Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17122 del 18/01/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17122 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BIONDO UMBERTO, N. IL 9/10/1965,
avverso la sentenza n. 3880/2010 pronunciata dalla Corte di Appello di Palermo
del 2/11/2011;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite il P.G. Dott. Vito D’Ambrosio, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso perché censure in fatto;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. Giuseppe Sceusa, ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN PATTO
1. Il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo, all’esito
di rito abbreviato, pronunciava in data 20.4.2010 sentenza di condanna alla pena
di anni uno e mesi due di reclusione nei confronti di Biondo Umberto, ritenuto
responsabile della morte di Riahdu Chakri, cagionata operando, alla guida di
un’autovettura inizialmente in posizione di fermo, una manovra di inversione ad
U omettendo di accertare che la stessa non costituisse pericolo per altri utenti e
quindi senza tener conto del sopraggiungere dello Chakri alla guida di un
ciclomotore proveniente da tergo.

2. La Corte di Appello di Palermo, su ricorso dell’imputato, riformava la
menzionata sentenza unicamente quanto al trattamento sanzionatorio, riducendo

Data Udienza: 18/01/2013

2. La Corte di Appello di Palermo, su ricorso dell’imputato, riformava la
menzionata sentenza unicamente quanto al trattamento sanzionatorio, riducendo
la pena a mesi sei di reclusione e concedendo il beneficio della sospensione
condizionale della pena. Il secondo giudice confermava quindi il giudizio di
colpevolezza del Biondo, ritenendo non fondati i rilievi mossi dall’appellante. In
particolare questi aveva evidenziato che la vittima era sprovvista di patente ed il
ciclomotore privo di copertura assicurativa; il ciclomotore al momento
dell’impatto percorreva la semicarreggiata opposta a quella di propria

Biondo non procedeva a fari spenti e la manovra di inversione non era stata
repentina; la vittima si era accorta della manovra di inversione quando era
ancora a 58 metri di distanza e ciò nonostante aveva deciso di proseguire nella
marcia.
Ad avviso della Corte distrettuale, anche a voler ritenere provato il
comportamento colposo della vittima, quale ricostruito dall’appellante, la
responsabilità dell’imputato non risulta perciò esclusa, atteso che questi aveva
iniziato la manovra di inversione senza accertarsi preventivamente che da tergo
proveniva il ciclomotore condotto dalla vittima.
La circostanza,

oggettivamente incidente sulla

percepibilità del

sopraggiungere del ciclomotore, secondo la quale il ciclomotore marciava a fari
spenti, è stata esclusa dal giudice di seconde cure per il suo carattere
meramente congetturale, atteso che tanto il c.t. della difesa che il teste Biondo
Salvatore ne avevano parlato in termini di mera ipotesi.
Per contro, il carattere repentino della manovra dell’automobilista era stato
riferito dalla teste Maceo Benedetta (coniuge della vittima) e nessun elemento
processuale era emerso a negare tale circostanza, atteso che la diversa
conclusione del c.t. era stata tratta da un calcolo matematico che la Corte
territoriale ha ritenuto scorretto, perché non comprensivo delle “infinite possibili
variabili” che potevano aver condizionato il moto della vettura nel caso concreto.

3. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia
avv. Giuseppe Sceusa, lamentando violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 43, 589 cod. pen. e 154
C.d.S.
In primo luogo la Corte di Appello ha assunto a perno della propria
ricostruzione le dichiarazioni della Maceo omettendo ogni valutazione circa
l’attendibilità della medesima; ad esempio in rapporto al fatto che, come risulta
dagli atti, ella ha avviato azione civile per il risarcimento del danno derivante

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pertinenza, con i fari spenti e a velocità superiore a 70 Km/h; l’autovettura del

Su tali incongruenze la Corte di Appello non ha fornito alcuna risposta alle
censure dell’appellante.
Inoltre essa ha disatteso le conclusioni della consulenza tecnica di parte con
affermazione apodittica, non essendo state precisate quali fossero le infinite
variabili delle quali il calcolo matematico eseguito dall’esperto non avrebbe
tenuto conto. Per risolvere i dubbi in merito la Corte di Appello avrebbe dovuto
disporre una perizia.
Ancora, nell’affermare il carattere congetturale delle affermazioni che

tenuto conto delle dichiarazioni di Biondo Salvatore ed ha omesso di considerare
che a carico dell’imputato non era stata elevata contravvenzione per violazione
dell’art. 154 C.d.S.
Infine, era stato asserito dall’appellante che nel caso di specie può trovare
applicazione il principio di affidamento; anche su tale punto la Corte di Appello
ha omesso la motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Occorre premettere che tutte le censure che presuppongono una
ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di Appello escludente un
comportamento colposo della stessa vittima del reato non meritano specifica
trattazione, atteso che la sentenza impugnata prende esplicitamente in
considerazione e – sia pure a meri fini argomentativi – fa propria la tesi difensiva
di un comportamento di guida trasgressivo di Riahdu Chakri, che nel sinistro
trovò la morte.
Come sl è sopra ricordato, la Corte distrettuale ha ritenuto che in ogni caso
la responsabilità dell’imputato non potesse essere esclusa, identificando nell’aver
iniziato la manovra di inversione senza accertarsi preventivamente che da tergo
non proveniva nessuno la condotta colposa rimproverabile al Biondo.
Tale accertamento viene fondato sulle dichiarazioni della Maceo e attraverso il richiamo alla conforme sentenza di primo grado – ad alcune
circostanze ritenute confermative delle affermazioni della donna, per la quale la
manovra di inversione ad U fu repentina: l’assenza di tracce di frenata del
ciclomotore ed il fatto che l’urto tra i veicoli era avvenuto quando l’autovettura
era in fase avanzata nella manovra di inversione.
Siffatta piattaforma motivazionale viene criticata in primo luogo per
l’inattendibilità della Maceo, che si assume essere promotrice di azione civile di
risarcimento dei danni e fonte di un’affermazione rivelatasi non vera (l’avere
l’autovettura i fari spenti); quindi sulla scorta delle conclusioni di una consulenza

