Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17125 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17125 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: SEMERARO LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposto da
CALOGERO CARMELO nato il 31/10/1987 a CATANIA
CONDORELLI PIETRO nato il 21/11/1988 a CATANIA
CASTORINA ANGELO nato il 04/12/1975 a CATANIA
COSTANZO GIOVANNI nato il 25/07/1994 a CATANIA
FRESTA GIUSEPPE nato il 21/09/1988 a CATANIA
MARINO FILIPPO nato il 08/09/1994 a CATANIA
MUSUMECI CARMELO nato il 27/10/1970 a CATANIA
MUSUMECI SALVATORE nato il 20/08/1994 a CATANIA
MUSUMECI VITO nato il 26/05/1984 a CATANIA
PRIVITERA GAETANO nato il 05/04/1990 a CATANIA
SCUDERI ANTONINO nato il 05/06/1981 a CATANIA
SPANÒ FRANCESCO nato il 10/07/1990 a CATANIA
SPANÒ GAETANO nato il 09/09/1985 a CATANIA
TITOLA MARCO FILIPPO nato il 19/11/1976 a CATANIA
VENUTO ORAZIO nato il 08/10/1979 a CATANIA

avverso la sentenza del 27/04/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA

Data Udienza: 20/02/2018

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere LUCA SEMERARO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Francesco
Salzano, che conclude per il rigetto dei ricorsi.

udito il difensore presente, avv. Maria Caterina Caltabiano, in proprio ed in
sostituzione degli altri difensori, che si riporta ai motivi e insiste nell’accoglimento
dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catania, con la sentenza del 27 aprile 2017, ha
respinto gli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Catania e dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania avverso
la sentenza emessa nel giudizio abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Catania in data 2 marzo 2016; ha accolto, limitatamente al
riconoscimento della continuazione, l’appello proposto da Filippo Marino
rideterminando la pena; per il resto ha confermato la sentenza di condanna di
primo grado rigettando gli appelli proposti dagli imputati.
In relazione al capo a), Costanzo Giovanni, Marino Filippo, Privitera Gaetano,
FreSta Giuseppe, Spanò Francesco, Titola Marco Filippo, Spanò Gaetano,
Condorelli Pietro, Venuto Orazio, Castorina Angelo, Calogero Carmelo, sono stati
condannati per la partecipazione ad una associazione per delinquere costituita allo
scopo di commettere più delitti ex art. 73 d.p.r. 309/1990 di traffico, detenzione
al fine di vendita e di cessione di sostanze stupefacenti del tipo marijuana e
cocaina, in Catania nell’anno 2012 sino al mese di marzo 2013.
Musumeci Vito, Musumeci Carmelo sono stati condannati quali promotori ed
organizzatori (unitamente a Scuderi Francesco e Scuderi Antonino).
Musumeci Vito, Musumeci Carmelo, Costanzo Giovanni, Marino Filippo,
Privitera Gaetano, Fresta Giuseppe, Spanò Francesco, Spanò Gaetano, Condorelli
Pietro, Venuto Orazio, Castorina Angelo, Calogero Carmelo, Titola Marco Filippo,
sono stati poi condannati per i reati fine di detenzione e cessione delle sostanze
stupefacenti del tipo marijuana e cocaina commessi in Catania nell’anno 2012 sino
al mese di marzo 2013.
Musumeci Salvatore è stato condannato (capi c, d ed e) per la cessione di un
involucro di cocaina a Scavarelli Sergio, commesso il 4 dicembre 2012 in Catania,

con riconoscimento dell’art. 73 comma 5 d.p.r. 309/1990, e per più delitti di
evasione dagli arresti domiciliari.
Musumeci Vito è stato condannato altresì per la violazione degli obblighi
relativi alla misura di prevenzione (capo m), per la detenzione e porto di un fucile,
quale arma clandestina (capi n ed o).
Venuto Orazio è stato condannato anche per la violazione degli obblighi
relativi alla misura di prevenzione (capo q).
Queste in sintesi le pene inflitte: Musumeci Vito anni nove e mesi sei di
reclusione; Musumeci Carmelo anni nove e mesi quattro di reclusione; Marino

reclusione; Carmelo Calogero, Scuderi Antonino, Castorina Angelo, Spanò Gaetano
e Spanò Francesco anni 7 e mesi 4 di reclusione; Privitera Gaetano, Costanzo
Giovanni, Condorelli Pietro, Titola Marco Filippo e Fresta Giuseppe anni 5 di
reclusione; Musumeci Salvatore anni 3 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.

2. I ricorsi dei difensori di Carmelo Calogero, Musumeci Vito e Musumeci
Carmelo.
I ricorsi dei difensori di Carmelo Calogero, Musurneci Vito e Musumeci Carmelo
hanno dei motivi comuni; verranno indicate le specifiche questioni proposte dai
ricorrenti.
2.1. Con il primo motivo la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge, per
l’errata applicazione dell’art. 74 d.p.r. 309/1990, e di mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione quanto al capo a) della rubrica.
2.1.1. Rileva la difesa, al punto a), di aver contestato con l’appello la
sussistenza della condotta ex art. 74 d.p.r. 309/1990 per l’irrisorio arco temporale
e la natura delle condotte.
Il difensore di Carmelo Calogero ha riportato la motivazione della sentenza
della Corte di appello di Catania sul rigetto del motivo di appello; la difesa ha
quindi affermato che tale motivazione è contraria ai criteri di valutazione della
prova ex art. 192 cod. proc. pen. e con la struttura del reato associativo.
Per la difesa, lo svolgimento dell’attività di cessione di stupefacenti, anche nel
caso di approvvigionamento della sostanza stupefacente da appartenenti ad
un’associazione ex art. 74 d.p.r. 309/1990, non fa del singolo cedente un
partecipe, ma uno strumento operativo avulso dalle dinamiche del sodalizio
criminoso: si concretizza solo un concorso di persone nel reato fine. Per la difesa,
la partecipazione comporta lo stabile inserimento nella struttura organizzativa
dell’associazione, l’assunzione di un ruolo effettivo, l’adempimento di compiti

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Filippo anni sette e mesi otto di reclusione; Venuto Orazio anni 7 e mesi 6 di

funzionali al raggiungimento degli scopi dell’associazione, la disponibilità alle
attività organizzate dal sodalizio.
Dopo aver ricordato la struttura del dolo di partecipazione, la difesa ha
contestato l’assenza della motivazione sulla sussistenza degli elementi dimostrativi
della condotta di partecipazione e sulle censure sollevate dalla difesa quanto
all’assenza di prova dell’accordo a confluire nella struttura permanente.
Per la difesa, il vizio della motivazione si riconnette alla errata applicazione
dell’art. 74 D.P.R. 309/90, perché presupposti imprescindibili per la sussistenza

Catania ha erroneamente valutato l’arco temporale della condotta, che dalle prove
risulta solo dal 6 al 16 febbraio 2013.
La brevità di tale arco temporale non concretizza il presupposto della stabilità
della partecipazione e la necessaria continuità temporale del vincolo criminale né
prova che il contributo del singolo sia stati fornito con modalità tali da
concretizzare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose.
Per la difesa, la motivazione è illogica quanto alla sussistenza del dolo; dopo
aver dato la definizione del dolo nel reato associativo, e richiamato alcuni principi
di diritto espressi dalla Corte di Cassazione (Cass., Sez. 1, 7 luglio 2011, n.30463),
ha rilevato la difesa che emerge, quale dato oggettivo, che la condotta di Calogero
Carmelo non è stata sempre la medesima: ha svolto plurime mansioni, secondo il
bisogno, non ricoprendo alcuna stabile funzione.
Per la difesa, la Corte di Appello non ha reso alcuna motivazione alle sue
critiche ma ha reso delle motivazioni carenti, contraddittorie e manifestatamente
illogiche che si connettono inevitabilmente con un’errata applicazione dell’art. 74
D.P.R. 309/90.
Analoghe questioni sono state proposte dai difensori di Musumeci Vito e
Musumeci Carmelo; il difensore di Musumeci Vito ha segnalato in particolare che
la condotta si è esplicata in un tempo breve.
2.1.2. Al punto b), la difesa ha contestato l’assenza di motivazione della
sentenza della Corte di appello di Catania quanto al rigetto della qualificazione
delle condotte poste in essere dai ricorrenti nell’art. 74 comma 6 D.P.R.309/90
perché la Corte di appello di Catania si sarebbe limitata, nel valutare la posizione
degli imputati, a quanto già argomentato in premessa.
Il difensore di Musumeci Vito ha richiamato la motivazione della sentenza con
la quale è stato esclusa l’applicazione del 6 comma in considerazione dei grandi
quantitativi di sostanza stupefacente e delle diverse qualità di essa ceduta.
Per la difesa la Corte di appello di Catania non ha dato alcuna risposta agli
specifici motivi di appello relativi alla posizione dei ricorrenti posto che la loro
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del reato de quo sono la stabilità e la permanenza, laddove la Corte di appello di

compartecipazione al consortium sceleriis e, dunque, la loro adesione, deve essere
rapportata ai delitti commessi dall’associazione in quel determinato momento
storico.
Secondo la difesa, invece, la Corte di appello di Catania si è limitata a ribadire
in maniera asettica e generica quanto già detto dal Giudice di primo grado.
Per la difesa, che ha richiamato la sentenza della Cass. Pen., Sez. 4, n. 1033,
9 gennaio 2013 sulla motivazione per relationem, la Corte di appello di Catania ha
omesso in tal modo la motivazione.

elemento sufficiente per escludere la configurazione del fatto lieve (Cfr. Cass., sez.
3, 2 febbraio 2016, n. 12805) ha rilevato la difesa che la Corte di appello di Catania
avrebbe dovuto rispondere agli specifici rilievi posti dalla difesa e che il carattere
dinamico che contraddistingue la vita associativa e l’arco temporale definito (dal
6 al 16 febbraio) delle condotte sono elementi per ritenere la qualificazione del
fatto ai sensi dell’art. 74, sesto comma, D.P.R. 309/90.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto i vizi ex art. 606 lett. b) e
lett. e) cod. proc. pen. con riguardo al reato ascritto al capo b) della rubrica.
La difesa di Carmelo Calogero ha riportato la motivazione della sentenza della
Corte di appello di Catania che ha rigettato la qualificazione dei fatti nel delitto ex
art. 73 comma 5 d.p.r. 309/1990 in base alla frequenza delle cessioni poste in
essere dal Calogero ed alla natura delle sostanze stupefacenti cedute, sia cocaina
che marjuana. Per la difesa, la premessa in diritto è corretta ma non lo è
l’applicazione al caso concreto, con conseguente errata applicazione della legge
penale ed evidente vizio della motivazione.
La difesa, dopo aver richiamato l’iter normativo conseguente alla sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, e la necessità per le cd. droghe leggere
di applicare l’art. 73 comma 4 DPR 309/90 nella formulazione della legge del 2006,
afferma che i parametri per i quali è configurabile la lieve entità riguardano il tipo
di sostanza stupefacente, la marijuana, nonché il modesto quantitativo di tale
sostanza, che risulta provato dai sequestri amministrativi eseguiti nei confronti di
coloro che avrebbero acquistato sostanza stupefacente dal Calogero Carmelo o,
comunque da coloro che con lui concorrevano (si richiamano i verbali del 8
febbraio, ore 14.54, e del 14 febbraio del 2013).
Per la difesa altro vizio della motivazione consiste nell’avere la Corte di appello
di Catania respinto i motivi di appello solo richiamando la contestata motivazione
del Giudice di primo grado, in modo ripetitivo e senza argomentare sulle censure
difensive e senza indicare gli elementi specializzanti, quanto alla posizione di
Musumeci Vito.
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Dopo aver rilevato che la reiterazione delle condotte da sola non può essere

2.2.1. In particolare, la difesa di Carmelo Calogero ha sostenuto che la Corte
di appello di Catania non ha reso adeguata motivazione con riferimento alla
specifica censura rilevata dalla difesa relativa alla possibile riqualificazione dei fatti
nel delitto ex art. 378 cod. pen. avuto riguardo alle risultanze probatorie ed in
modo particolare al rispetto dei criteri valutativi imposti dall’art. 192 cod. proc.
pen.
Secondo la difesa, la carenza del – m at eriale probatorio non poteva far
univocamente propendere per il perfezionarsi dei delitti ascritti, poiché le condotte
potevano essere riconducibili al delitto ex art. 378 cod. pen. Sul punto la Corte di

quando riportato nella sentenza di primo grado.
La difesa di Carmelo Calogero ha riportato quindi il passo della motivazione
della sentenza della Corte di appello di Catania che si contesta ed ha ritenuto
violato l’obbligo di motivare sulle specifiche deduzioni difensive.
2.3. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto i vizi ex art. 606 lett. b) ed e)
cod. proc. pen. con riferimento all’art. 99 cod. pen. Secondo la difesa, la Corte di
Appello di Catania, sulla sussistenza della recidiva, si è limitata ad esprimere un
giudizio di pericolosità qualificata dei ricorrenti solo sulla scorta dei precedenti
penali. La difesa di Carmelo Calogero ha riportato la motivazione della sentenza
della Corte di appello ed ha ritenuto che il vizio consista nel non aver motivato sui
presupposti di applicazione della recidiva come indicati nella sentenza delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione n. 5859 del 27/10/2011, il cui testo è riportato nel
ricorso. Secondo la difesa, la motivazione è una formula di stile, senza alcun
riguardo alla situazione concreta o alle deduzioni difensive.
2.4. Con il quarto motivo, la difesa ha dedotto i vizi ex art. 606 lett. b) e e)
cod. proc. pen. quanto alle circostanze attenuanti generiche ed alla continuazione.
Per la difesa, le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen. dovevano
essere ritenute prevalenti, avuto riguardo al tipo di sostanza stupefacente
(marijuana) e al modesto quantitativo della stessa, nonché al brevissimo lasso
temporale nel quale si è protratta la condotta dei ricorrenti.
Per la difesa manca la motivazione sui criteri che hanno indotto la Corte di
appello di Catania ad applicare l’aumento per la continuazione, in contrasto con
l’orientamento della Corte di Cassazione (la difesa richiama Cass. sez. 1, sentenza
del 15 novembre 1993).
2.5. La difesa di Vito Musumeci ha dedotto altresì il vizio di motivazione,
ritenendola apparente nella parte in cui la sentenza ha negato la continuazione
con i capi n, o e p) relativi all’arma.

