Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17120 del 16/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17120 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Brossi Alessandro, nato a Paliano il 11/03/1973

avverso la sentenza del 06/06/2016 della Corte d’appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

DEPOSITATA! CACELLE
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Data Udienza: 16/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6 giugno 2016, la Corte d’appello di Roma ha
confermato la sentenza in primo emessa nei confronti di Alessandro Brossi, che,
all’esito del giudizio abbreviato, concesse le circostanze attenuanti generiche
equivalenti alla contestata recidiva, lo aveva condannato per il reato di cui all’art.
73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 alla pena di anni uno e mesi otto di

2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore
dell’imputato, deducendo l’errata applicazione della legge ed il vizio di
motivazione sia quanto alla mancata esclusione degli effetti della recidiva
(essendosi valorizzata, quale elemento sintomatico della pericolosità sociale, una
condanna riportata dall’imputato per un fatto commesso successivamente a
quello oggetto di processo), sia quanto alla mancata riduzione della pena inflitta
in primo grado in termini prossimi al massimo edittale a fronte di un quantitativo
di stupefacente illecitamente detenuto che – osserva il ricorrente – sarebbe non
elevato, essendo pari a 50 dosi medie singole di cocaina.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini del giudizio
per l’applicazione degli effetti della recidiva c.d. facoltativa di cui ai primi quattro
commi dell’art. 99 cod. pen., una volta accertata la sussistenza dei precedenti
penali che ne costituiscono l’oggettivo presupposto, è compito del giudice quello
di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di
riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla
natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al
grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al
livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta
e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e
del grado di colpevolezza (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibe’ e a., Rv.
247838; Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, Manco e a., Rv. 248960; Sez. F, n.
35526 del 19/08/2013, De Silvio, Rv. 256713). In particolare, la valutazione del
giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco
temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in
concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il
fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale

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reclusione.

misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante
inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la
commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299/2017 del 16/11/2016, Del
Chicca, Rv. 270419). E’ ricorrente, nella giurisprudenza di legittimità, il rilievo
per il quale il giudizio sulla significatività del nuovo episodio delittuoso quale
espressione della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del
reo in considerazione della natura e del tempo di commissione dei precedenti
penali, debba essere effettuato avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133

2. Per il secondo comma della disposizione da ultimo richiamata, la
capacità a delinquere di un soggetto può essere desunta da una serie di indici,
tra i quali, sub n. 3), espressamente viene indicata la «condotta contemporanea
o susseguente al reato». Ai fini di valutare se la commissione di un altro delitto
da parte dell’imputato recidivo sia o meno espressione di una maggior
pericolosità sociale connessa ai precedenti penali, ovvero rappresenti
un’occasionale ricaduta, è dunque legittimo – e non viola i criteri legali cui il
giudice deve informare la propria valutazione sul punto, rappresentandone, anzi,
corretta applicazione – considerare anche la condotta susseguente al reato
oggetto di giudizio come prescrive l’art. 133, secondo comma, n. 3), cod. pen.
Non è pertanto censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui,
nell’ambito di quella complessiva valutazione richiesta dalla giurisprudenza più
sopra richiamata – dopo aver considerato che i numerosi precedenti penali
dell’imputato erano indicativi di una condotta di vita dedita alla commissione di
reati e che, essendo gli stessi prevalentemente relativi a reati contro il
patrimonio, il delitto di detenzione illecita di stupefacenti sub iudice, pur diverso
dai pregressi delitti già giudicati, .rappresentava evidentemente una nuova
modalità di procacciarsi illeciti guadagni – ha escluso che potesse trattarsi di una
occasionale ricaduta nell’illecito non dipendente dai precedenti episodi di
devianza valorizzando, da un lato, il fatto che, benché l’ultimo precedente penale
risalisse a quattro anni prima (una condanna a cinque anni di reclusione per
rapina), lo stesso era stato commesso in epoca prossima alla scarcerazione
relativa all’espiazione della pena e, d’altro lato, il fatto che, un mese dopo la
commissione del reato sub iudice, l’imputato aveva commesso altro delitto in
materia di illecita detenzione di stupefacenti per cui aveva riportato condanna
definitiva.

3. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso.

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cod. pen. (Sez. 6, n. 34702 del 16/07/2008, Ambesi, Rv. 240706).

Il gravame sull’eccessività della pena inflitta in primo grado è stato
respinto sul rilievo che quel giudice aveva fatto buon uso del potere discrezionale
regolato dall’art 133 cod. pen., «in particolare valutando la gravità del fatto
desunta dal dato ponderale detenuto e la negativa personalità dell’imputato alla
luce delle precedenti considerazioni». Posto che la detenzione a fini di spaccio di
50 dosi singole di cocaina – vale a dire, 10 volte il quantitativo massimo
detenibile per uso personale ai sensi del d.m. 11 aprile 2006 – rappresenta un
dato ponderale certamente non significativo di una evidente, oggettiva, lieve

personalità del reato, la motivazione del giudice di merito non è manifestamente
illogica, valutato anche che – contrariamente a quanto si opina in ricorso – la
pena base fissata in anni due e mesi sei di reclusione e 4.500 Euro di multa non
è certo prossima al massimo edittale, essendo di soli tre mesi superiore alla
media edittale quanto alla pena detentiva e decisamente inferiore alla media
edittale per quella pecuniaria, collocandosi dunque, nel complesso, in una linea
mediana tra minimo ed massimo.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della
sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente
fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere
del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in
favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro
2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 16/02/2018.

entità e che, nella specie, è stata sfavorevolmente considerata anche la

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