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indicano il ciclomotore come procedente a fari spenti, la Corte di Appello non ha

,

l’autovettura i fari spenti); quindi sulla scorta delle conclusioni di una consulenza
tecnica di parte, disattesa dalla Corte di Appello con motivazione che si assume
essere apodittica.
Orbene, come statuito di recente dalle S.U., “le regole dettate dall’art. 192
comma terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona
offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e

più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte
ed altri, Rv. 253214).
Le sentenze di merito, che come già rilevato si integrano tra loro, hanno
valutato criticamente la deposizione della Maceo, come reso manifesto
dall’evidenziazione fatta dal primo giudice dei riscontri rinvenibili alla versione
dei fatti fornita dalla donna. Il dato di maggior sospetto verso la Maceo, ovvero
l’aver promosso un’azione civile per il ristoro dei danni patiti a seguito
dell’incidente che coinvolse il coniuge, non è stato portato alla cognizione del
giudice di appello: l’atto di impugnazione, infatti, nel segnalare l’asserita
inattendibilità della teste menziona la sola circostanza della non veridicità
dell’affermata cecità dei fari dell’autovettura. Tanto esclude che possa valutarsi
la congruenza della motivazione della sentenza impugnata alla luce del dato
evidenziato (e non documentato come preteso dal principio di autosufficienza del
ricorso) con il solo ricorso.
Per quanto concerne la motivazione resa dal giudice di seconde cure in
ordine alla inidoneità della consulenza tecnica di parte a sovvertire la
ricostruzione operata sulla scorta degli altri elementi acquisiti al processo, non vi
è alcuna apoditticità – ma piuttosto v’è estrema sinteticità – nell’affermazione
della Corte distrettuale che evoca le ‘infinite possibili variabili’ che avevano
potuto condizionare il moto della vettura nel caso concreto. Appare evidente che
il Collegio abbia voluto riferirsi alla natura congetturale delle conclusioni
dell’esperto, derivante dalla mancata conoscibilità degli innumerevoli dati fattuali
rilevanti ai fini dell’accertamento e, per converso, dalla pochezza dei fattori noti,
come realmente verificatisi.

4.2. Le osservazioni che il ricorrente svolge sulla scorta del rilievo che al
Biondo non venne fatta contestazione della violazione dell’art. 154 C.d.S. non
appaiono condivisibili. E’ senz’altro vero che l’attribuzione di responsabilità fatta
al Biondo presuppone l’individuazione di regole cautelari violate. Ma è del tutto

dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere

arbitrario affermare, come nella sostanza fa il ricorrente, che tali regole possono
essere rinvenute solo nell’art. 154 cit., perché questa è la norma che disciplina il
comportamento di chi si appresta a compiere una inversione ad U.
Correttamente la Corte di Appello ha replicato che le regole cautelari possono
essere regole di comune diligenza, prudenza, perizia. Questa Corte ha già
affermato che “in tema di responsabilità da sinistri stradali, l’osservanza delle
norme precauzionali scritte non fa venir meno la responsabilità colposa
dell’agente, perché esse non sono esaustive delle regole prudenziali

cautelata, potendo residuare una colpa generica in relazione al mancato rispetto
della regola cautelare non scritta del “neminem laedere”, la cui violazione
costituisce colpa per imprudenza” (Sez. 4, n. 15229 del 14/02/2008, P.G. in
proc. Fiorinelli, Rv. 239600).
Peraltro, nella specie si è ascritto al Biondo di non aver preventivamente
accertato che la manovra non costituisse pericolo per altri utenti e di non aver
tenuto conto del sopraggiungere del motociclo. Invero si evocano così
comportamenti doverosi che già possono farsi rientrare nella previsione dell’art.
154, co. 1, laddove dispone che i conducenti che intendono eseguire una
manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o
corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra
o a sinistra, per impegnare un’altra strada, o per immettersi in un luogo non
soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono, tra l’altro,
assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli
altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di
essi.

4.3. Si lamenta infine l’omessa motivazione in ordine al principio di
affidamento. Siffatta carenza motivazionale non sussiste. L’esame dell’atto di
appello evidenzia che in alcun passo è stato richiesto al giudice di seconde cure
di riconsiderare la pronuncia impugnata alla luce di tale principio.
Il motivo risulta peraltro infondato. In tema di reati commessi con violazione
delle norme sulla circolazione stradale, la giurisprudenza di legittimità è per lo
più rigorosa, riconoscendosi per la più parte nel principio per il quale “costituisce
di per sè condotta negligente l’aver riposto fiducia nel fatto che gli altri utenti
della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore, poiché le norme sulla
circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per
far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da comportamenti
irresponsabili altrui, se prevedibili (Cass. sez. 4, sent. n. 32202 del 15/7/2010,
Filippi, rv. 248354). Altra parte della giurisprudenza, allo stato minoritaria,

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realisticamente esigibili rispetto alla specifica attività o situazione pericolosa

tende a riconoscere l’operatività del principio di affidamento anche con
riferimento all’ambito della circolazione stradale: si veda, ad esempio, Cass. sez.
4, n. 46741 dell’8/10/2009, P.C. in proc. Minunno, rv. 245663). Quale che sia la
tesi preferibile ed il piano dogmatico sul quale detto principio deve collocarsi, è
Indubbio che esso non può essere invocato da chi tiene una condotta a sua
volta inosservante delle prescrizioni cautelari.

5. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/1/2013.

spese processuali.

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