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appello di Catania, per la difesa, si sarebbe limitata a ribadire genericamente

3. Il ricorso di Castorina Angelo.
3.1. Con il primo motivo il difensore di Castorina Angelo ha dedotto il vizio ex
art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 74 d.p.r. 309/90 e 110 cod.
pen. La difesa ha riportato un passo della motivazione della sentenza della Corte
di appello di Catania sulla distinzione tra il delitto ex art. 74 d.p.r. 309/1990 e
quello ex art. 416 cod. pen.
Secondo la difesa, la Corte di appello di Catania ha svolto un discorso unitario
per tutti gli imputati, richiamando le conversazioni e le testimonianze dei

capo Scuderi Francesco sulla base di elementi quali la turnazione lavorativa, la
ripartizione dei ricavi, il controllo del territorio e la ripartizione dei ruoli e dei
compiti. Secondo la difesa, però, gli elementi di prova che la Corte di appello di
Catania ha adoperato per motivare l’esistenza di un’associazione ex art. 74 d.p.r.
309/1990 coincidono con quelli necessari per la fattispecie del concorso di persone
nel reato.
Dopo aver riportato alcune massime della Corte di Cassazione, la difesa ha
affermato che il parametro di riferimento per distinguere tra il concorso di persone
nel reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, che al Castorina viene contestato al capo
b) della rubrica, e l’esistenza e la partecipazione all’associazione di cui all’art. 74
del D.P.R. 309/90, non consente di ritenere provata l’ipotesi accusatoria; per la
difesa, dall’attività di indagine emerge, tutt’al più, l’esistenza di una attività di•
cessione che rileva ex artt. 81 e 110 cod. pen. e fornisce la prova solo della
contestazione sub b).
Per la difesa, tale tesi è corroborata dalle risultanze delle video-riprese e delle
intercettazioni ambientali, nonché dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Secondo la difesa, in base a tali elementi non risulta provata l’affectio societatis,
la comune disponibilità a commettere una serie non preventivamente determinata
di delitti i quali, anche al di fuori dei singoli reati programmati, assicurino la propria
disponibilità duratura ed indefinita nel tempo al perseguimento del programma
criminoso del sodalizio.
Per la difesa, in base a quanto riportato nella CNR dei carabinieri di Piazza
Dante (sic), non emerge alcuna permanenza del vincolo associativo, ma al più è
stata rilevata l’esistenza di una continua rotazione dei partecipanti all’attività di
spaccio, dei quali soltanto alcuni hanno avuto un ruolo di rilievo e perdurante nel
tempo.
Per la difesa, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (Di Maggio, Nizza,
Seminara e Nicolosi), hanno reso possibile individuare l’esistenza di una piazza di
spaccio organizzata, con contorni diversi da quelli delineati nel capo d’imputazione,

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collaboratori di giustizia, ed ha ritenuto esistente una struttura gerarchica con a

ma certamente non è emerso alcun elemento dal quale si potesse evincere
l’esistenza dell’associazione.
Per la difesa i collaboratori di giustizia hanno riferito di un approvvigionamento
di stupefacenti che avveniva a prezzi notevolmente più alti rispetto a quello di altri
clienti, aspetto che suggerisce, secondo la tesi della difesa, l’assenza di qualsiasi
forma di associazione, la quale se fosse esistita avrebbe sicuramente assicurato
una fornitura, non a pagamento, di sostanza stupefacente, indispensabile per la
commissione del reato.
3.2. Quanto al contributo del Castorina nel reato a lui contestato, per la difesa

avvenuti gli accertamenti da parte della p.g.: le indagini, nel periodo dal dicembre
2012 al febbraio 2013, hanno appurato l’esistenza di una «piazza di spaccio», ma,
secondo la difesa, non è stato possibile dimostrare, in maniera certa, la perduranza
di un vincolo associativo e la disponibilità alla commissione di reati di altri specie,
essendo quello di spaccio, l’unico reato accertato.
Rileva altresì la difesa che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non
sono concordi nel riconoscere Angelo Castorina come responsabile del reato di cui
al capo b), in quanto soltanto due dei quattro collaboratori escussi hanno
indicativamente riconosciuto il ricorrente come soggetto dedito all’attività di
cessione.
Per la difesa manca la prova della sussistenza dell’accordo associativo, mentre
è provata solo un’attività di cessione di stupefacenti avvenuta nel quartiere di San
Cristoforo – all’angolo tra via Trovatelli e via della Lava – posta in essere tra più
soggetti, in concorso tra loro.
Per la difesa, la tesi seguita dal collegio decidente difetta dei presupposti
dell’elemento materiale del reato; il Castorina, afferma la difesa, per la
contestazione di cui al capo a) della rubrica, merita un giudizio di assoluzione. La
difesa ha quindi concluso per la riforma dell’ordinanza gravata (così nel ricorso).

4. Il ricorso del difensore di Giuseppe Fresta.
Il difensore di Giuseppe Fresta ha dedotto i vizi di violazione di legge e difetto
della motivazione con riferimento alla ritenuta partecipazione all’associazione sub
a) di Giuseppe Fresta e per il parziale travisamento degli atti sul periodo
contestato.
4.1. Secondo la difesa, la sentenza della Corte di Appello di Catania è viziata
da errore di diritto in relazione all’art. 74 D.p.r. 309/90, quanto alla ritenuta
partecipazione di Fresta Giuseppe alla associazione de quo.

elemento di assoluta rilevanza è l’arco temporale molto ristretto entro il quale sono

Rileva la difesa che la Corte di appello di Catania, nella premessa a pag. 21
della sentenza, afferma che la prova della sussistenza dell’associazione ex art. 74
d.p.r. 309/1990, «… stante la natura permanente del reato de quo, non può
essere assolta con l’allegazione della limitata durata dei rapporti con essi correi
intercorsi» (cit. Cassazione 6026/1997); inoltre, la Corte di appello di Catania fa
riferimento al «supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose per
distinguere il reato associativo dal concorso di persone nel reato continuato»
(pagg. 19 e 20 della sentenza).
4.2. Quanto alla partecipazione del ricorrente, a pag. 53, secondo la difesa,

sentenza della Corte di appello di Catania afferma, che: «Certa è la partecipazione
alla consorteria da parte del Fresta provata, indipendentemente dalla durata della
stessa, dall’intensità dell’attività svolta e dalla intercambiabilità del ruolo dallo
stesso assunto».
Rileva altresì la difesa che il ricorrente è stato coinvolto nelle attività illecite,
secondo l’attività di osservazione dei carabinieri, per soli 8 giorni, e cioè dal 7 al
14 dicembre 2012, e non un mese come erroneamente ritenuto in sentenza
(pagine 53 e 54).
4.3. La difesa ha riportato un passo della sentenza della Corte di appello di
Catania («Se è pur vero che il servizio di videoriprese ha ritratto il Fresta nello
svolgimento del ruolo ora di spacciatore, ora di corriere, ora di vedetta, per un
arco temporale ristretto – dal dicembre 2012 al gennaio 2013- ciò che rileva è
l’intensità dell’attività dello stesso svolta al pari di un vero e proprio dipendente»)
rilevando che la Corte di appello di Catania è incorsa nel travisamento dei fatti e
delle prove poiché Fresta Giuseppe è stato osservato dai carabinieri solo per 8
giorni e non per un mese, come erroneamente ritenuto in sentenza.
Per la difesa, tenuto conto che della durata della condotta, commessa da
soggetto incensurato, si è concretizzato solo il delitto, in continuazione, ex artt.
110 cod. pen. e 73 d.p.r. 309/1990.
Per la difesa, la motivazione della sentenza è viziata (pag. 53-54), laddove
attribuisce rilievo determinate, per la configurazione giuridica del reato
associativo, al requisito della «intensità dell’attività» svolta dall’imputato,
ancorché questa si sia manifestata in un periodo di tempo ristrettissimo.
Rileva altresì la difesa che la Corte di appello di Catania, a pag. 55 della
sentenza, da rilevanza alla ristrettezza temporale dell’attività illecita attribuibile al
ricorrente in modo contraddittorio con la premessa in diritto, non per escludere la
sussistenza dell’art. 74 d.p.r. 309/1990 ma per l’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche. Dopo aver riportato il passo della motivazione della sentenza

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in modo illogico e contraddittorio, in contrasto con i principi prima indicati, la

impugnata, rileva la difesa che il 4 gennaio 2013 il ricorrente fu tratto in arresto
per il delitto di cessione di stupefacenti in concorso con tale Bellia Claudio,
soggetto non imputato né nel procedimento né della partecipazione
all’associazione di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90.
Per la difesa, i vizi di violazione di legge e illogicità manifesta si rinvengono
nella motivazione della sentenza, a pag. 54 terzultima riga, laddove non si
attribuisce rilievo alle circostanze, favorevoli all’imputato, di non aver mai
partecipato alle riunioni del gruppo, alla consegna delle paghe o stipendi degli
associati e di abitare proprio nella via (via Alogna); è poi irrilevante per la difesa
la semplice presenza o permanenza sui luoghi ove egli abita.
Segnala la difesa che il ricorrente Fresta, dopo il suo arresto ha reciso
totalmente ogni contatto illecito con la consorteria; tali circostanze stridono, in
punto di diritto, con l’affectio societatis necessaria per la partecipazione ad una
associazione, che non viene meno sol perché il soggetto si trova ristretto in casa.
L’uscita di scena del Fresta, dopo il suo arresto, pur essendo egli in detenzione
nei luoghi ove opera la presunta associazione, dimostrerebbe che la condotta posta
in essere dall’imputato sia stata occasionale e limitata a pochi interventi sul
territorio, tale, quindi, da qualificarsi, più correttamente, nel delitto ex art. 73
d.p.r. 309/1990 in concorso con altri soggetti ed in continuazione di reati.
Per la difesa, le condotte poste in essere sono espressione di occasionali ed
accidentali collaborazioni con altri soggetti, al fine di commettere un numero ben
definito e limitato di fatti di piccolo spaccio su strada.
La difesa ha quindi richiamato la massima della sentenza della Corte di
Cassazione (Sez. 6 del 07/04/2012 n. 16563) ed invocato l’assenza del dolo.

5. Il ricorso del difensore di Condorelli Pietro.
Il difensore di Condorelli Pietro ha rappresentato che il ricorso è stato proposto
avverso il capo a) relativo al reato associativo.
Con il primo motivo, la difesa ha dedotto i vizi di cui all’art. 606 lett. b) ed e)
cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in
relazione all’art. 74 D.P.R. 309/90, e per la mancanza della motivazione,
affermando che la responsabilità dell’imputato è stata dichiarata, quanto al reato
associativo, su generici elementi riferibili in via astratta a tutti gli imputati, senza
che fossero presi in considerazione gli elementi a difesa del ricorrente.
Ha rilevato la difesa che la sentenza impugnata ha una parte generale
intitolata i «motivi comuni d’impugnazione» nella quale sono affermati alcuni
principi sulla natura del reato associativo, al fine di dimostrarne la sussistenza in
capo a tutti gli imputati, genericamente considerati.

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Dopo aver ricordato i principi espressi dalla sentenza, ha affermato la difesa
che la Corte di appello di Catania ha ridimensionato gli elementi costitutivi del
delitto ex art. 74 d.p.r. 309/1990, per affermarne la sussistenza, violando così
proprio tale norma.
Per la difesa, diversamente da quanto prospettato dalla Corte di appello di
Catania, non può attribuirsi la- responsabilità del reato associativo a tutti gli
imputati per il solo fatto di aver- preso parte ad una presunta organizzazione
criminale senza la prova di una loro compartecipazione consapevole al programma
criminoso. Per la difesa, se è vero che l’eventuale commissione di reati scopo

dimostrazione dell’esistenza di un accordo criminoso e di una struttura
organizzativa che abbia la caratteristica della permanenza.
Rileva la difesa che la Corte di Appello di Catania, dopo aver enucleato i criteri
con cui individuare la sussistenza di una associazione, ha delineato
l’organigramma dell’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti,
indicando coloro che gestivano o che svolgevano un ruolo determinante all’interno
del sodalizio: per la difesa, in tale contesto il nome del Condorelli Piero non è stato
citato, poiché il suo ruolo, secondo l’accusa, rientrerebbe nell’ambito della
manovalanza dell’associazione.
Rileva la difesa che per la Corte di appello di Catania la prova dell’esistenza
dell’associazione deriva in gran parte dalle dichiarazioni dei vari collaboratori di
giustizia i quali, secondo quanto da loro appreso sia direttamente che
indirettamente, concordemente hanno individuato un gruppo operante nella zona
di Via Alogna a Catania dedito alla cessione di sostanza stupefacente.
Rileva però la difesa che in tale contesto Condorelli Piero non è stato
menzionato né nell’organigramma della associazione né è stato indicato dai
collaboratori di giustizia come compartecipe o anche come mero spacciatore di
strada nonostante, come altri coimputati, viva dalla nascita nel quartiere ove si
sono svolti i fatti. Aggiunge la difesa che i collaboratori di giustizia, in sede di
individuazione fotografica, non hanno riconosciuto il Condorelli nemmeno come
abitante del quartiere. Rileva la difesa che la Corte di appello di Catania ha ritenuto
tale circostanza non determinante ed ha motivato che il Condorelli probabilmente
non è conosciuto da alcuno poiché incensurato. Per la difesa, tale sbrigativo
ragionamento non convince poiché non si comprende come l’incensuratezza
dell’imputato possa giustificare la circostanza che nessuno dei collaboratori lo
conosca.
Per la difesa, secondo il ragionamento della Corte di appello di Catania, la
semplice circostanza che il Condorelli concorse con altri soggetti in varie occasioni

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agevola la prova della sussistenza del delitto associativo, ciò non può esimere dalla

all’attività di cessione su strada basterebbe a fondare la sua responsabilità in
ordine al reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90, nonostante da tale attività non sia
emerso alcun elemento che dimostrerebbe la sua compartecipazione
all’associazione. Ha rilevato la difesa che nei quasi tre mesi di osservazione del
territorio, come per altro ammesso dall’odierno appellante (così è indicato nel
ricorso), il Condorelli in ben 9 giornate, il 10 e 12 dicembre 2012, il 16-17-18-2122 e 28 gennaio 2013 e infine in data 6 febbraio 2013, è stato video ripreso e
individuato tramite intercettazioni ambientali nell’atto di concorrere nell’attività di
cessione di sostanza stupefacente con altri soggetti.

cessione di sostanza stupefacente.
Rileva la difesa che anche il contenuto delle conversazioni intercettate in
ambientale che riguardano Condorelli Pietro concernono, nel parlare con altri
soggetti con i quali stava evidentemente spacciando sostanza stupefacente su
strada, solo l’attività di cessione nell’immediatezza.
Non vi sono frasi che lascino intendere che l’imputato conosca i componenti
dell’associazione o da cui presumere che partecipi a riunioni della associazione o
che rivelino la sua volontà o consapevolezza degli scopi dell’associazione.
Per la difesa le intercettazioni dimostrano solo che alcuni soggetti concorrono
nell’attività di cessione della sostanza stupefacente coadiuvandosi fra loro ma da
ciò non . può farsi discendere la sussistenza di un’associazione ex art. 74 D.P.R.
309/90 perché altrimenti non vi configurerebbe mai il reato di cui all’art. 110,81,74
(recte 73) D.P.R.309/90.
Per la difesa «è comunemente noto» che il delitto di cessione di sostanza
stupefacente quasi mai viene commesso da un singolo soggetto poiché per la sua
realizzazione si rende necessaria la concorrenza di più persone, che dividendosi i
compiti perseguono insieme lo scopo comune.
Per la difesa, poiché uno degli elementi discriminanti tra il delitto di cui all’art.
73 D.P.R. 309/90 e quello di cui al comma 5 è la rudimentale organizzazione, per
la realizzazione del primo delitto è quasi sempre presente un’attività più o meno
organizzata. Afferma allora la difesa che l’esistenza di un’attività organizzata fra
più persone per la commissione del reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 non può
ricadere nella previsione del reato molto più grave previsto dall’art. 74 D.P.R.
309/90 senza la presenza di altri elementi indicativi.
Sempre per la difesa, ove si provi l’esistenza di un’associazione dedita al
traffico di stupefacenti non necessariamente vi fanno parte coloro che svolgano
un’attività di cessione. Per delimitare la linea di confine tra il concorso nei singoli
fatti illeciti commessi e la partecipazione al vincolo associativo, la difesa ha

12

Per la difesa dalle intercettazioni e dalle videoriprese emerge solo l’attività di

richiamato il principio di diritto espresso da Cass. sez. 6, sentenza del 07 aprile
2011 n. 16563.
La difesa ha quindi affermato che, dal punto di vista materiale, Condorelli
Pietro, diversamente da quanto sostenuto apoditticamente dalla Corte di appello
di Catania, non ha alcun ruolo funzionale all’associazione: ha in più occasioni svolto
l’attività di cessione su strada senza che vi sia alcun elemento da cui poter ritenere
che la sua presenza sia stata in qualche modo funzionale e pertanto non sostituibile
da altro soggetto.

pagati a giornata a seconda delle esigenze e disponibilità di chi li ingaggiava di
volta in volta, che nulla sapevano in ordine alla presunta sussistenza di
un’associazione dedita al traffico di sostanza stupefacente.
Per la difesa non può ritenersi provata la compartecipazione di Condorelli
Pietro all’associazione di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90 individuata nel territorio
catanese di San Cristoforo, poiché agli atti manca la prova che egli abbia rivestito
un ruolo funzionale e che abbia consapevolmente e volontariamente aderito al
programma delittuoso dell’associazione.
Conclude la difesa che la circostanza che il ricorrente sia sconosciuto ai
collaboratori di giustizia si pone in contrasto con quanto aprioristicamente
affermato nella sentenza impugnata allorchè ha indicato Condorelli Pietro come
compartecipe all’associazione.

