo grado, avendo – con motivazione completa e congrua – escluso che i
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come la condotta dell’Alzaini e della Petrà non potesse essere qualificata in

prevenuti meritassero un giudizio di speciale benevolenza, tenuto conto delle
oggettive gravi caratteristiche della loro condotta (già considerate ai fini della
esclusione della live entità del fatto) e delle precedenti condanne per reati di
analoga natura che gli imputati avevano rispettivamente già subito in passato (v.
pag. 5 sent. impugn.).
5. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore dell’erario delle spese del
di una somma, che si stima equo fissare nell’importo che segue.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quella della somma di euro 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 11/04/2013

presente procedimento ed ciascuno a quello in favore della cassa delle ammende

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