Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17124 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17124 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO CICERO SANTA N. IL 20/03/1963
LO CICERO FRANCESCO (DETENUTO) N. IL 25/02/1953
avverso il decreto n. 43/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
22/01/2014

q, „Le

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET, TONI NOVIK;
lette/sceltile le conclusioni del PG Dott.
Ì

lA/

Uditi difensor Avv.;

i

&k,

Data Udienza: 26/11/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/1/2014 la Corte di appello di Palermo, sezione
misure di prevenzione, rigettava l’appello proposto da Santa Lo Cicero e da
Francesco Lo Cicero contro il decreto emesso dal Tribunale della stessa sede con
cui, facendo seguito al decreto di sequestro del 29 dicembre 2010, disponeva la
confisca nei loro confronti, quali eredi di Giovanni Lo Cicero deceduto nel corso
del procedimento il 28 aprile 2011, di alcune unità immobiliari realizzate
abusivamente e facenti parte di un edificio intestato alla Immobiliare F.11i Lo

2. La Corte rilevava che nei confronti di Giovanni Lo Cicero, sottoposto con
decreto del Tribunale di Palermo del 12 maggio 2008 alla misura di prevenzione
personale della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno per la sua
appartenenza ad associazione mafiosa, era stata già disposta la misura di
prevenzione patrimoniale della confisca di numerosi beni, ritenuti nella
disponibilità del medesimo e di provenienza illecita, tra i quali erano ricomprese
le quote e gli immobili della Immobiliare F.11i Lo Cicero s.r.l. Con il decreto
impugnato, il Tribunale aveva esteso la confisca ex art. 2 ter legge 575/65 ad
altri beni immobili abusivamente realizzati, che non erano stati ricompresi
nell’originario decreto di sequestro.

3. In merito alla pericolosità sociale, il Tribunale aveva richiamato il
contenuto del decreto del 12 maggio 2008 che, anche sulla base delle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Alberto Lo Cicero e Francesco
Onorato, aveva ritenuto che Giovanni Lo Cicero facesse parte di Cosa Nostra,
come uomo d’onore della famiglia mafiosa dell’Arenella-Vergine Maria,
Acquasanta e rappresentante della famiglia dell’Arenella, ed aveva operato
nella “ripulitura” del denaro sporco proveniente dalle varie attività illecite
perpetrate dalla organizzazione mafiosa facente capo ai Madonia. Venivano
richiamati i numerosi arresti cui Lo Cicero era stato sottoposto per i reati di cui
agli artt. 81 cpv e 648 bis cod. pen., per i reati di associazione per delinquere,
abuso d’ufficio, estorsione ed altro, e per quelli di cui agli artt. 81 cpv 110, 319 e
321 cod. pen.

4. La confisca disposta con il richiamato decreto, si era fondata sulla
natura illecita delle attività imprenditoriali riconducibili al proposto, nonché
sulla rilevata sproporzione fra i redditi dichiarati dal medesimo e dai suoi
familiari e il valore dei beni agli stessi riconducibili. In particolare, nel decreto

1

Cicero s.r.l.

del maggio 2008, si era accertato che all’origine delle attività imprenditoriale di
Giovanni Lo Cicero non vi potevano essere delle fonti lecite di guadagno, atteso
che, al momento di avviarle, il proposto, già coinvolto in attività mafiose, ne era
privo.

5. Gli appelli di Santa e Francesco Lo Cicero avevano contestato la
sussistenza dei presupposti della pericolosità sociale di Giovanni Lo Cicero, anche
per l’imprecisione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Alberto Lo Cicero

richiamato gli esiti favorevoli delle vicende giudiziarie che avevano riguardato il
loro comune dante causa. L’affermazione del Tribunale, che all’origine dell’attività
imprenditoriale del proposto non potevano che esservi delle fonti illecite di
guadagno, era apodittica e aveva travolto tutti i suoi beni, senza analizzare
distintamente la provenienza dei singoli cespiti, ed omettendo di valutare
l’elemento soggettivo dell’erede per accertare se e in che misura lo stesso fosse
consapevole della attività illecita del dante causa e della genesi illecita dei cespiti
patrimoniali caduti in successione.

6. Nell’udienza dinanzi alla Corte di appello, Santa Lo Cicero aveva reso
spontanee dichiarazioni e depositato memoria da lei redatta; la Corte non aveva
accolto la richiesta di produzione documentale.