6. Il ricorso del difensore di Marino Filippo.
6.1. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto il vizio ex artt. 606 lett. c) cod.
proc. pen. per la violazione degli artt. 141 bis e 191 cod. proc. pen.
La difesa ha eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore
di giustizia Davide Seminara in quanto l’individuazione fotografica eseguita
nell’interrogatorio del collaboratore di giustizia non risulta registrata, in violazione
dell’art. 141 bis cod. proc. pen. e tenuto conto della sentenza delle Sezioni Unite
della Cassazione n. 9 del 25/03/1998.
Per la difesa le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che
l’omessa registrazione ha natura invalidante assoluta dell’atto e impedisce l’utilizzo
dell’atto assunto senza le formalità previste dalla legge. Per la difesa il richiamo
del comma 3 dell’art. 16 quater del D.L. n. 8 del 1991, conv. con L. n. 82 del 1991,
– quale introdotto dalla L. n. 45 del 2001, – quanto alle modalità di redazione del
verbale illustrativo, all’art. 141 bis cod. proc. pen. riguarda anche la sanzione di
inutilizzabilità e si applica anche nel caso di dichiarante non detenuto ma soggetto
a restrizioni.
13

Per la difesa, Condorelli Pietro è uno dei tanti ragazzi presi dal quartiere e

6.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto il vizio della motivazione in
relazione all’art. 192 commi 2 e 3 cod. proc. pen.
Per la difesa, la Corte di appello di Catania (pagine 34 e seg.) ha confermato
il giudizio di responsabilità del ricorrente, per i reati a lui contestati già espresso
dalla sentenza di primo grado, in base ai contenuti delle videoriprese, alle
intercettazioni ambientali ed alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Seminara Davide e Di Maggio Goffredo.
Per la difesa la Corte di appello di Catania non ha fornito un’esaustiva e
convincente risposta alle specifiche censure mosse dalla difesa alla sentenza di

appello di Catania ha ritenuto che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
fossero riscontrate dalle videoriprese ed ha ritenuto che le contestazioni difensive
riguardassero solo alcune delle riprese effettuate (pag. 35).
Per la difesa, la Corte di appello di Catania non ha tenuto conto che le accuse
rivolte da Di Maggio Goffredo riguardano condotte poste in essere dal Marino
quando era minorenne e, pertanto, sono inutilizzabili per la valutazione di condotte
illecite integranti la violazione degli artt. 74 e 73, così come contestate.
Per la difesa, la Corte di appello di Catania, nel ritenere riscontrate le
dichiarazioni di Seminara Davide dalle videoriprese effettuate, ha violato l’art. 192
cod. proc. pen. perché ha trascurato le specifiche doglianze difensive e l’analisi
puntuale e dettagliata di tutti i filmati della telecamera uno (che riprendeva la zona
dello spaccio al minuto) e della telecamera due (che riprendeva la piazza vicina
alla zona dove avvenivano le cessioni di sostanza stupefacente agli acquirenti)
contenute nel primo motivo di appello 1) sub a e b.
Per la difesa, poi, l’asserita identificazione del ricorrente sulla base dei
ciclomotori utilizzati (Honda SH 300, targato DW 40512 e Honda SH, targato
40562) si fonda su un travisamento della prova, poiché la pessima qualità dei
filmati, riconosciuta dalla sentenza di primo grado, non ha permesso di rilevare ed
identificare il numero di targa dei mezzi utilizzati (cfr. la consulenza tecnica agli
atti, relativamente allo scooter Honda SH 40562).
Rileva altresì la difesa, quanto allo scooter Honda SH 300 targato DW 40512,
che dal controllo effettuato dagli inquirenti (trasfuso nell’allegato 131 agli atti)
emerge che la persona identificata a bordo del ciclomotore non fosse il ricorrente.
Per la difesa, anche il riscontro alle dichiarazioni del collaborante Seminara,
adoperato dalla Corte di appello di Catania, è fondato sul travisamento della prova.
Per la difesa, le dichiarazioni del collaborante Seminara divergono e sono in
contrasto con quelle rese dal Di Maggio e sono smentite dal Nicolosi (quest’ultimo
cognato del noto collaboratore Nizza Fabrizio), il quale ha indicato «come persone
14

primo grado, relative all’affidabilità delle videoriprese; per la difesa, la Corte di

di fiducia dello Scuderi e, comunque, come cointeressati al prelievo degli acquisti
della droga» persone diverse dal ricorrente.
Per la difesa, le dichiarazioni del Di Maggio non sono riscontrate né da altre
dichiarazioni né dagli esiti dell’attività investigativa svolta, rappresentata dalle
videoriprese i cui filmati, di pessima qualità, non permettono l’identificazione della
persona ripresa con quella del ricorrente.
• 6.3. Con il terzo motivo la difesa ha dedotto, ex .art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., il vizio della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento, nel

attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.
Per la difesa la sentenza in esame si limita ad affermare che appare corretta
la motivazione sul punto effettuata dal giudice di primo grado e che, in aderenza
ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., relativi alla natura, all’entità e alle
modalità di esecuzione dei reati contestati al ricorrente, la sentenza di primo grado
debba essere confermata anche in relazione alla pena inflitta.
Per la difesa la motivazione è apparente in quanto non ha compiutamente
esaminato le censure rivolte con l’appello, non ha esplicitato in maniera concreta
il contenuto dei parametri di riferimento contenuti nell’art. 133 cod. pen. che sono
meramente enunciati.
6.4. Con il quarto motivo la difesa ha dedotto, richiamando l’art. 606 lett. e)
cod. pen., il vizio della motivazione in relazione al quantum di pena irrogata a
titolo di continuazione, sia quanto per i delitti contestati sia quanto al reato
giudicato con la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catania, sez. Minori.
Rileva la difesa che la Corte di appello di Catania ha aumentato di un anno la
pena per la continuazione con il reato ex art. 73 d.p.r. n. 309/90, trascurando il
modesto arco temporale in cui l’attività di spaccio si è consumata. Per la difesa è
incongruo l’aumento irrogato ex art. 81 cod. pen. per le condotte di cui alla
sentenza della Corte di Appello, sez. Minori.

7. Il ricorso del difensore di Scuderi Antonino.
Il difensore di Scuderi Antonino ha dedotto i vizi di violazione di legge e della
motivazione ritenendola apparente, contraddittoria ed illogica.
7.1. Per la difesa, la Corte di appello di Catania, nonostante le doglianze
difensive, ha condiviso il giudizio della sentenza del giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Catania, commettendo gli stessi errori logico-giuridici.
Per la difesa, la Corte di appello di Catania è venuta meno all’obbligo di verifica e
riscontro controfattuale della lettura alternativa offerta dalla difesa e delle
contraddizioni che emergono sul piano probatorio.

15

giudizio ex art. 69 cod. pen., della prevalenza delle concesse circostanze

Per la difesa, la Corte di appello con la motivazione non ha superato il
complesso di prove definito dalla difesa insufficiente e fortemente dubbioso, privo
di riscontri volti a confermare la tesi dell’accusa.
Ha rilevato la difesa di aver dedotto la discordanza delle dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia, ma che non vi è traccia nella sentenza della risposta alla
contestata inutilizzabilità di tali dichiarazioni; per la difesa, tali dichiarazioni sono
recepite senza una reale argomentazione ‘e riscontri e senza tener conto della
giurisprudenza sulla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La
difesa ha affermato che (richiamando la sentenza della Corte di Cassazione, sez.

ruolo e sul contributo causale fornito dall’imputato alla commissione del delitto, le
dichiarazioni non sono scindibili senza fornire una logica spiegazione delle ragioni
delle versioni in contrasto e senza esplicitare i motivi che convincono il giudice
dell’attendibilità dei due dichiaranti e delle dichiarazioni rese nella parte che risulta
coincidente. La difesa ha richiamato l’obbligo di motivazione rafforzata in tal caso,
non potendo il giudice omettere di affrontare la questione e spiegare le ragioni per
cui l’inattendibilità parziale delle dichiarazioni, non incide sull’attendibilità del
dichiarante. La difesa ha richiamato alcune massime della Corte di Cassazione.
7.2. Con il secondo motivo, al punto b), la difesa ha dedotto che la
motivazione della sentenza impugnata è assolutamente carente sulla sussistenza
del reato associativo.
La difesa ha indicato in diritto gli estremi della condotta di partecipazione al
delitto associativo, in relazione all’elemento oggettivo ed al dolo, ed ha criticato la
motivazione della sentenza impugnata ritenendola non connotata da logicità nella
parte in cui ha inquadrato la condotta degli imputati nella fattispecie associativa;
per la difesa, manca il quid pluris per distinguere le condotte dall’ipotesi di
concorso nel reato di cessione di stupefacenti.
Per la difesa, la motivazione della Corte di appello di Catania è apparente in
quanto a) vengono richiamati degli incontri fra i presunti sodali (pagg. 71 e 72
della sentenza) che si esauriscono in arco temporale di ben 13 giorni privi di un
concreto peso probante poiché non vi è alcuna cessione di sostanza stupefacente
o condotta concretamente ausiliare all’associazione; b) si disattende che lo stesso
ricorrente non è mai stato direttamente partecipe a degli episodi occasionali di
vendita della sostanza, di cui non si sa neanche la provenienza, la quantità, la
qualità e il tipo; c) la stessa sostanza, mai rinvenuta in possesso dello Scuderi,
non può essere attribuibile allo stesso data la mancanza di concreti riscontri in
merito; d) il richiamo a episodi di contatto con i sodali è contraria ai principi della
giurisprudenza per la quale la condotta di partecipazione ad associazione di tipo
16

1, n. 468/2001, Orofino) in caso di divergenze tra le dichiarazioni accusatorie sul

mafioso è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più
che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione
del quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a
disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Pertanto, sostiene la difesa che la mera contiguità compiacente, la vicinanza
o disponibilità nei riguardi di singbli esponenti, anche di spicco, del sodalizio
mafioso, non qualificano la condotta del partecipe (Cass., sez. 1, n. 25799/15).
Per la difesa, la motivazione non ha tenuto conto che, secondo la giurisprudenza,

spaccio a carattere continuativo, qualora sia accertata l’assenza di una preordinata
e stabile distribuzione dei compiti tra i partecipanti alle azioni di spaccio e la
presenza di una certa interscambiabilità dei ruoli tra di essi; inoltre, lo scambio di
informazioni sui soggetti disposti a vendere e comprare la sostanza stupefacente,
nonché sull’entità dei prezzi volta per volta pattuiti sembrano sintomatici di
un’attività estemporanea di una ricerca occasionale di un buon affare (Cass. Sez.
6, 8 maggio 2013). Per la difesa dunque la motivazione è incompleta, è carente
nell’esame delle questioni poste dalle allegazioni difensive e illogica in alcuni dei
passaggi motivazionali che fondano il percorso argomentativo.
7.3. Al punto c) la difesa rileva che l’accusa di cessione di stupefacenti è stata
giustificata sulla scorta di un solo episodio in cui lo stesso Scuderi è stato avvistato
in compagnia del Marino cedere al «lanciatore» un’ipotetica partita di droga. Per
la difesa sul punto la motivazione è contradditoria perché riconosce che non sono
stati rilevati singoli episodi nei quali il ricorrente abbia provveduto personalmente
a cedere agli acquirenti lo stupefacente; inoltre, manca la prova se realmente
quella cessione fosse di droga e di che tipo, qualità, quantità fosse la stessa. Per
la difesa, la sentenza è apodittica nell’affrontare il tema; richiama (come il Giudice
di primo grado) la vicenda ma disattende le risultanze processuali e i criteri per la
configurabilità o meno del reato: nonostante le prospettazioni difensive, la Corte
di appello di Catania ha redatto una motivazione illogica e apparente. La difesa ha
quindi chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.

8. Il ricorso del difensore di fiducia di Venuto Orazio.
8.1. Con il primo motivo la difesa di Venuto Orazio ha dedotto i vizi ex art.
606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art.74 commi 1, 2 e 3 del D.P.R.
n.309/1990.
Per la difesa la sentenza della Corte di appello di Catania è affetta dai vizi di
erronea applicazione della legge e di mancanza di adeguata e valida motivazione

17

non sussiste il reato di cui all’art. 416 cod. pen. ma il concorso di persone nello

in ordine alla ritenuta responsabilità penale del ricorrente per i reati ascrittigli.
Ritiene la difesa che vi sia stata l’erronea applicazione dell’art. 74 d.p.r. 309/1990
in relazione al costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione
secondo cui «… l’inserimento del soggetto nell’associazione deve essere verificato
con rigore, non potendosi escludere che il sodalizio possa servirsi in modo
estemporaneo di esecutori arruolati e non necessariamente consapevoli
dell’esistenza, di una stabile realtà organizzativa o comunque aderenti ad essa …»
(Cass. Sez. 6, 22 /10/2003, n. 49556).
Per la difesa, la sentenza di condanna si basa essenzialmente su un

Senninara Davide, il quale ha dichiarato solo di ricordare di averlo visto sulle scale
di Via Alogna, senza specificare alcunché e senza riuscire ad attribuirgli alcun
ruolo. Per la difesa, la chiamata in reità è formulata in maniera generica in quanto
non fornisce alcuna indicazione della condotta associativa in concreto posta in
essere, non specificando il ruolo ricoperto all’interno della presunta associazione.
Per la difesa il vizio della motivazione sussiste anche in ordine alla
condivisione, da parte del Venuto, del programma criminale dell’associazione
facente capo a Scuderi Francesco, desunta dalle videoriprese. Per la difesa, le
videoriprese invece documentano solo un brevissimo periodo in cui vi è stata
l’attività di cessione da parte di un soggetto tossicodipendente; breve periodo
riconosciuto anche dalla Corte di appello di Catania.
Per la difesa, le indagini si basano su una serie di intercettazioni ambientali e
su servizi di video osservazione che hanno avuto inizio nel dicembre 2012 e si
sono conclusi nel mese di marzo 2013. Durante tale periodo, il presunto
coinvolgimento del Venuto nella consumazione dei reati fine è stato assolutamente
occasionale, relativo ad un arco temporale di soli dieci giorni, tra il 4 ed il 14
febbraio 2013. Per la difesa è irrilevante l’episodio ripreso sulla piazza in data 28
gennaio 2013 in quanto in esso si contesta solo che l’imputato proveniva da Via
Trovato. Per la difesa, la presenza del Venuto su Via trovatelli, Via della Lava risulta
assolutamente limitata nel tempo, riducendosi a soli tre episodi di concorso alle
singole cessioni di sostanza stupefacente del tipo marijuana avvenute in data 06,
13 e 14 febbraio 2013, come si evince dalle stesse videoriprese menzionate dalla
Corte di Appello. Rileva la difesa che in questi tre giorni sono state sequestrate in
tutto otto dosi di marijuana (due dosi in data 06 febbraio 2013; tre dosi
rispettivamente il 13 e il 14 febbraio 2013). Per la difesa, tale circostanza esclude
di per sé l’appartenenza del Venuto all’associazione sub a), per la partecipazione
alla quale è richiesto un vincolo permanente stabile.

18

riconoscimento generico del Venuto da parte del collaboratore di giustizia

La difesa ha quindi richiamato il principio di diritto di cui alla sentenza della
Cass., sez.6 del 7 aprile 2011 n.16253 ed ha osservato che se la partecipazione
del Venuto agli episodi di cessione è iniziata il 4 febbraio 2013 ed è cessata il 14
febbraio 2013, come riconosciuto dalla Corte di appello di Catania, il ruolo svolto
dal ricorrente non ha il carattere di stabilità ma è espressione solo di un’adesione
occasionale di un soggetto tossicodipendente, senza alcuna coscienza e volontà di
far parte e di contribuire allo sviluppo dell’associazione. , *
8.2. La difesa ha poi dedotto la mancanza della motivazione quanto
all’esclusione dell’aggravante, sulla partecipazione di persone dedite all’uso di

difesa con i motivi di appello evidenziando che l’imputato è tossicodipentente,
come indicato dal Sert di Catania 2 fin dal 2 marzo 2010 e nuovamente dal 27
marzo 2013, a seguito dell’arresto avvenuto il 16 febbraio 2013 per il delitto di
cessione di stupefacenti, ed è agli arresti domiciliari in comunità terapeutica. La
difesa ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione (sez. 6 n. 12845 del
2007) che ha escluso che tale circostanza aggravante possa essere applicata
anche nei confronti dell’associato tossicodipendente. Rileva la difesa che il
ricorrente, quale tossicodipendente, è semmai vittima dell’organizzazione che usa
il suo stato per trarne vantaggi economici.
8.3. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto, ex art. 606 lett. b) ed e) cod.
proc. pen., i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla mancata
qualificazione dei fatti nel delitto di cui al comma 5 dell’art. 73 d.p.r. 309/1990.
Rileva la difesa che la Corte di appello di Catania ha riconosciuto che il Venuto sia
stato osservato nella piazza di spaccio per un breve periodo di tempo in relazione
al corso dell’indagine; ha ribadito che la sua partecipazione si riduce a soli tre
episodi di cessione di sostanza stupefacente tipo marijuana nelle date del 6, 13 e
14 febbraio 2013 e che sono state sequestrate in tali occasioni solo 8 dosi di
marijuana: per la difesa, pertanto, i fatti potevano essere qualificati nel delitto di
cui al comma 5 dell’ad. 73 d.p.r. 309/1990.

9. Il ricorso del difensore di Privitera Gaetano.
Il difensore di Privitera Gaetano ha dedotto i motivi di cui all’art. 606 lett. b)
ed e) in relazione all’ad. 74 D.P.R. 309/90, ritenendo sussistente l’illegittima
applicazione di legge quanto alla ritenuta partecipazione di Privitera Gaetano
all’associazione ex art. 74 DPR 309/90.
9.1. Per la difesa, la condanna inflitta al Privitera per il delitto ex art. 74 DPR
309/90 è illegittima perché è stata ritenuta la partecipazione del Privitera al
pactum sceleris sulla base di argomenti pretestuosi, errati ed illegittimi. Per la
19

sostanze stupefacenti, di cui al comma 3 dell’ad, 74 d.P.R.n.309/90 richiesta dalla

difesa, la Corte di appello di Catania ha valutato in maniera illegittima una sola
parte delle risultanze in atti ed ha fornito una motivazione non conforme ai recenti
orientamenti giurisprudenziali. Per la difesa non vi è la prova che Privitera Gaetano
abbia effettivamente posto in essere la condotta addebitata o che questa condotta
abbia fornito un apporto individuale apprezzabile e non episodico tale da integrare
un contributo alla stabilità del vincolo associativo, destinato a durare nel tempo
per l’attuazione del programma criminoso?
Per la difesa ciò emerge dalle seguenti circostanze di fatto. Privitera Gaetano
non è mai presente nell’indagine precedente effettuata da giugno ad ottobre 2012.

circoscritta al periodo dal 4 dicembre 2012 al 13 febbraio 2013. Privitera ignorava
completamente l’esistenza di una associazione e del suo programma. La presenza
del Privitera è racchiusa in soli due mesi, mentre il gruppo ha operato per ben dieci
mesi.
9.2. Per la difesa, la Corte di appello di Catania ha omesso di valutare le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: rileva la difesa che Di Maggio Goffredo
e Nizza Fabrizio non conoscono il Privitera; Seminara Davide lo conosce come un
soggetto che lavora all’antico Corso presso una trattoria ed ha riferito che il
Privitera gli disse: «che avrebbe lavorato e non si sarebbe occupato di spaccio».
Per la difesa, con tali elementi è assolutamente apodittico ritenere che il Privitera
faccia parte di un’associazione finalizzata alla cessione di stupefacenti.
La difesa ha quindi richiamato le sentenze della Corte di Cassazione che
indicano che gli elementi costitutivi del reato ex art. 74 d.p.r. 309/1990 sono la
formazione e la permanenza del vincolo sociale teso alla realizzazione di un
numero indeterminato di delitti previsti dall’art. 73 del DPR 309/90. Per la difesa,
l’accordo deve essere perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti
programmati: deve sussistere un contributo apprezzabile di ciascuno degli
associati, sicché ove tale contributo risulti episodico, anche quando ridondi a
favore dell’associazione, dovrà escludersi l’appartenenza al sodalizio.

10. Il ricorso del difensore di Musumeci Salvatore.
10.1. Con il primo motivo la difesa ha dedotto il vizio di errata applicazione
della legge penale in relazione agli artt. 187, 192 e 533 cod. proc. pen., per
insufficienza della prova oltre ogni ragionevole dubbio della commissione del reato
di spaccio di sostanze stupefacenti (capo c).
La difesa ha premesso che la p.g., osservando il video, ha riconosciuto nel
ricorrente l’autore della cessione, avvenuta il 4 dicembre 2012, di un involucro di
sostanza stupefacente verosimilmente di tipo cocaina; rileva la difesa che la

20

Nell’indagine svolta dal novembre al marzo 2013 la presenza del Privitera è

sostanza fu posta in sequestro ma non fu sottoposta ad analisi chimiche al fine di
appurarne l’effettiva qualità stupefacente nonché la presenza di THC (così nel
ricorso).
Rileva la difesa che la Corte di appello di Catania (pag. 39 e 40) ha sostenuto
la superfluità delle analisi tossicologiche de quo considerata l’ampia indagine in cui
la singola condotta dell’imputato è inserita. In più, secondo la difesa, ha cercato
riscontro nelle dichiarazioni. di alcuni collaboratori di giustizia che si limitano a
riconoscere l’imputato e indicano precedenti attività illecite dello stesso.

richiamando la giurisprudenza ed affermando, in sintesi, che senza la presenza del
principio attivo non sussiste il delitto ex art. 73 d.p.r. 309/1990; che un giudizio
di colpevolezza formulato in totale assenza di analisi che permettano di valutare
la stessa natura di stupefacente della sostanza è illegittimo poiché la materia esula
dal libero convincimento del giudice. Per la difesa nel caso in esame vi è una
insufficienza di prove con conseguente lesione del principio di non colpevolezza.
10.2. Con il secondo motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge
penale ai sensi dell’art.606 lett b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 73 D.P.R.
309/90.
Secondo la difesa, i giudici di merito hanno ritenuto configurata la violazione
della normativa dettata sugli stupefacenti in assenza della prova sulla effettiva
violazione. Dopo aver indicato quale sia il bene giuridico tutelato dalla norma, ha
ricordato la difesa che la nozione di stupefacente ha natura legale perché deriva
dalle tabelle in cui le sostanze sono elencate. È quindi necessario accertare se una
sostanza possa definirsi stupefacente, perché inserita nelle tabelle e se abbia in
concreto un effetto drogante.
Afferma la difesa che nel caso in esame, indipendentemente dal principio
attivo della sostanza, manca l’analisi circa la natura di sostanza stupefacente,
presuntivamente ritenuta dagli inquirenti, prima, e dal giudice di primo grado poi
stupefacente in base alla forma e al peso della stessa (così nel ricorso).
La Corte di appello di Catania ha ribadito tale ricostruzione senza però una
giustificazione tecnico giuridico sulle ragioni che hanno determinato la condanna
e la concretizzazione della norma penale, posto che non sono stati eseguiti il
narcotest e l’indagine sul principio attivo contenuto nella sostanza.
Per la difesa, la motivazione della Corte di appello di Catania è apparente
quando si è riportata al principio giurisprudenziale in base al quale per
l’accertamento della natura in ipotesi stupefacente della sostanza, pur in assenza
di perizia, è possibile utilizzare dichiarazioni testimoniali o confessorie, il risultato
degli accertamenti di p.g., il narcotest, e simili (pag. 40 secondo cpv. della
21

In diritto, la difesa ha ripreso gli argomenti indicati nell’atto di appello

sentenza). La difesa ha affermato che manca la prova della lesione del bene
giuridico protetto in assenza dell’accertamento sulla sussistenza del principio
attivo.
10.3. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto la «Erronea interpretazione di
legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della
continuazione c.d. esterna tra i capi e) e d) e la sentenza n. 647/13 del Tribunale
di Catania, Sez. II.»
Per la difesa, la motivazione è apparente, in quanto non vengono indicati gli

valutare gli elementi indicati dalla difesa nei motivi di appello ed in particolare,
trascurandosi che i reati sono identici, avvenuti senza soluzione di continuità, che
unica è l’ideazione volitiva e programmatica dell’imputato.
Ha rilevato la difesa che il ricorrente era agli arresti domiciliari a seguito
dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania del
12 dicembre 2012; il 16 febbraio 2013 fu tratto in arresto per il reato di evasione
e condannato con sentenza emessa dal Tribunale di Catania il 7 marzo 2013 a
mesi 6 giorni 20 di reclusione.
Rileva la difesa che è stata riconosciuta la continuazione interna tra i reati
contestati ex art. 385 cod. pen. commessi il 4 dicembre 2012 (capo D), 10
dicembre 2012, 26, 29 e 31 gennaio 2013; 3, 6 e 7 febbraio 2013 (Capo E) ma
non con il reato di evasione commesso il 14 febbraio 2013.
Per la difesa, con motivazione apparente e disancorata dalle risultanze
processuali, la Corte di Appello ha afferma che «infondata appare, inoltre, la
richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione anche con il reato di
evasione di cui alla sentenza del Tribunale del 14.03.2013, non potendosi ritenere
sussistente un medesimo disegno criminoso tra le condotte illecite ma solo
una tendenziale pervicacia a delinquere» (pag. 41, quarto cpv. sentenza).
La difesa ha quindi ricordato gli indici rivelatori dell’identità del disegno
criminoso in particolare quanto alla violazione degli arresti domiciliari. Afferma
la difesa che è illogico parlare di pervicacia a delinquere quanto alla condotta del
14 febbraio, dopo aver riconosciuto la continuazione tra i capi c) ed e) perché
l’imputato ha compiuto tutte le condotte con il medesimo modus operandi, a
distanza ravvicinata l’una dell’altra, ponendo fine a tali condotte solo dopo l’arresto
del 14 febbraio 2013.
Per la difesa, la Corte di appello di Catania avrebbe dovuto scendere nel
concreto delle condotte illecite contestate: se è vero che l’accertamento del
requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto
rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile

22

elementi di discontinuità tra ì fatti oggetto dei due procedimenti, omettendosi di

in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Cass.
Sez. 6, n. 49969 del 21/09/2012, Pappalardo, Rv. 254006), però la valutazione
deve essere realmente effettuata dal giudice del merito, che ne deve dare atto in
motivazione.
10.4. Con il quarto motivo, la difesa ha dedotto il vizio di motivazione in ordine
alla negazione delle attenuanti generiche e di violazione di legge in relazione
all’art. 133 cod. pen.
10.4.1. Per la difesa, la motivazione con cui la Corte di appello di Catania ha

disancorata dalla valutazione del singolo imputato e dei motivi di appello. Rileva
la difesa che con l’appello aveva chiesto di proporzionare la pena da infliggere in
relazione all’età, all’immaturità ed al contesto sociale in cui la condotta contestata
fu posta in essere. Rileva la difesa che nella motivazione si fa solo riferimento
all’assenza di elementi di segno positivo ai fini della concessione delle invocate
circostanze ignorando il comportamento processuale tenuto dall’imputato.
10.4.2. Per la difesa, quanto alla determinazione della pena, quanto più il
giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare
ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando
specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall’art. 133 cod.
pen., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere
.

che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla
entità del fatto e alla personalità dell’imputato.
La difesa ha richiamato alcune massime sull’obbligo di motivazione del giudice
in tema di circostanze attenuanti generiche e quanto alla entità della pena
applicata; rileva infine la difesa che a fronte di una specifica critica nessuna
motivazione è stata data dalla Corte di appello di Catania.

11. Il ricorso di Costanzo Giovanni, di Spanò Francesco e di Titola Marco
Filippo.
Il difensore di Costanzo Giovanni, di Spanò Francesco e di Titola Marco Filippo
ha proposto ricorso deducendo l’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, ex art. 606 lett b) cod. proc. pen.; per la difesa, la Corte di Appello di
Catania ha confermato la sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare di
Catania rigettando i ricorsi presentati dal Procuratore della Repubblica di Catania
e dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania che avevano ad
oggetto il mancato riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152/91.
Per la difesa, la Corte di appello di Catania non ha motivato sulle condotte di
partecipazione ascritte ai ricorrenti in relazione al delitto di cui all’art. 74 d.p.r.

23

rigettato• l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è apparente, è

309/90, ritenendo a priori la loro partecipazione nonostante sia stato dimostrato
la quasi assenza di organizzazione al gruppo e la loro sporadica partecipazione.
Per la difesa, manca altresì la motivazione sull’applicazione di una pena così aspra
nei confronti di soggetti così giovani.

11. Il ricorso del difensore di Spanò Gaetano.
Il difensore di Spanò Gaetano ha proposto ricorso deducendo i vizi ex art.
606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per l’erronea applicazione della legge penale e
per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

a seguito delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria nel Catanese tra l’anno 2012
sino al mese di marzo 2013, sulle intercettazioni telefoniche tra il ricorrente e
alcuni dei coimputati e sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di alcuni
collaboranti di giustizia.
Per la difesa, non è stata raggiunta la prova della penale responsabilità di
Spanò Gaetano per il reato ex art. 74 D.P.R. 309/90 perché le intercettazioni
provano al più il delitto ex artt. 110 cod. pen. e art. 73 d.p.r. 309/1990.
Rileva la difesa che il Giudice di primo grado ha ritenuto che il coinvolgimento
di Spanò Gaetano troverebbe ri s contro nel ritrovamento in data 18 dicembre 2012
della somma di euro 120,00, considerata la paga per l’attività prestata nel turno
serale. Per la difesa, non vi è prova che questa somma fosse la paga per il lavoro
svolto e l’affermazione è una mera supposizione priva di riscontro processuale.
Rileva altresì la difesa che il Giudice ha indicato che l’odierno imputato è stato
visto mediante le videoriprese una sola volta mentre effettuava per strada cessioni
di sostanza stupefacente. Però, per la difesa, il Giudice ha sostenuto che in 9
occasioni le immagini documenterebbero la prevalente attività di «lanciatore»:
rileva la difesa che in tutte le date menzionate dal Giudice non vi è riscontro da
parte della p.g. dell’avvenuto lancio di sostanza stupefacente da parte dello Spanò
Gaetano: per la difesa, si tratta di lanci di oggetti non sottoposti a sequestro,
sicchè che si tratti di stupefacente è il frutto della sola attività di osservazione della
p.g. Ha aggiunto la difesa che le intercettazioni relative a Spanò Gaetano sono
tutte concentrate nell’arco di soli tre mesi.
Per la difesa, i rapporti tra lo Spanò e gli altri coimputati sono stati relativi
solo all’attività di cessione di poca quantità di sostanza stupefacente ma non vi è
prova, in fatto e in diritto, dell’esistenza di un patto criminoso tra l’odierno
imputato e il gruppo criminale né della sua consapevolezza di farne parte; per la
difesa non è provata la partecipazione dello Spanò all’associazione di cui all’art.
74 D.P.R. 309/90.

24

11.1. Rileva la difesa che la condanna per il reato associativo è stata fondata,

La difesa ha quindi indicato gli elementi costitutivi del delitto ex art. 74 d.p.r.
309/1990 ed ha richiamato alcune sentenze della Corte di Cassazione (sez. 6, 7
aprile 2003, n. 23798; sez. 4, 13 dicembre 2000, Coco, C.E.D. N. 218731) sulla
prova della condotta di partecipazione, con particolare riferimento al rapporto tra
il fornitore e il venditore al minuto, e sulla durata dell’accordo criminoso (Cass.
Sez. 734/2014). Per la difesa, per il materiale probatorio raccolto durante
l’istruttoria dibattimentale, in base agli orientamenti richiamati non è possibile
affermare la presenza di un vincolo associativo tra lo Spanò e gli altri imputati.

vendita di sostanza stupefacente da parte dello Spanò in una singola occasione
(come ritenuto dallo stesso Giudice) che per numero di episodi, quantità di
sostanza e modalità del fatto non comporta il raggiungimento della prova circa la
presenza di un programma criminale indeterminato né della presenza di una
a ffectio societatis.
Per la difesa, dalle prove acquisite nel processo emerge la sporadicità e
limitatezza temporale della condotta di spaccio di Spanò Gaetano, la minima
offensività della condotta, la fungibilità del ruolo dello Spanò, la mancanza di
consapevolezza della presenza di una struttura organizzata.
Rileva la difesa che le dichiarazioni dei pentiti non toccano minimamente la
posizione dell’odierno imputato.
Pertanto, per la difesa non si può affermare che lo Spanò Gaetano abbia
partecipato scientemente e volontariamente all’associazione di cui all’art. 74
D.P.R. 309/90 descritta nel capo a) della rubrica; non si può considerare provato
che l’attività di spaccio posta in essere e confessata dall’odierno imputato abbia
«superato la soglia del rapporto sinallagmatico per integrarsi nella realizzazione di
un rapporto societario che riconduce la partecipazione dei singolo al progetto
criminoso stabile e indeterminato nel numero dei reati fine proprio del reato ex
art. 74 D.P.R. 309/90» (Cass. Sez. 3, 734/2014) e che, allo stesso modo abbia
compiuto una attività continuativa «che trascende il significato negoziale delle
singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che
facilita lo svolgimento dell’intera attività criminale» (si richiama Cass. Sez. 5
n.10077/1997, Rv. 208822).
11.2. Per la difesa, qualora si ritenesse provata la responsabilità dello Spanò
Gaetano per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90, il fatto va qualificato nel
comma 6, tenuto conto del carattere rudimentale dell’organizzazione, dei
quantitativi di cocaina, sia acquistati che ceduti a terzi, che non raggiungono
grosse quantità, come risulta dai capi di imputazione, della reale dimensione
dell’organizzazione per il numero di soggetti coinvolti nell’ attività delittuosa.