7. Nel respingere i gravami, la Corte distrettuale premetteva che con
sentenza del 6 febbraio 2013 la Corte di Cassazione aveva dichiarato
inammissibili i ricorsi proposti dagli eredi di Giovanni Lo Cicero (tra ì quali Santa
Lo Cicero e Francesco Lo Cicero) avverso il decreto della Corte di Appello del 23
dicembre 2011/17 febbraio 2012 che aveva dichiarata cessata la misura dì
prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. applicata dal Tribunale
di Palermo con decreto 10/1/2008 – 12/5/2008 a carico del predetto Giovanni Lo
Cicero, in conseguenza dell’intervenuto decesso del medesimo, ed aveva
confermato la misura di prevenzione patrimoniale della confisca avente ad
oggetto l’IMMOBILIARE F.LLI LO CICERO s.r.l. e i beni immobili intestati alla
stessa. Erano quindi divenuti definitivi, con i limiti propri del giudizio di
prevenzione, i punti relativi alla pericolosità sociale di Giovanni Lo Cicero,
qualificata dall’appartenenza al sodalizio mafioso, e l’origine illecito mafiosa del
suo patrimonio, in particolare, della società Immobiliare F.11i Lo Cicero, cui si
riferivano i beni oggetto della impugnata confisca. In quella sede erano state
valutate e disattese le stesse doglianze proposte con l’appello, tra cui l’irrilevanza
dell’esito dei procedimenti in cui il proposto era stato coinvolto, ed era stata

e Francesco Onorato, indicate dal Tribunale nel decreto impugnato, e avevano

ribadita la natura illecito mafiosa dell’attività imprenditoriale svolta dal Lo Cicero,
con la conseguente natura illecita dei beni nella disponibilità dello stesso, anche
se formalmente intestati ai familiari, partecipi delle iniziative economicoimprenditoriali del loro congiunto.

8. Dalla irrevocabilità del decreto emesso nel 2008, quantomeno nella parte
relativa alla misura di prevenzione patrimoniale dei beni nella disponibilità del
dante causa, emergeva l’infondatezza delle doglianze mosse contro il giudizio di

illecita delle aziende e dei beni intestati al proposto e ai suoi familiari, oggetto
della confisca disposta con il decreto impugnato. L’intervenuta definizione di quel
procedimento impediva di rivalutare le argomentazioni disattese e le ricostruzioni
dei consulenti tecnici di parte che l’appellante Santa Lo Cicero, con la memoria
depositata in udienza, aveva inteso riproporre.

9. Infine, la Corte rilevava che nel caso in esame nulla autorizzava a
dubitare della consapevolezza in capo agli appellanti dell’attività illecita del
dante causa, attesa la loro attiva partecipazione alle imprese familiari
confiscate nel procedimento di prevenzione avviato a carico del loro dante
causa, al quale avevano partecipato, in quanto formali intestatari dei beni
confiscati.

10.

Avverso questo decreto, hanno proposto ricorso per cassazione

chiedendone l’annullamento, Santa Lo Cicero, a mezzo del difensore di fiducia,
e personalmente Salvatore Lo Cicero.

11. Con un unico motivo, Santa Lo Cicero deduce violazione dell’art. 606 lett.
e) cod. proc. pen. per mancanza di motivazione del provvedimento impugnato in
relazione alle dichiarazioni spontanee rese dalla medesima nel corso dell’udienza del 22
gennaio 2014. Come si evinceva dal verbale di udienza (allegato al ricorso), nel
corso della stessa la ricorrente aveva depositato una memoria difensiva, e reso
dichiarazioni spontanee in relazione alle modalità di acquisto delle unità
immobiliari abusivamente realizzate dalla “Immobiliare Lo Cicero”, dimostrando
che i box, oggetto della confisca, erano stati realizzati con mezzi finanziari leciti,
mediante l’erogazione di un mutuo da parte del Banco di Sicilia di euro
600.000,00. La Corte di appello non aveva espresso alcuna motivazione in ordine
a queste dichiarazioni, essendosi trincerata dietro un giudicato che aveva
riguardato beni diversi, così incorrendo nella violazione dell’art. 606, capo e),
cod. proc. pen.
3

pericolosità qualificata espresso nei confronti del Lo Cicero e la ritenuta origine

12. Francesco Lo Cicero deduce violazione dell’art. 606, lettera d), cod. proc.
pen. e n. 68 decreto legislativo n. 159 del 2011. La Corte aveva respinto la
produzione documentale rilevante per la decisione ritenendola tardiva, cosa non vera
in quanto l’udienza era ancora in corso ed era obbligo del presidente acquisire la
documentazione pertinente e rilevante, come prescritto dall’art. 68 del decreto
legislativo citato. Afferma che la confisca aveva illegittimamente colpito beni costruiti
abusivamente, non quindi di provenienza illecita, sulla base di “chiacchiere” di cortile
assunte a crisma di verità. Giovanni Lo Cicero aveva subito misure di prevenzione,

stesso ed egli fosse stato assolto nei procedimenti penali, ottenendo un ristoro per
ingiusta detenzione. L’affermazione secondo cui egli era dedito alla ripulitura del
denaro sporco non trovava riscontro in elementi di fatto.