25

‘)

Per la difesa ciò che emerge dalle intercettazioni, è, semmai, l’avvenuta

Per la difesa il carattere temporalmente e soggettivamente circoscritto
dell’attività di cessione non è di per sé incompatibile con la lieve entità del fatto,
neppure quando si traduca in una condotta continuativa.
Per la difesa, vanno valutati congiuntamente il dato quantitativo e qualitativo
della sostanza e gli altri parametri; la condotta di Spanò Gaetano ha avuto un
carattere circoscritto, avuto riguardo ai quantitativi di sostanza ed alle somme
impiegate per il relativo acquisto, sia avuto riguardo alle modalità di reperimento
della sostanza, per quanto lui riguarda, nella sola città di Catania.

escluso qualsiasi riferimento ad approvvigionamenti attraverso una fitta rete di
fornitori in luoghi disparati ed accertato l’utilizzo anche personale di una parte
della sostanza acquistata – vi è la ridotta offensività della condotta con possibile
applicazione del comma 6 dell’art. 74 D.P.R. 3069/90.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sui motivi di ricorso sull’art. 74 d.p.r. 309/1990.
1.1. Quasi tutti i ricorrenti hanno dedotto i vizi di violazione di legge in relazione
all’applicazione dell’art. 74 d.p.r. 309/1990 e della motivazione quanto alla
sussistenza del reato associativo ed alle condotte di partecipazione.
Le questioni proposte dai difensori sono relative all’insussistenza
dell’associazione per l’irrisorio arco temporale ed alla natura delle condotte;
all’insussistenza delle condotte di partecipazione e alla concretizzazione solo del
concorso di persone nel reato continuato di cessione di stupefacenti.
1.2. Va inoltre rilevato che Carmelo Musumeci e Vito Musumeci, con l’atto di
appello, hanno invocato l’applicazione del 6 comma dell’art. 74 d.p.r. 309/1990
solo per la rudimentalità dell’organizzazione; dunque hanno proposto questioni
nuove, come tali inammissibili, con il ricorso per cassazione.
1.3. Le questioni proposte dalle difese sull’insussistenza del carattere della
stabilità, per l’irrisorio arco temporale in cui si sarebbe svolta l’attività illecita, sono
infondate avendo la Corte di appello di Catania dato una motivazione immune da
vizi quanto alla sussistenza del delitto ex art. 74 d.p.r. 309/1990.
La Corte di appello di Catania ha infatti motivato sulla sussistenza della
stabilità del vincolo tra gli associati; secondo il tradizionale orientamento della
Corte di Cassazione, il vincolo, che deve protrarsi per un apprezzabile periodo di
tempo, per il compimento dei fini illeciti costituisce il pericolo per l’ordine pubblico
(Cass. Sez. la sent. N.1008 del 12/11/1992 – 3/2/1993).

26

Per la difesa, per i mezzi utilizzati, le modalità e circostanze dell’azione –

La Corte di appello di Catania ha infatti individuato in concreto il periodo di
operatività dell’organizzazione in primo luogo in base all’attività di p.g., rilevando
che i servizi di osservazione, svolti anche mediante le video riprese, si sono svolti
nel periodo tra il 4 ed il 18 dicembre 2012 e poi tra il 16 gennaio ed il 15 febbraio
2013, oltre ad una breve attività di intercettazione ambientale svolta tra il 16 ed
il 21 gennaio 2013.
Dunque, in base a tali fonti di prova, la prosecuzione dell’attività illecita di
cessione delle sostanze stupefacenti, con le modalità organizzate e la divisione dei

temporale rende infondate le questioni proposte dalle difese, perché tale lasso
temporale di concreta operatività dell’associazione ex art. 74 d.p.r. 309/1990 è
indubbiamente apprezzabile e congruo e realizza la lesione del bene giuridico
protetto.
Soprattutto, la Corte di appello di Catania, in più parti della sentenza, ha
chiaramente indicato che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia emerge
che l’associazione per delinquere diretta da Francesco Scuderi, volta a gestire la
«piazza di spaccio», ha avuto una durata più lunga rispetto ai servizi di
appostamento della p.g.; infatti, la condanna ha ad oggetto i fatti commessi anche
nel corso del 2012, come recita l’imputazione.
1.4. La Corte di appello di Catania ha poi ritenuto provata l’esistenza
dell’organizzazione dedita alla cessione delle sostanze stupefacenti tipo cocaina e
marijuana in base ad una pluralità di elementi di prova:
l’esistenza di una struttura gerarchica con a capo Francesco Scuderi;
la predisposizione di turni di lavoro, divisi anche per fasce orarie, in cui avveniva
la cessione degli stupefacenti, anche in relazione al ruolo a ciascuno assegnato;
la ripartizione a cadenze fisse dei ricavi della vendita di stupefacente;
il controllo del territorio, con predisposizione di accorgimenti per avvisare gli adepti
in caso di intervento delle forze dell’ordine;
l’interessamento per la sorte degli associati tratti in arresto nello svolgimento
dell’attività illecita nelle piazze di spaccio;
la ripartizione dei ruoli, con l’assegnazione di compiti tenendo conto dei rischi in
caso di arresto; rappresenta la Corte di appello di Catania che i soggetti incensurati
assumevano i ruoli di maggior rischio, potendo in caso di arresto ottenere dei
benefici;
la commissione con modalità analoghe di un numero significativo di cessioni di
stupefacente anche in un arco temporale ristretto.
1.5. Dunque, la Corte di appello di Catania ha ritenuto provato l’accordo tra
tre o più persone per commettere più delitti previsti dall’art. 73 d.p.r. 309/1990,

27

ruoli descritti in sentenza, si è protratta per oltre 45 giorni. Già questo dato

correttamente, in base ad un ragionamento induttivo, analizzando le forme di
manifestazione dei reati fine ed ha ritenuto avvenuta la predisposizione di una
struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del
programma criminoso.
Tale ragionamento è del tutto corretto perché, quanto all’accordo, ciò che ha
rilevanza non è la sua consacrazione formale, ma l’esistenza, di fatto, della
struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo
nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune.

ribadito, la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle
modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai contatti fra gli autori,
dall’uniformità delle condotte, specie se protratte per un tempo apprezzabile (cfr.
Cass. Sez. 1, n. 3133 del 12/11/1997, dep. 12/03/1998, Rv. 210186, Cuomo ed
altri).
In tema di reati associativi, cfr. Cass. Sez. Unite, n. 10 del 28/03/2001, Rv.
218376, Cinalli e altri: In tema di associazione per delinquere (nella specie, di
stampo mafioso) è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo
rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla
commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità
esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività
dell’associazione medesima.
1.6. Proprio l’individuazione della struttura organizzata con i caratteri sopra
descritti consente altresì di ritenere infondata la questione proposta dai difensori
sulla concretizzazione della sola figura del concorso di persone nel reato
continuato. Come affermato da Cass. Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Rv.
270396, Avellino e altro, l’elemento differenziale tra l’ipotesi associativa ex art. 74
D.P.R. n.309 del 1990 e quella del concorso ai sensi degli artt. 110 cod. pen. e 73
del citato D.P.R. risiede principalmente nell’elemento organizzativo, in quanto la
condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non
può ridursi ad un semplice accordo delle volontà, ma deve consistere in un quid
pluris, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile
che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso.

2. Sulla insussistenza della lieve entità.
Infondati sono poi i motivi di ricorso dei difensori relativi alla mancata
qualificazione giuridica dei fatti nei delitti ex artt. 74 comma 6 e 73 comma 5 d.p.r.
309/1990.

28

Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, che va qui

2.1. Per valutare se il fatto sia di lieve entità il giudice deve infatti prendere
in esame tutti gli elementi indicati nella norma: quelli concernenti l’azione (mezzi,
modalità e circostanze della stessa) e quelli che si riferiscono all’oggetto materiale
del reato (quali le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza
stupefacente). La norma dunque non fa riferimento al solo dato quantitativoqualitativo, ma richiede una valutazione complessiva del fatto.
Dai parametri indicati nel comma 5 dell’art. , 73 d.p.r. 309/1990, emerge che
la lieve entità è una caratteristica oggettiva del fatto e non della condotta del

minore apporto del singolo nel reato in concorso (cfr. con riferimento al precedente
regime giuridico Cass. sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013).
Va ricordato che nel regime normativo precedente alla trasformazione del
fatto in fattispecie autonoma di reato, avvenuta con il d.l. 36/2014, convertito
dalla legge n.79/2014, la giurisprudenza fu costante nel ritenere il comma 5
un’attenuante di natura oggettiva.
L’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990, prevede che possano essere
costituite anche associazioni per delinquere finalizzate a commettere i delitti di cui
al comma 5 dell’art. 73 d.p.r. 309/1990.
Se dunque è possibile compiere condotte di lieve entità anche nell’ambito di
una struttura associativa illecita e in attuazione del programma criminoso
associativo, allora vuol dire, tenuto conto degli elementi costitutivi del reato
associativo, che l’ambito di applicazione del comma 5 non può essere limitato alla
detenzione di pochissima sostanza stupefacente ed a condotte occasionali o
sostanzialmente episodiche.
Il comma 5 comprende necessariamente anche condotte compiute da più
persone e/o espressione di un programma criminoso indeterminato, caratterizzate
da un certo grado di organizzazione e di professionalità dell’attività di spaccio ed
a quelle svolte in modo continuativo; comprende, a prescindere dalla commissione
delle condotte da associati, anche le condotte di detenzione di sostanze
stupefacenti che in qualche modo costituiscano la scorta delle dosi che poi
dovranno essere cedute nell’ambito del programma criminoso (indeterminato o
specifico) di cessione di lieve entità.
Cfr. con riferimento al precedente regime giuridico Cass. Sez. 6, n. 41090 del
18/07/2013, Airano: «… Rammentato, quindi, che la caratteristica di qualsiasi
ipotesi di associazione per delinquere, ivi compresa quella ex art. 74, L. cit., è
l’accordo per la commissione di una serie indeterminata di reati – evidentemente
da commettere in un arco di tempo non predeterminato – la conseguenza logica è
che l’ipotesi attenuata sia configurabile certamente anche quando i reati fine siano

29

singolo, sicché non può applicarsi in ragione delle condizioni soggettive o di un

1) compiuti da più persone e 2) tali condotte facciano parte di un programma
indeterminato di reiterazione di analoghi reati. Ovvero: il reato di spaccio di droga
di lieve entità è configurabile anche in casi in cui, indiscutibilmente, tale condotta
si inserisca nello svolgimento di attività criminale organizzata e professionale».
Assume certamente rilevanza, ai fini della qualificazione giuridica dei fatti nel
comma 6 dell’art. 74 e. nel comma 5 dell’art. 73 d.p.r. 309/1990, l’elemento
ponderale; costituisce un elemento di valutazione anche il numero di dosi detenute
o cedute, soprattutto quando manchi il parametro più certo dell’analisi tecnica
qualitativa e quantitativa: il numero di dosi è infatti significativo o della capacità

della sostanza stupefacente.
Un altro parametro di valutazione è il profitto ricavato o ricavabile, posto che
le norme sulle sostanze stupefacenti sono volte indirettamente anche a prevenire
e reprimere la costituzione di capitali illecitamente accumulati. L’entità del profitto
è infatti un indice relativo alle modalità dell’azione che può dare concretezza alla
gravità del fatto.
Se però il comma 5 comprende anche condotte compiute da più persone e/o
espressione di un programma criminoso indeterminato, caratterizzate da un certo
grado di organizzazione e di professionalità dell’attività di spaccio, e quelle svolte
in modo continuativo, in ogni caso queste condotte devono sempre avere ad
oggetto quantitativi non significativi.
La norma cioè intende punire l’ipotesi del piccolo spaccio «… che si caratterizza
per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi
eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di
guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la
vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della
tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine” …»: cfr. Cass.
Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015.
Va ricordato che la giurisprudenza è costate nell’affermare che il giudice dovrà
negare la sussistenza del fatto di lieve entità anche quando la ricorrenza di uno
soltanto degli elementi indicati conduca a escludere che la lesione del bene
giuridico protetto sia di lieve entità; e va affermato che ovviamente la sussistenza
della lieve entità non può essere valutata con riferimento alla singola cessione,
perché altrimenti, salvo cessioni di quantitativi ingenti, per quelle da strada si
dovrebbe sempre applicare il quinto comma dell’art. 73 d.p.r. 309/1990.
Per fare un esempio concreto, il dato quantitativo da solo può escludere
l’applicazione del comma 5, quando la condotta abbia avuto ad oggetto un
quantitativo significativo di sostanza stupefacente.

30

di procurarsi le dosi o della capacità di procedere al confezionamento ed al taglio

2.2. La valutazione effettuata dalla Corte di appello di Catania e la motivazione
che la sostiene sono assolutamente corrette.
2.2.1. La Corte di appello di Catania ha infatti escluso l’esistenza del fatto di
lieve entità dando rilevanza in primo luogo al dato quantitativo: ha rilevato infatti
che il dato quantitativo delle sostanze stupefacenti, anche di diversa natura,
cedute al giorno era nell’ordine delle centinaia; ha richiamato le dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Davide Seminara che ha riferito che il gruppo facente
capo ai fratelli Nizza forniva al gruppo di Scuteri Francesco, ogni settimana o ogni

Dunque, siamo del tutto al di fuori di quella scorta di dosi conteggiate in decine
richiamate dalla Corte di Cassazione per la sussistenza dell’associazione ex art. 74
comma 6 d.p.r. 309/1990. Inoltre, la gestione di quantitativi di tale portata
generano profitti ingenti.
Difatti, in più parti della sentenza la Corte di appello di Catania ha indicato
l’avvenuto sequestro di somme di denaro anche significative ed indicative di un
numero cospicuo di cessioni, superiori alle «decine».
Può aggiungersi un altro dato.
2.2.2. In più parti della motivazione della sentenza la Corte di appello di
Catania fa riferimento alla gestione di una «piazza di spaccio».
Orbene, può affermarsi che la gestione di una piazza di spaccio è
strutturalmente incompatibile con il fatto di lieve entità, perché implica da parte
dell’associazione il controllo del territorio, sottratto in tutto o in parte al bene
pubblico; il territorio è infatti occupato dallo svolgimento dell’attività illecita, sullo
stesso si svolgono anche le attività di vigilanza, come rilevato dalla Corte di appello
di Catania, per prevenire l’intervento repressivo delle forze dell’ordine. La piazza
di spaccio implica una organizzazione capillare dell’attività illecita e una struttura
gerarchica. Ai cittadini è sottratta la fruibilità del territorio ed anche il diritto di
essere difesi dalle forze dell’ordine, il cui intervento è impedito dalle cd. vedette.
Il territorio diviene altresì la destinazione dei consumatori in cerca delle
sostanze stupefacenti, aumentando così il rischio dei reati «collaterali» alle
cessioni, come i furti per procurarsi il denaro occorrente per le dosi.
Dunque, un’associazione che gestisce una piazza di spaccio crea un notevole
pericolo per l’ordine pubblico ed i fatti di cessione, effettuando una valutazione
unitaria degli elementi indicati nel comma 5 dell’art. 73 d.p.r. 309/1990, non
possono dirsi di lieve entità.
2.3. Va poi rilevato, quanto alle deduzioni contenute nei ricorsi di Vito e
Carmelo Musumeci, che le due sentenze di condanna sono state emesse molto
tempo dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, sicchè non vi

31

10 giorni, un chilo di cocaina e 10 chili di marijuana.

sono elementi di segno contrario per ritenere che i giudici, nel determinare
l’aumento per la continuazione, abbiano tenuto conto della diversità dei reati in
ragione delle sostanze stupefacenti trattate, sia pesanti che leggere.

3. Un’altra questione proposta nei motivi di ricorso è quella per la quale vi
sarebbe stata l’assenza di motivazione sulla prova dell’accordo a confluire
nell’associazione ex art. 74 d.p.r. 309/1990.
3.1. La condotta di partecipazione si concretizza in un contributo causale alla

disponibilità della propria condotta, in modo stabile e non meramente occasionale,
per la realizzazione dei fini comuni, senza che avvenga il compimento dei reati
fine.
La condotta di partecipazione in genere si concretizza con il compimento di
una o più delle attività concernenti l’organizzazione e la divisione dei compiti tra
gli associati.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che la partecipazione al reato di
associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti va desunta da
una serie di condotte significative che, complessivamente valutate, denotino
l’organico inserimento in una struttura criminosa a carattere associativo.
La partecipazione al reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico
di stupefacenti può essere desunta anche da una serie di episodi singoli, dei quali
ciascuno singolarmente può non apparire significativo, ma che, unitariamente
considerati, valgono ad integrare quel quadro di stabilità dell’organizzazione, di
suddivisione dei ruoli, di disponibilità ad una serie indeterminata di delitti.
Poiché, dunque, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non è
necessaria per la costituzione del sodalizio, la consapevolezza dell’associato non
può che essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in
un’attiva e stabile partecipazione.
In tema di reati associativi si è affermato (cfr. Cass. Sez. 1, n. 29959 del
05/06/2013, Rv. 256200, Amaradio e altri) che la partecipazione non
estemporanea dell’imputato ai reati fine che connotano il programma criminoso
dell’associazione costituisce indice sintomatico dell’intraneità dell’agente al
sodalizio criminoso.
3.2. La Corte di appello di Catania ha correttamente affermato ed applicato i
principi di diritto in tema di partecipazione all’associazione per delinquere, anche
in relazione al dolo, perché ha ritenuto provata la condotta di partecipazione, oltre
che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, laddove sussistenti, proprio dal
compimento di specifici ruoli, dalla reiterazioni delle condotte illecite di cessione

32

realizzazione del duraturo programma criminale; è sufficiente anche la messa in

unitamente agli altri associati e con le modalità espressione dell’organizzazione
del sodalizio criminoso.

4. Sui ricorsi dei difensori di Carmelo Calogero, Musumeci Vito e Musumeci
Carmelo.
4.1. Va in primo luogo rilevato che secondo il costante orientamento della
Corte di Cassazione, in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., non essendo l’inosservanza di detta norma

essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606 lett. c) cod.
proc. pen. ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia
come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando
il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti
specificamente indicati nei motivi di gravame.
Deve però ricordarsi che il vizio di motivazione in tanto sussiste se ed in
quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di
motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione
degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari
altrettanto logica (Cass. Sez. Unite, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv.
205621).
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità
essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di
un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito
si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte
di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez.
Unite, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944).
Va altresì specificato che l’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di

macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché le
ragioni del convincimento siano spiegate in modo logico e adeguato (Cass. Sez.

33

prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono

Unite, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. Unite, n. 47289 del
24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4.2. Ne consegue che è inammissibile la questione proposta dalla difesa di
Carmelo Calogero sulla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.: nel motivo in realtà
non si indicano i profili di contraddittorietà e di manifesta illogicità della
motivazione ma si prospetta una diversa lettura del materiale probatorio.
4.3. Con il primo motivo, le difese hanno contestato l’omessa risposta ai
motivi di appello sulla ritenuta partecipazione dei ricorrenti all’associazione per
delinquere ex art. 74 d.p.r. 309/1990.

appello, oltre alla ricostruzione in diritto, le doglianze difensive si fondavano su
due soli elementi: la durata delle attività di cessione dal 6 al 16 febbraio 2013,
ritenuta inidonea a concretizzare la stabilità della partecipazione, ed il non aver
svolto sempre la stessa funzione in maniera stabile.
Vito Musumeci con l’atto di appello contestò il brevissimo lasso temporale di
osservazioni e la genericità delle accuse dei collaboratori di giustizia.
Analoghe deduzioni si rinvengono nell’appello di Carmelo Musumeci, nel quale
si ammette che la presenza sulla piazza di spaccio è per lo svolgimento delle
mansioni di spacciatore.
4.3.1. Il motivo proposto nell’interesse di Carmelo Calogero non è fondato in
quanto la Corte di appello di Catania ha esplicitamente motivato sulle questioni
proposte con l’atto di appello. Oltre a rilevarsi che la tesi difensiva è errata in
diritto, in quanto la condotta di partecipazione può concretizzarsi anche con la
semplice messa in disponibilità, come prima indicato, la Corte di appello di Catania
ha ritenuto dimostrato, dopo aver elencato le fonti di prova, che Carmelo Calogero
è stato, per l’attività illecita svolta in maniera sistematica per quanto per un arco
di tempo limitato, un vero e proprio dipendente che ha svolto l’attività illecita nel
rispetto degli orari e delle direttive impartite dal datore di lavoro, cioè dal sodalizio
criminoso, costituendo un tassello della catena di montaggio dell’attività illecita di
cessione degli stupefacenti posta in essere nella piazza di spaccio. Un dipendente
in grado di compiere più ruoli a seconda delle necessità.
La Corte di appello di Catania ha anche risposto al motivo di appello sullo
svolgimento di attività diverse ed ha rilevato, con motivazione esente da vizi, che
lo svolgimento di più ruoli dimostra la conoscenza e la consapevolezza dei
meccanismi associativi, dello schema organizzativo con cui si svolgeva l’attività
illecita, quindi dimostra la volontà di aderire all’organizzazione, condividendone i
fini, l’organizzazione e le attività illecite, svolte in gran numero anche nell’arco di
poche ore.
34

Quanto alla posizione di Carmelo Calogero, deve rilevarsi che nell’atto di

4.3.2. Il motivo proposto nell’interesse di Vito Musumeci e Musumeci Carmelo
è inammissibile per difetto di specificità estrinseca. Ed invero, il motivo non si
confronta con l’articolata motivazione della Corte di appello di Catania sulla
responsabilità dei ricorrenti.
La Corte di appello di Catania ha infatti ritenuto provato, in base alle video
riprese ed alle intercettazioni ambientali, che Vito Musumeci è stato, unitamente
al fratello Carmelo, il numero due dell’associazione diretta da Francesco Scuderi,
essendo emerso che il ricorrente svolgeva funzioni di controllo, gestione e
coordinamento degli associati, in genere nel pomeriggio, cioè in orari compatibili

misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Analogo ruolo era svolto, ma di sera, dal fratello Carmelo.
La Corte di appello di Catania ha poi ritenuto che ulteriori elementi di prova
siano costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Davide Seminara,
Salvatore Nicolosi e Golfredo Di Maggio, i primi due concordi nell’attribuire a Vito
Musunneci il ruolo di stretto collaboratore di Francesco Scuderi nella gestione della
piazza di spaccio. Ha indicato la Corte di appello di Catania che Golfredo Di Maggio
ha riferito del sostegno fornito da Francesco Scuderi a Vito Musumeci in occasione
della sua detenzione, a conferma del rapporto di solidarietà collegato
all’appartenenza alla stessa associazione per delinquere.
Quanto a Carmelo Musumeci, la Corte di appello di Catania ha indicato che il
collaboratore di giustizia Davide Senninara lo ha indicato quale uomo fidato di
Niculitto, e Golfredo Di Maggio quale alter ego di quest’ultimo: entrambi dunque
ne hanno indicato il ruolo apicale.
Rispetto a tale articolata indicazione delle fonti di prova alcuna critica specifica
è stata mossa.
4.4. È inammissibile il motivo di ricorso con il quale la difesa di Calogero
Carmelo ha dedotto l’omessa motivazione sulla richiesta di qualificazione giuridica
del fatto nel delitto ex art. 378 cod. pen.
Va in primo luogo rilevato che nell’atto di appello la difesa ha affermato che
le condotte poste in essere «… ben possono essere riconducibili all’ipotesi di cui
all’art. 378 cod. pen.». Il motivo di appello, per come proposto, era dunque
inammissibile non solo perché generico, ma perché privo del requisito di specificità
estrinseca, in quanto non si confrontava con la sentenza di primo grado.
In ogni caso, la Corte di appello di Catania ha adeguatamente motivato perché
ha ritenuto che le condotte poste in essere da Carmelo Calogero, personalmente
o a mezzo dei complici che supportava con il ruolo di vedetta, concretizzassero i

35

con gli obblighi di rientro nell’abitazione, trattandosi di persona sottoposta alla

reati di cessione ex art. 73 d.p.r. 309/1990, con conseguente ovvia esclusione del
reato di favoreggiamento.
Va osservato che le cessioni presuppongono in genere la detenzione delle dosi
da cedere e per giurisprudenza costante il reato di favoreggiamento non è
configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in
costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque
agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia
cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un concorso nel

24/05/2012, Rv. 253151, Biondi).
4.5. È inammissibile il terzo motivo proposto nell’interesse di Carmelo
Calogero, Musumeci Vito e Musumeci Carmelo, con riferimento all’art. 99 cod. pen.
4.5.1. Quanto a Musumeci Vito e Musumeci Carmelo, si tratta di una questione
non proposta con l’atto di appello. Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606 comma 3 cod. proc. pen.
impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in
appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di
cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto
intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso,
infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione
della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché
mai investito della verifica giurisdizionale (in tal senso cfr. Cass. Sez. U. n. 24 del
24/11/1999, Rv. 214794, Spina).
4.5.2. Il motivo proposto nell’interesse di Carmelo Calogero è manifestamente
infondato. Ed invero, la Corte di appello ha dato piena risposta al motivo di appello
motivando non solo sulla sussistenza dei precedenti penali ma anche sul perché vi
sia l’espressione della maggiore pericolosità sociale tale da giustificare il
riconoscimento della recidiva.
La Corte di appello di Catania ha fatto corretta applicazione della norma, come
interpretata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 5859 del 27/10/2011,
il cui testo è riportato nel ricorso.
4.6. Il quarto motivo è infondato.
Ed invero, la difesa ha chiesto la prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche, riconosciute solo equivalenti, sulla base di elementi di fatto parziali,
posto che le condotte illecite hanno avuto ad oggetto anche la cocaina.
Quanto all’aumento ex art. 81 cod. pen., va rilevato che tale aumento è stato
inflitto in maniera uguale per tutti gli imputati; la Corte di appello di Catania ha

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reato, quanto meno a carattere morale (Cfr. Cass. Sez. Unite, n. 36258 del

confermato la pena inflitta in quanto ha ritenuto adeguata ai fatti la pena base e
l’aumento ex art. 81 cod. pen.
La Corte di appello di Catania però ha richiamato in tal modo le parti della
sentenza in cui ha descritto i reati fine; più volte la Corte di appello di Catania ha
fatto riferimento al numero delle cessioni giornaliere ed alle modalità organizzate
delle cessioni, avvenute nella piazza di spaccio.
Il parametro valutativo è dunque desumibile dal testo della sentenza nel suo
complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla
quantificazione della pena.

motivazione nella parte in cui la sentenza ha negato la continuazione con i capi n),
o) e p) relativi all’arma, è manifestamente infondato.
Con l’atto di appello la difesa ha rilevato che i reati relativi all’arma erano una
forma di manifestazione del reato associativo. Orbene tale affermazione è del tutto
sfornita di elementi di prova a sostegno; anche il ricorso non ha fornito elementi
di valutazione posto che i reati, di cui la difesa ha chiesto il riconoscimento della
continuazione, hanno una diversa oggettività giuridica e risultano commessi con
modalità diverse.

5. Sul ricorso presentato nell’interesse di Angelo Castorina.
Il ricorso presentato nell’interesse di Angelo Castorina è inammissibile.
5.1. Va in primo luogo osservato che la difesa ha contestato il vizio di
violazione di legge con riferimento all’art. 74 d.p.r. 309/1990. Il ricorso sul punto
è manifestamente infondato perché, come prima indicato, la Corte di appello di
Catania ha fatto corretta applicazione della norma, seguendo per altro la
giurisprudenza della Corte di Cassazione in particolare proprio quanto alla
distinzione tra reato associativo e concorso di persone nel reato continuato.
Inoltre, nel ricorso, dopo una prima parte in diritto, la difesa si è limitata ad
offrire una mera contestazione della lettura degli elementi di prova, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito; in questa sede non
è possibile procedere ad una diversa valutazione delle risultanze processuali,
soprattutto ove si consideri che la difesa ha dedotto esclusivamente il vizio di
violazione di legge.
5.2. Quanto poi alla specifica posizione del ricorrente, il ricorso non si
confronta con la motivazione della sentenza di appello riproponendo gli argomenti
dell’atto di appello.
La Corte di appello di Catania ha invece affrontato le questioni poste dalla
difesa e, rispetto alla impugnazione relativa solo al reato associativo, ha ritenuto

37

4.7. Il motivo con cui la difesa di Vito Musumeci ha dedotto il vizio di

provata la condotta di partecipazione elencando le fonti di prova costituite dagli
esiti dei servizi di osservazione dal 21 gennaio al 14 febbraio 2013, dal contenuto
delle intercettazioni ambientali e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
La Corte di appello di Catania ha quindi specificamente indicato in coga sia
consistita la condotta di partecipazione e come la presenza del ricorrinte nella
«piazza di spaccio» in molte ore della giornata, l’aiuto fornito agli altri associati, la
diversità dei ruoli svolti nell’ambito dell’attività associativa organizzata, dimostri
la piena consapevolezza e la condivisione degli scopi perseguiti dall’associazione
per delinquere.

6. Sul ricorso di Giuseppe Fresta.
Il ricorso di Giuseppe Fresta, limitato all’art. 74 d.p.r. 309/1990, è infondato.
6.1. Va in primo luogo osservato che il ricorrente ha citato in maniera
incompleta il passo della motivazione della sentenza sugli elementi costitutivi del
reato ex art. 74 d.p.r. 309/1990, sicchè il ragionamento, parcellizzato in poche
righe, sembra in contrasto con le conclusioni tratte del ricorrente Giuseppe Fresta.
Anche il passo della motivazione a pagina 53 è citato solo in parte, senza il
pregresso percorso della motivazione della sentenza impugnata.
6.2. La Corte di appello di Catania ha infatti motivato la sussistenza della
responsabilità per la condotta di partecipazione all’associazione per delinquere ex
art. 74 d.p.r. 309/1990 perché ha individuato le fonti di prova da cui emerge lo
svolgimento sistematico, da parte del ricorrente, dell’attività di cessione delle
sostanze stupefacenti: il compimento di tale attività illecita è incontestata anche
dalla difesa, che non ha impugnato con il ricorso per cassazione il capo relativo al
delitto ex art. 73 d.p.r. 309/1990.
La Corte di appello di Catania ha ritenuto che la compartecipazione alle attività
di cessione degli stupefacenti sia avvenuta all’interno del meccanismo organizzato
già descritto in altra parte della sentenza, e che il ricorrente abbia avuto il compito
di contattare i tossicodipendenti, ed occasionalmente di vedetta o di corriere.
La Corte di appello di Catania ha quindi indicato le fonti di prova che
dimostrano la commissione dei reati fine: le videoriprese effettuata dal 5 fino al
17 dicembre, e non fino al 14, come sostiene la difesa; le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, la Corte di appello di Catania
ha correttamente ritenuto che la durata delle condotte di commissione dei reati
sia irrilevante per escludere la sussistenza della partecipazione all’associazione del
delinquere. Ciò in quanto le condotte di cessione hanno rivelato l’attività svolta da

38

Alcuna critica specifica è mossa a questa articolata e corretta motivazione.

un vero e proprio dipendente, che svolgeva le cessioni dello stupefacente
prevalentemente nel turno pomeridiano, con la commissione delle cessioni
secondo le modalità organizzative del gruppo (il sistema del secchio calato dal
balcone) e facendo rifluire i proventi delle cessioni nella cassa comune, posto che
il ricorrente, rileva in sentenza la Corte di Appello, inseriva nel secchio le somme
percepite dagli acquirenti. Questi elementi dimostrano, per la Corte di appello, che
vi era la consapevolezza di agire quale ingranaggio di un’organizzazione più ampia
attesa la reiterazione delle condotte con gli stessi modelli organizzativi.
6.3. Orbene, rispetto a questa articolata motivazione, le critiche della difesa

che fra gli elementi di prova a carico dell’imputato vi sono le videoriprese effettuata
dal 5 fino al 17 dicembre e non fino al 14.
La motivazione della sentenza della Corte di appello di Catania, quanto alla
durata della condotta, non ha alcuna contraddittorietà interna, perché il
riferimento alla protrazione della condotta fino al mese di gennaio è stato motivato
su di un dato incontrovertibile riportato in sentenza: il ricorrente è stato arrestato
il 4 gennaio 2013 proprio quale conseguenza delle indagini in corso nella stessa
operazione di p.g.
Non vi è alcuna contraddizione nel concedere le circostanze attenuanti
generiche per la breve durata della condotta di partecipazione: la Corte di appello
di Catania ha infatti effettuato una valutazione coerente con l’art. 133 cod. pen.
6.4. Rispetto alla motivazione, fondata sul richiamo degli atti processuali, la
difesa non ha allegato alcun atto del processo da cui possa desumersi avvenuto il
travisamento della prova. La difesa afferma che la Corte di appello di Catania non
avrebbe attribuito rilievo alle circostanze favorevoli all’imputato di non aver mai
partecipato alle riunioni del gruppo, alla consegna delle paghe o stipendi degli
associati ma senza allegare o indicare da quali fonti di prova emergano tali
elementi di fatto.
Infine, deve rilevarsi che l’arresto, per la Corte di appello di Catania, ha
segnato l’ultimo atto dimostrativo della condotta di partecipazione e l’interruzione
della partecipazione per effetto dell’atto dell’autorità, non certo per una scelta
consapevole.
6.5. La difesa ha poi dedotto il travisamento del fatto.
Non è in alcun modo deducibile, nel giudizio di legittimità, il travisamento del
fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di
merito (Sez. 6, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).