13. Con il secondo motivo, di non chiara intelligibilità, Francesco Lo Cicero
deduce violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. assumendo la mancanza
all’interno del provvedimento impugnato di un iter logico comprensibile, e per essersi
la Corte conformata apoditticamente al deciso del primo giudice. Ad avviso del
ricorrente, la Corte non aveva indicato i temi o problemi trattati e le soluzioni offerte
non consentivano la conoscenza di questi temi, né le persone indicate come Madonia,
incorrendo nel vizio di travisamento del fatto.

14. Il Procuratore generale presso questa corte ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile, atteso che il sindacato di legittimità sui provvedimenti in
materia di prevenzione, coerentemente alla natura e funzione del procedimento, è
limitato alla violazione di legge (regola recepita dell’art. 10 Dig. 159/11) e quindi non
si estende ad un controllo sull’adeguatezza o coerenza logica dell’iter giustificativo
della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili. Nel procedimento di prevenzione il ricorso per
cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto
dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo
comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, la cui conformità alla Costituzione è
stata da ultimo riconosciuta con la sentenza della Corte costituzionale n.
106 del 2015; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è
esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità
manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente
denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di
provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma
4

nonostante gli organi di polizia avessero dichiarato che nulla poteva addebitarsi allo

del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o
meramente apparente. (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 – dep. 29/07/2014,
Repaci e altri, Rv. 260246).

2. Nel caso in esame il motivo di ricorso di Santa Lo Cicero è manifestamente
infondato in quanto, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte ha
valutato le prospettazioni difensive avanzate dalla parte rimarcando che le
medesime doglianze erano state già disattese con il decreto della Corte di

legge, rilevante sotto il profilo della mancanza di motivazione, né può essere
preso in considerazione nella sede del presente scrutinio di legittimità un diverso
vizio della motivazione, essendo, come anzidetto, il ricorso ammesso
esclusivamente “per violazione di legge”.

3. Anche il primo motivo del ricorso di Lo Cicero Francesco è manifestamente
infondato. In relazione al procedimento di sorveglianza non è configurabile, in
radice, il vizio della mancata assunzione della prova decisiva, ai sensi dell’art.
606 cod. proc. pen.„ comma 1, lettera d) previsto “soltanto per il giudizio
dibattimentale e non anche per i procedimenti che si svolgono con il rito della
Camera di consiglio” (Sez. 1, Sentenza n. 8641 del 2009). La norma, infatti,
circoscrive tassativamente la previsione della impugnativa: “quando la parte
della prova non assunta ne abbia fatto richiesta, anche nel corso della istruzione
dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’art. 495 cod. proc. pen.„
comma 2”. Sicché la doglianza ammessa è esclusivamente quella riferita alla
mancata ammissione della prova a discarico decisiva dedotta in dibattimento.
Resta, beninteso, impregiudicata la rilevanza delle censure per l’omessa
ammissione, o disposizione, di una prova sotto il diverso profilo del vizio di
motivazione mancante, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen.„ ma sul punto il
giudice a quo ha valutato che la produzione era tardiva perché effettuata in
udienza in violazione del principio del contraddittorio (art. 7 d Igs 159 del 2011).
Peraltro, il ricorrente non spiega quali erano i documenti che intendeva
depositare e in che modo avrebbero avuto incidenza sull’esito del procedimento.
Non ricorrono, alla evidenza, i vizi della inosservanza o della erronea
applicazione della legge.

4.2. Con il secondo motivo Francesco Lo Cicero contesta la motivazione della
Corte d’appello che ha ritenuto giudizialmente accertata, con sentenza definitiva,
la pericolosità sociale di Giovanni Lo Cicero, qualificata dall’appartenenza al
sodalizio mafioso, e l’origine illecito mafiosa del suo patrimonio, in particolare,
5

appello 23 dicembre 2011 – 17 febbraio 2012. Non sussiste alcuna violazione di

della società Immobiliare F.11i Lo Cicero. L’argomentazione della Corte è corretta
e ad essa il ricorrente oppone quegli stessi argomenti già disattesi con il decreto
divenuto irrevocabile e, sostanzialmente, chiede una rilettura delle risultanze
processuali alternativa a quella effettuata in sede di merito, senza tuttavia
evidenziare nessuna violazione di legge, sicché, consistendo in motivi diversi da
quelli consentiti dalla legge con il ricorso per Cassazione, sono inammissibili à
termini dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3.

pagamento delle spese del procedimento nonché ciascuno al versamento in
favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in
Euro 1000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere
che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità”. (Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1000,00 alla
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015
Il Consigliere estensore

3. Ne consegue l’inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al

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