39

di Giuseppe Fresta sono anche infondate in fatto; dalla sentenza impugnata risulta

7. Sul ricorso del difensore di Pietro Condorelli.
Il ricorso presentato nell’interesse di Pietro Condorelli è inammissibile.
7.1. Ed invero, il ricorso ha una prima parte in cui si riassume il contenuto
della decisione della Corte di appello e nella quale si afferma che occorre comunque
la prova dell’esistenza dell’accordo criminoso e della struttura organizzativa
permanente.
realtà, la Corte di appello di Catania ha motivatoi. sull’esistenza
dell’associazione per delinquere ex art. 74 d.p.r. 309/1990 in maniera corretta,

Dopo tale premessa, il ricorso ha riprodotto integralmente i motivi dell’atto di
appello, con qualche modifica puramente formale, come l’aggiunta delle parole,
secondo il decidente di secondo grado, e ripetendo anche qualche errore grafico.
È stata modificata poi la conclusione del ricorso.
7.2. Deve affermarsi che la mera riproduzione grafica del motivo d’appello
determina l’inammissibilità del motivo di ricorso per difetto di specificità
estrinseca, dell’esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di
fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.
I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano
intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria
correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato
(Cass. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). Le ragioni di
tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione
risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento
censurato (così le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella motivazione della
sentenza n. 8825 del 27/10/2016, Rv: 268822, Galtelli).
La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza
attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e
591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di
impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale
(cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si
contesta.
Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso che si limita a reiterare
il motivo d’appello perché da un lato ripropone le argomentazioni di merito e
dall’altro non si confronta o si confronta solo genericamente con la motivazione
della sentenza impugnata; il motivo di ricorso che è mera riproposizione grafica
40

come già indicato.

dell’appello non effettua alcuna specifica critica argomentata al provvedimento
impugnato.
7.3. Va in ogni caso rilevato che la Corte di appello di Catania ha elencato le
condotte reiterate in base alle quali ha ritenuto la sussistenza della condotta di
partecipazione in coerenza con la premessa in diritto.

8. Sul ricorso del difensore di Marino Filippo.
È manifestamente infondato il primo motivo. La Corte di appello di

richiamando l’orientamento della Corte di Cassazione che va qui ribadito.
Cfr. Cass. Sez. 3, n. 31415 del 15/01/2016, Rv. 267518, Ganzer e altri:
L’obbligo di registrazione dell’interrogatorio della persona in stato di detenzione,
previsto dall’art. 141 bis cod. proc. pen., si applica alla condizione di detenzione
inframuraria o in luoghi di cura diversi dal carcere e non nel caso di pena o di
misura cautelare in esecuzione domiciliare (fattispecie in cui la Corte ha escluso
l’obbligo per l’interrogatorio di un collaboratore di giustizia ristretto in regime di
arresti domiciliari).
Tale orientamento si fonda sulla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, per altro erroneamente richiamata dalla difesa nei motivi di appello,
n. 9 del 25/03/1998 (Rv. 210803, D’Abramo) che ha affermato che «Qualunque
dichiarazione resa in sede di interrogatorio, anche se reiterato o effettuato con le
modalità del confronto, da persona detenuta, quale che sia il titolo detentivo, e
anche se relativa a fatti privi di connessione o di collegamento con quelli per cui
l’interrogatorio è stato disposto, deve essere documentata con le formalità
previste dall’art. 141-bis cod. proc. pen. a salvaguardia di chiunque possa essere
coinvolto in ipotesi comportanti eventuali responsabilità penali. Ne consegue che,
mancando la riproduzione fonografica o audiovisiva dell’interrogatorio o in assenza
delle previste forme alternative ad essa, l’atto è colpito dalla sanzione di
inutilizzabilità sia nei confronti della persona che lo rende, sia nei confronti di terzi,
in quanto è la registrazione, e non il verbale, redatto contestualmente in forma
riassuntiva, a far prova delle dichiarazioni rese dalla persona detenuta; e tale
inutilizzabilità impedisce la valutazione dell’atto sia nel dibattimento a fini
probatori, sia in rapporto ad ogni altra decisione da adottare nei riti alternativi, sia
in fase di indagini preliminari, come elemento apprezzabile a fini dell’adozione di
provvedimenti cautelari e come presupposto per il compimento di ulteriori
indagini».
In motivazione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno precisato
che: 1) per interrogatorio deve intendersi quello reso davanti all’autorità
41

Catania ha correttamente rigettato in punto di diritto l’eccezione di inutilizzabilità

giudiziaria dall’indagato o da persona imputata in un procedimento connesso o di
reato collegato, restando esclusi, dall’ambito di operatività della norma, le
sommarie informazioni o le dichiarazioni rese alla P.G. a norma degli artt. 350 e
351 cod. proc. pen., nonché gli interrogatori assunti da quest’ultima su delega del
P.M., le dichiarazioni spontaneamente rese al P.M. o al giudice e gli interrogatori
resi in udienza; 2) per stato di detenzione deve intendersi la condizione materiale
di restrizione, per esecuzione pena, per applicazione di misure cautelari o per
provvedimenti custodiali temporanei, in un istituto di custodia o di pena o in un
luogo di cura esterno ad esso e, ove eccezionalmente consentita, negli uffici di

all’applicazione .di misure di sicurezza, provvisorie o definitive, ma non lo stato
della persona soggetta agli arresti domiciliari, né quello del minorenne obbligato
alla permanenza in casa né, infine, quello del condannato affidato in prova al
servizio sociale, ammesso alla semilibertà o fruente di licenza o permesso premio.
8.2. Dagli atti e neanche dal ricorso risulta lo stato di detenzione di Davide
Seminara; inoltre, ha rilevato la Corte di appello di Catania che la registrazione è
comunque avvenuta all’atto della rilettura del verbale e della conferma da parte di
Davide Seminara di quanto rtdn registrato in un primo momento.
8.3. Il secondo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
8.3.1. Va rilevato che anche la difesa di Marino Filippo richiama la violazione
dell’art. 192 cod. proc. pen. Come già indicato, deve ricordarsi che le doglianze
relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., non essendo l’inosservanza di
detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza,
non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti* indicati dalla lett. e):
occorre cioè che sia dedotto in modi specifico il vizio della motivazione indicando
in cosa si sia concretizzata la mancanza, la contraddittorietà Q la manifesta
illogicità della motivazione, indicando altresì se il vizio risulti dal testo del
provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di
.gravame.
La mera contestazione della Vettura degli elementi di prova, la cui valutazione
è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, non integra il vizio di legittimità,
anche se la difesa opera la ‘prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
8.3.2. Orbene, la difesa ha affermato nel secondo motivo di ricorso che la
risposta della Corte di appello di Catania alle deduzioni difensive non è stata
esaustiva e convincente: per come formulato, la contestazione non concerne in
alcun modo una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica.

42

polizia giudiziaria, nonché la condizione di internamento conseguente

Analizzando il contenuto dell’atto di appello emerge che le doglianze difensive
relative alla identificazione del Marino riguardavano solo il filmato della telecamera
1; nell’appello la difesa ammette esplicitamente che le riprese della telecamera 2
riguardano il Marino.
Le questioni relative alle immagini riprese dalla telecamera 1 nell’appello
riguardavano la pessima qualità delle immagini, le modalità con cui la p.g. aveva
proceduto alla identificazione dell’uomo sullo scooter con il Marino (in quanto si
afferma che quando l’uomo ripreso è senza casco poteva essere identificato non

vedevano le targhe).
Con l’appello sono state riproposte le questioni già dedotte in primo grado e
rigettate, come si rileva dalla lettura della sentenza di primo grado. Il motivo di
appello è stato implicitamente rigettato perché la Corte di appello ha fondato
l’identificazione del ricorrente quale autore delle condotte in base ad altri elementi
di prova, fra cui le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e gli esiti di alcune
operazioni di p.g. con sequestro di somme di denaro.
8.3.3. Quanto alla questione dedotta dalla difesa sulle targhe dello scooter,
deve rilevarsi che dalla sentenza di primo grado, richiamata dalla Corte di appello
di Catania, risulta che l’identificazione del Marino è avvenuta in base al
riconoscimento effettuato dalla p.g. fondato sulla diretta conoscenza del Marino da
parte degli agenti: in assenza di contraddizioni nel percorso logico, il
riconoscimento è il frutto della valutazione del materiale probatorio, con un
giudizio di fatto che esula dal controllo di legittimità.
8.3.4. La difesa ha poi eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Di Maggio
Goffredo per le condotte poste in essere dal Marino quando era minorenne.
Orbene, la questione, oltre a non essere stata proposta con l’atto di appello
con conseguente inammissibilità ex artt. 609 e 606 comma 3 cod. proc. pen., è
manifestamente infondata perché la Corte di appello non ha la competenza a
giudicare l’imputato per i fatti commessi da minorenne, ma può conoscere le fonti
di prova che riguardano il suo percorso di vita, per altro rilevante ai sensi dell’art.
133 cod. pen.
8.3.5. Con riferimento al travisamento della prova che la difesa sostiene
essere stato commesso dalla Corte di appello di Catania con riferimento alle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, oltre a ricordarsi che il travisamento
della prova dichiarativa concerne il significante e non il significato, ed è estranea
da tale vizio la valutazione della prova, va rilevato che la difesa non ha assolto in
alcun modo all’onere di allegazione.

43

mediante l’abbigliamento) e dello scooter (la difesa ha contestato che non si

Cfr. Cass. Sez. 3, n. 43322 del 02 luglio 2014 Rv. 260994 Imputato Sisti: La
condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento
ai quali, l’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di
motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi
più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del
ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo
processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere
la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad

581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.
8.4. Il terzo motivo è infondato.
Va preliminarmente rilevato che con l’appello la difesa ha chiesto la
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche in base alla giovane età ed al
circoscritto tempo della condotta criminosa.
La Corte di appello di Catania sulle circostanze attenuanti generiche ha dato
una motivazione articolata, in primo luogo rigettando l’appello del p.m. con il quale
si contestava proprio la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Deve rilevarsi che il rigetto del giudizio di prevalenza è implicito n’ elle
considerazioni della Corte di appello di Catania sulla durata della condotta
criminosa e sul ruolo svolto dal ricorrente. Se infatti la Corte di appello di Catania
ha confermato la concessione delle circostanze attenuanti generiche in relazione
all’arco temporale delle condotte, ha però anche riconosciuto che l’esistenza
dell’associazione per delinquere ex art. 74 d.p.r. 309/1990 ha avuto una durata
più ampia, tenuto conto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e che il
ricorrente ha avuto un ruolo di maggiore rilevanza all’interno del sodalizio, pur non
essendogli stata contestata la qualità di organizzatore.
8.5. È infondato anche il quarto motivo, con cui si contesta la mancanza di
motivazione sull’entità degli aumenti per la continuazione.
Va infatti rilevato che per la determinazione della pena base e degli aumenti
ex art. 81 cod. pen. la Corte di appello di Catania ha fatto riferimento all’art. 133
cod. pen. ed alla natura, entità e modalità di esecuzione dei reati, nonché all’indole
del ricorrente, evinta dalla commissione dei fatti e dai suoi precedenti penali.
Orbene, deve rilevarsi che nella parte relativa al ricorrente la Corte di appello
di Catania ha anche descritto le condotte poste in essere dall’imputato, sicché il
parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso
argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla
quantificazione della pena.

44

una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt.

È invece inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, mira ad una
nuova valutazione della congruità della pena, posto che la determinazione degli
aumenti non è tata il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico ed è sorretta
da sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv.
259142).

9. Sul ricorso presentato nell’interesse di Antonino Scuderi.
Il ricorso presentato nell’interesse di Scuderi Antonino è infondato e deve

9.1. Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che la Corte di appello di Catania
ha riportato in sentenza i motivi di appello proposti dalla difesa di Scuderi Antonino
ed ha ritenuto, in base al complesso delle fonti di prova, di dover rigettare
l’appello, ritenendo evidentemente infondata la valutazione delle fonti di prova
effettuata dalla difesa.
Quindi la Corte di appello di Catania ha analizzato i motivi di appello valutando
le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed ha dato rilevanza a quelle
concordanti di Di Maggio e Seminara, riscontrate per altro dagli esiti delle video
riprese; così come riferito dai collaboratori di giustizia, rileva la Corte di appello di
Catania che le riprese hanno confermato che il ricorrente ha partecipato all’attività
illecita di cessione senza però avere contatti diretti con gli acquirenti.
Dunque, la Corte di appello di Catania ha ritenuto, contrariamente a quanto
sostenuto dalla difesa, che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia fossero
attendibili alla luce dei riscontri soggettivi esterni, per altro costituiti da prove
dirette.
9.2. Anche il secondo motivo è infondato, per le considerazioni già espresse
in precedenza nell’analisi dei motivi relativi al reato associativo, al rapporto tra
reato associativo e concorso di persone nel reato continuato, alla condotta di
partecipazione.
9.3. Quanto al motivo sub c), deve rilevarsi che la contestazione mossa con
l’atto di appello era limitata all’insussistenza di prove in merito alla cessione di
sostanze stupefacenti ,ed al tipo di stupefacente eventualmente ceduto, prove tali
da superare il ragionevole dubbio.
L’appello dunque era stato formulato in maniera del tutto generica, senza
alcuna critica specifica alla motivazione della sentenza di primo grado e pertanto
era inammissibile.
L’inammissibilità dell’appello riverbera i suoi effetti anche sull’inammissibilità
del motivo di ricorso; infatti, secondo il costante indirizzo di legittimità non
possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il Giudice
45

essere rigettato.

di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla
sua cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, n. 3541 del 16/12/2015, dep. 2016, Rv. 265937,
Faranda). Un motivo di appello inammissibile è non devoluto alla cognizione del
giudice di appello.
Va in ogni caso rilevato che la Corte di appello di Catania ha ritenuto
sussistente la condotta di concorso nei reati di cessione in base al contributo
agevolatore arrecato dal ricorrente, sia svolgendo le funzioni di corriere che di

10. Sul ricorso del difensore di Orazio Venuto.
10.1. Va in primo luogo osservato che già con l’atto di appello l’impugnazione
è stata limitata alla sussistenza della condotta di partecipazione all’associazione
per delinquere ex art. 74 d.p.r. 309/1990 ed alla qualificazione del delitto ex art.
73 d.p.r. 309/1990 in quello di cui al comma 5. Ne deriva che per le condotte di
detenzione e cessione era già definitivo l’accertamento dell’an della responsabilità.
10.2. In secondo luogo, la Corte di appello di Catania ha rilevato la genericità
dell’impugnazione perché i motivi di impugnazione non si confrontavano con le
risultanze processuali dettagliatamente esposte nella sentenza del giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania nelle pagine 186 e ss. della
sentenza di primo grado.
In sostanza l’appello è stato dichiarato inammissibile, con effetti anche
sull’ammissibilità del ricorso per cassazione.
In ogni caso il motivo è manifestamente infondato perché la Corte di appello
di Catania ha fatto corretta applicazione dell’art. 74 d.p.r. 309/1990 ed ha
correttamente motivato la sussistenza della condotta di partecipazione proprio con
quei caratteri indicati dal ricorrente.
Va osservato che vi è una differenza tra la stabilità dell’associazione e la
durata della condotta di partecipazione: la prima è necessaria per la sussistenza
del delitto ex art. 74 d.p.r. 309/1990, la seconda assume rilevanza per l’apporto
causale al sodalizio a prescindere dalla sua durata.
Difatti, la Corte di appello di Catania ha individuato una precisa durata in cui
si è concretizzata la condotta di partecipazione: dal 28 gennaio 2012 al 16 febbraio
2013; ha rilevato che la condotta di partecipazione emerge dall’aver svolto ogni
giorno, coordinandosi con gli altri sodali, il ruolo di lanciatore nel turno
pomeridiano, con un turno di sei ore circa, nell’ambito di un’attività organizzata e
consolidata, che vedeva impegnati, nei vari turni in cui era divisa, una pluralità di
soggetti con diversi ruoli (il lanciatore, le vedette, gli spacciatori ed i corrieri).

46

vedetta.

Dunque la motivazione sulla partecipazione si incentra con rigore proprio
sull’inserimento del soggetto in maniera consapevole su una stabile realtà
associativa, con l’assunzione di un ruolo funzionale all’associazione ed alle sue
dinamiche operative, espressione di non occasionale dell’adesione al sodalizio,
interrotta solo dall’attività di p.g. mediante l’arresto del ricorrente.
Con tale articolata motivazione il motivo di ricorso non si confronta
specificamente; anzi si fa riferimento alla valutazione delle dichiarazioni del
collaboratore Seminara a cui la Corte di appello non fa nessun cenno.

questione, già rigettata con la sentenza della Corte di appello di Catania, della
mancanza della motivazione quanto all’esclusione dell’aggravante, sulla
partecipazione di persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti, di cui al comma
3 dell’art. 74 d.P.R.n.309/90.
La Corte di appello di Catania ha indicato chiaramente che la circostanza
aggravante contestata è quella relativa al numero delle persone e non quella
indicata dalla difesa. Il motivo dunque non solo non si riferisce alla circostanza
aggravante ritenuta in sentenza ma non si confronta neanche con la motivazione
della Corte di appello di Catania.
10.4. Ugualmente inammissibile è il motivo relativo alla mancata applicazione
dell’art. 73 comma 5 d.p.r. 309/1990 per il difetto del requisito della specificità
estrinseca: il motivo non si confronta con la motivazione del rigetto del motivo di
appello.
La Corte di appello di Catania ha preso in esame le deduzioni difensive,
relative alla durata della condotta ed alle sostanze stupefacenti sequestrate nel
corso dell’attività illecita, ed ha escluso la sussistenza del comma 5 dell’art. 73
d.p.r. 309/1990 effettuando una valutazione complessiva delle condotte di
cessione, non limitata alla singola cessione. La Corte di appello di Catania ha infatti
rigettato la richiesta difensiva di applicazione del fatto di lieve entità in base al
compito di lanciatore svolto dall’indagato, un segmento ritenuto in più parti della
sentenza particolarmente significativo e rilevante nell’organizzazione delle
cessioni, ed alla reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione.
Ha ritenuto che le modalità della condotta rivelassero, unitamente alla
commissione dei delitti in concorso con più persone, una ampia e comprovata
capacità di diffondere in modo non episodico o occasionale la sostanza
stupefacente.
Rispetto a tale motivazione il ricorrente ripropone le questioni già rigettare
senza neanche indicare perché tale motivazione sia manifestamente illogica o
contraddittoria.
47

10.3. Del tutto inammissibile è poi il motivo con cui la difesa ripropone la

11. Sul ricorso del difensore di Gaetano Privitera.
10.1. Va preliminarmente rilevato che le impugnazioni sono state proposte
solo in relazione al capo a), come per altro rilevato anche dalla Corte di appello di
Catania; le condotte di cessione di sostanze stupefacenti contestate all’imputato
devono ritenersi definitivamente accertate.
La Corte di appello di Catania, in estrema sintesi, rispondendo in modo
compiuto ai motivi di appello, ha motivato l’esistenza della condotta di
partecipazione all’associazione per delinquere ex art. 74 d.p.r. 309/1990, per la

piazze di spaccio, e per il compimento prevalente dell’attività di vedetta ed
all’occorrenza di corriere e di lanciatore.
10.2. Il ricorso è inammissibile.
Il vizio di violazione di legge non è stato dedotto con i motivi di appello, tutti
concernenti il merito, e pertanto è inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3
cod. proc. pen.
Quanto al motivo concernente il vizio della motivazione, deve rilevarsi che il
ricorso è privo del requisito della specificità estrinseca in quanto la difesa ha
proposto la sua lettura alternativa dei fatti, mediante deduzioni solo in merito,
senza mai esaminare e confrontarsi con la motivazione della sentenza della Corte
di appello di Catania sulla posizione del ricorrente.
Manca del tutto la critica specifica alla motivazione della sentenza della Corte
di appello di Catania.
Per altro, tale lettura alternativa non si fonda in concreto neanche nella
deduzione specifica del vizio del cd. travisamento della prova, non essendo stato
allegato alcunché né essendovi riferimenti precisi a prove che potrebbero essere
state travisate.
Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia indicati nel ricorso, la
difesa fa riferimento all’omessa valutazione delle loro dichiarazioni, ma non
adempie in alcun modo allo specifico onere di allegazione.
Con il ricorso si chiede in sintesi alla Corte di Cassazione di operare una
diversa valutazione delle fonti di prova, con conseguente inammissibilità
dell’impugnazione.

11. Sul ricorso di Salvatore Musumeci.
Il ricorso di Musumeci Salvatore è infondato e deve essere rigettato.
11.1. Il primo motivo, con il quale la difesa ha dedotto il vizio di violazione di
legge processuale con riferimento agli artt. 187, 192 e 533 cod. proc. pen. è
inammissibile. Il vizio di violazione di legge processuale di cui alla lett. c) dell’art.
48

durata delle condotte di cessione, avvenute nell’arco di due mesi, avvenute nelle

606 cod. proc. pen. sussiste solo per l’inosservanza delle norme processuali
stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o di decadenza.
Le norme che la difesa assume siano state violate non prevedono, in caso di
inosservanza, nessuna delle sanzioni descritte nella lett. c) dell’art. 606 cod. proc.
pen.
11.2. Analogamente, non sussiste alcun vizio di violazione di legge con
riferimento alla eventuale violazione della regola di giudizio compendiata nella
formula «al di là di ogni ragionevole dubbio».

violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della
sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione
delle fonti di prova (cfr. in tal senso Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv.
270108, D’Urso e altri).
Il mancato rispetto di tale regola di giudizio, come anche di quella indicata
nell’art. 192 cod. proc. pen., non può essere dedotto in sede di legittimità
invocando una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero un’attività esclusa
dal perimetro della giurisdizione di legittimità, ma solo evidenziando vizi logici
manifesti e decisivi del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di
cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della
sentenza di condanna.
11.3. Con il secondo motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge
penale ai sensi dell’art.606 lett b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 73 D.P.R.
309/90.
Tale motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 606 ultimo comma cod. proc.
pen. perché è stata dedotta una violazione di legge non eccepita con l’atto di
appello.
In realtà la difesa ha contestato il percorso logico della motivazione della
sentenza sulla individuazione della natura stupefacente della sostanza oggetto del
reato sub capo c).
Deve però rilevarsi che le sentenze citate dalla difesa si riferiscono ai casi in
cui vi è stato il sequestro della sostanza stupefacente e l’esito dell’accertamento
sia negativo sicché vi è la prova che manca l’efficacia stupefacente della sostanza.
È invece possibile procedere ad una valutazione complessiva delle fonti di prova
per accertare la natura stupefacente delle sostanze cedute: se così non fosse, non
sussisterebbe mai la penale responsabilità nei casi di cd. droga parlata.
Tale percorso logico è quello seguito correttamente seguito dalla Corte di
appello di Catania.

49

Tale regola di giudizio rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua

Va rilevato che nella sentenza di primo grado, richiamata dalla Corte di appello
di Catania, si fa riferimento ad un sequestro amministrativo di cocaina.
La Corte di appello di Catania ha superato la questione sollevata con l’appello
con la prova logica valutando il complesso delle fonti di prova: ha infatti rilevato
che la condotta è avvenuta nella piazza di spaccio in cui avveniva cessione della
cocaina; che i collaboratori di giustizia Davide Seminara, Di Maggio Golfredo,
Nicolosi Salvatore hanno riconosciuto il ricorrente per, uno spacciatore della piazza
di Niculittu.

ritenuta irrilevante essendo stato concesso il comma 5 dell’art. 73 d.p.r. 309/1990,
sicché la questione proposto non avrebbe potuto portare a conseguenze diverse.
Dunque, la motivazione complessiva della Corte di appello di Catania fa
ritenere che la questione sulla mancanza di narcotest sia stata implicitamente
rigettata con la motivazione complessiva sulla sussistenza della condotta.
11.4. Il terzo motivo è inammissibile.
Va in primo luogo osservato che con l’atto di appello la difesa ha contestato il
rigetto del riconoscimento della continuazione sulla base di un solo elemento: ha
dedotto il medesimo disegno criminoso solo dalla natura del reato commesso,
richiamando per altro un datato e non rinvenuto orientamento giurisprudenziale
in base al quale in presenza di una pluralità di evasioni dagli arresti domiciliari vi
sarebbe sempre il medesimo disegno criminoso.
Orbene, per come proposto, il motivo di appello era inammissibile per il difetto
di specificità.
Nel giudizio di cognizione vi è un onere di indicazione degli elementi induttivi
della preesistenza dell’unicità del disegno criminoso che include, nelle sue linee
essenziali, i singoli episodi. Tale onere, in sede d’impugnazioni non totalmente
devolutive nelle quali si iscrivono l’appello ed il ricorso per Cassazione, si coniuga
inoltre con l’obbligo della specifica indicazione degli elementi in fatto e delle ragioni
di diritto poste a fondamento delle singole richieste speculari agli errori

in

iudicando ed in procedendo dai quali si assume essere viziata la decisione
impugnata (cfr. Cass. Sez. 2, n. 40342 del 13/05/2003, Rv. 227172, Settimo).
Il principio (Ai fini del riconoscimento della continuazione in sede di
cognizione, incombe sull’interessato l’onere di indicazione e allegazione degli
specifici elementi dai quali possa desumersi l’identità del disegno criminoso) è
stato ribadito da Cass. sez. 2, n. 2224 del 05/12/2017 (dep. 19/01/2018), Rv.
271768, Pellicoro.
L’inammissibilità dell’appello riverbera i suoi effetti anche sull’inammissibilità
del motivo di ricorso; infatti, secondo il costante indirizzo di legittimità non

50

Correttamente poi la determinazione della quantità di principio attivo è stata

possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il Giudice
di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla
sua cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, n. 3541 del 16/12/2015, dep. 2016, Rv. 265937,
Faranda). Un motivo di appello inammissibile è non devoluto alla cognizione del
giudice di appello.
In ogni caso, deve rilevarsi che la motivazione del rigetto da parte della Corte
di appello di Catania non è manifestamente illogica: la Corte di appello di Catania
ha ritenuto che rispetto all’ultimo delitto di evasione, commesso il 14 febbraio

ritenere che già all’atto dell’ideazione del primo delitto, commesso iI4 dicembre
2012, anche tale ultimo reato fosse stato concepito nelle sue linee essenziali, si
da essere collegato al primo reato dall’identità del disegno criminoso.
Il medesimo disegno criminoso ha una sua connotazione sostanziale che lo
distingue dalla identità della spinta criminosa o dall’essere espressione della
capacità a delinquere del reo, come ritenuto dalla Corte di appello di Catania, con
giudizio in fatto non sindacabile in questa sede.
Cfr. Cass. Sez. 6, n. 49969 del 21/09/2012, Rv. 254006, Pappalardo: In tema
di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso
costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il
cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da
adeguata motivazione.
11.5. Il quarto motivo, relativo al rigetto delle circostanze attenuanti
generiche, è manifestamente infondato perché la motivazione della sentenza della
Corte di ppello di Catania è del tutto corretta.
Va ricordato che secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione,
ribadito da Cass. Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Rv. 270694, Di Luca,
l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce oggetto di un
diritto con il cui mancato riconoscimento il giudice di primo grado si deve misurare
poiché, non diversamente da quelle tipizzate, la loro attitudine ad attenuare la
pena si deve fondare su fatti concreti, sicché la loro mancata applicazione può
essere legittimamente giustificata anche con l’assenza di elementi o circostanze di
segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 bis, disposta con il
D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008,
n. 125, per effetto della quale, ai fini della diminuente non è più sufficiente lo stato
di incensuratezza dell’imputato (cfr. anche Cass. Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014,
Papini, Rv. 260610).

51

2013, per il quale vi era già la sentenza definitiva, non vi fossero elementi per

La Corte di appello di Catania correttamente non ha individuato elementi di
segno positivo per la concessione, posto che ha collegato il rigetto alla natura,
entità, modalità della condotta ed alla reiterazione dei comportamenti illeciti
Tali condotte sono state precisamente descritte nella sentenza non solo
quanto alla cessione della sostanza stupefacente, ma anche quanto alla
reiterazione dei reati ex art. 385 cod. pen.
11.5. Il quarto motivo sulla pena deve invece essere rigettato. Se
indubbiamente è stata applicata per il delitto ex art. 73 comma 5 d.p.r. 309/1990
una pena superiore al medio edittale, deve però rilevarsi che la Corte di appello di
Catania ha rigettato il motivo di appello sull’analisi di specifici parametri di cui
all’art. 133 cod. pen. e cioè la natura, l’entità e le modalità di commissione dei
reati, la sua indole collegata ai fatti oggetto del processo ed ai precedenti penali.
La determinazione della pena non può dirsi frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico ed è sorretta da sufficiente motivazione mentre è estranea
al giudizio di cassazione la nuova valutazione della congruità della pena.

12.

Sui ricorsi per cassazione proposti da Costanzo Giovanni, Spanò

Francesco, Titola Marco Filippo e Spanò Gaetano.
Il ricorso per cassazione proposto da Costanzo Giovanni, Spanò Francesco,
Titola Marco Filippo e Spanò Gaetano è inammissibile in quanto dalla sentenza
impugnata non risulta che i ricorrenti abbiano proposto appello avverso la
sentenza di primo grado.
La loro posizione è stata infatti esaminata dalla Corte di appello di Catania
limitatamente agli appelli, poi rigettati, proposti dal Procuratore della Repubblica
di Catania e dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania sul
rigetto dell’art. 7 d.l. 152/1991 conv. dalla legge 203 del 1991 e sul riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche ai ricorrenti.
Per altro, il ricorso del difensore di Spanò Gaetano è tutto incentrato sulle
critiche alla sentenza di primo grado, non essendo stata esaminata la posizione
del ricorrente dalla Corte di appello di Catania in assenza dell’appello.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

13. Vanno dunque rigettati i ricorsi proposti da Calogero Carmelo, Musumeci
Vito, Musumeci Carmelo, Musumeci Salvatore, Fresta Giuseppe, Marino Filippo,
Scuderi Antonino ed i predetti ricorrenti vanno condannati al pagamento delle
spese processuali.
Vanno dunque dichiarati inammissibili i ricorsi proposti da Castorina Angelo,
Condorelli Pietro, Costanzo Giovanni, Spanò Francesco, Titola Marco Filippo,

52

4

Privitera Gaetano, Spanò Gaetano, Venuto Orazio ed ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen. si condannano i predetti ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n.
186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, si condannano Castorina Angelo, Condorelli Pietro, Costanzo
Giovanni, Spanò Francesco, Titola Marco Filippo, Privitera Gaetano, Spanò

in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da Castorina Angelo, Condorelli Pietro,
Costanzo Giovanni, Spanò Francesco, Titola Marco Filippo, Privitera Gaetano,
Spanò Gaetano, Venuto Orazio e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta i ricorsi proposti da Calogero Carmelo, Musumeci Vito, Musumeci
Carmelo, Musumeci Salvatore, Fresta Giuseppe, Marino Filippo, Scuderi Antonino
e li condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/02/2018.
r\

Gaetano, Venuto Orazio al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata

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