Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17118 del 16/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17118 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– HAMMAMI HATEM, n. 12.06.1991 in Tunisia

avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Bologna in data 21.02.2017;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Simone Perelli, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 16/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 21.02.2017, la Corte d’appello di Bologna, in
parziale riforma della sentenza del tribunale di Rimini 4.05.2016, appellata dal PM,
dal PG e dall’Hammami, riqualificava il fatto a norma dell’art. 73, co. 1, TU Stup.,
per l’effetto rideterminando la pena in 3 anni, 6 mesi e gg. 20 di reclusione ed C
12000 di multa, confermando nel resto l’appellata sentenza che lo aveva ricono-

stupefacente del tipo eroina, destinata allo spaccio, in relazione a fatti del
5.04.2016.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato Hammami, a mezzo del difensore
di fiducia iscritto all’albo speciale ex art. 613, c.p.p., deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. In particolare, il ricorrente, con l’unico motivo, deduce il vizio di mancanza,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e vizio di violazione di
legge in relazione agli artt. 103 e 133 c.p.
Si duole il ricorrente per la riqualificazione del fatto a norma del co. 1 dell’art. 73,
in riforma della sentenza appellata che aveva ritenuto di dover inquadrare il fatto
nella c.d. ipotesi lieve; l’imputato sarebbe stato trovato in possesso di alcuni involucri di sostanza stupefacente e, a seguito della perquisizione della stanza d’albergo in uso al medesimo, erano stati rinvenuti altri quattro involucri nascosti in
una scarpa da tennis; non sarebbe stato rinvenuto lo “strumentario” tipico dello
spacciatore, in particolare sostanza da taglio, materiale per il confezionamento e
la somma dì denaro in suo possesso, pari a C 65, era da considerarsi “risibile”
dovendo l’imputato far fronte alle spese di acquisto della stanza; la motivazione
con cui il fatto è stato riqualificato, pertanto, sarebbe stata assunta in violazione
del disposto dell’art. 73, co. 5, TU Stup., come interpretato dalla giurisprudenza
di questa Corte – di cui la difesa del ricorrente richiama alcuni precedenti – nonché
viziata sotto il profilo motivazionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Le doglianze svolte dal ricorrente appaiono anzitutto generiche per aspecificità in
quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata

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sciuto colpevole per aver illecitamente detenuto 9 involucri contenenti sostanza

che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nel motivo di appello (che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza
alcun apprezzabile elemento di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di
inammissibilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il

minati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal
giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le
argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep.
16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

4. Le stesse inoltre sono da ritenersi manifestamente infondate, atteso che la
Corte d’appello motiva in maniera adeguata e puntuale le ragioni per cui ha ritenuto che il fatto non fosse inquadrabile nella c.d. ipotesi lieve.
In particolare, emerge dalla lettura della sentenza impugnata che l’Hammami era
stato controllato per strada dalla PG che, dopo averlo seguito ed aver assistito ad
un incontro con altra persona, decideva di procedere al suo fermo facendosi consegnare alcuni involucri di sostanza, accertata successivamente essere eroina,
nonché un bilancino di precisione in suo possesso; estesa quindi la perquisizione
alla stanza dell’albergo da questi occupata, venivano rinvenuti ulteriori quattro
involucri contenenti lo stesso tipo di sostanza, nascosti all’interno di una scarpa
da ginnastica; l’esito della c.t. tossicologica consentiva di accertare che dal quantitativo complessivo di stupefacente sequestrato erano ricavabili ben 691,1 dosi
medie singole; da evidenziare che l’imputato, si legge in sentenza, ammetteva che
la sostanza era destinata alla cessione a terzi per procurarsi del denaro, in quanto
egli era irregolare sul territorio nazionale e privo di fonti lecite di reddito, asserendo che lo stupefacente gli era stato dato “in conto vendita”.

5. Alla luce delle emergenze processuali, i giudici di appello hanno fornito una
spiegazione coerente con tali emergenze e immune dai denunciati vizi quanto alla
riqualificazione del fatto nell’ipotesi del co. 1 dell’art. 73 citato; i giudici, sul punto,
hanno evidenziato che, quanto alle modalità dell’azione, le stesse non potessero
ritenersi compatibili con l’ipotesi lieve di cui al comma quinto, atteso che lo stesso
imputato aveva ammesso di aver ricevuto lo stupefacente dell’elevato valore economico oltre che dal consistente quantitativo “in conto vendita”, circostanza, questa del tutto incompatibile con un’autonoma gestione dello smercio illecito da parte
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ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeter-

dell’imputato, in termini di rapporti e contatti con la clientela; detta circostanza,
aggiungono i giudici di appello veniva confermata dall’esito della perquisizione,
che, oltre agli altri involucri, consentiva di rinvenire ben cinque telefoni cellulari,
circostanza definita correttamente “inusuale” per uno spacciatore da strada, di cui
uno solo munito di scheda SIM su cui nel corso delle operazioni sopraggiungevano
numerose chiamate da utenze memorizzate nella rubrica; ancora, si aggiunge, la

conciliabile, da un punto di vista economico, con lo status di straniero irregolare
sul territorio nazionale e privo di lecita attività lavorativa.
Sulla base di tali considerazioni, i giudici di appello ritenevano pertanto che non si
trattasse di un caso tipico di spaccio da strada, ma di un soggetto inserito in un
più ampio circuito criminale dedito al traffico di stupefacenti, desunto dalla capacità di approvvigionamento di notevoli quantità di sostanza e dal tenore di vita
superiore rispetto alle dichiarate condizioni di asserita indigenza economica; a ciò
si aggiungeva, precisa la Corte d’appello, il consistente dato ponderale dello stupefacente sequestrato, trattandosi di eroina suddivisa in involucri da cui erano
ricavabili ben 691 dosi medie singole, destinati ad una prolungata attività di spaccio (come del resto comprovato, aggiunge questa Corte, dalla stessa presenza del
bilancino di precisione, strumento di regola utilizzato per la pesatura delle dosi da
cedere a terzi); alla luce di quanto sopra e della giurisprudenza di legittimità richiamata in sentenza, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto corretta la riqualificazione nell’ipotesi di cui al co. 1 dell’art. 73 citato.

6. Le doglianze del ricorrente, pertanto, sono da ritenersi manifestamente infon-

date, tenuto conto della giurisprudenza, correttamente richiamata dai giudici di
appello, che esclude la sussumibilità del fatto nel comma quinto dell’art. 73 quando
anche uno solo degli indici indicati dalla norma sia a tal fine ostativo.
Trattasi di motivazione immune dai denunciati vizi, che si conforma del resto al
principio autorevolmente espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui
la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma
quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima
offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo,
sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze
dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti
negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul
giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010 – dep. 05/10/2010, P.G. in proc. Rico,
Rv. 247911).

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permanenza stessa dell’imputato in una stanza di albergo appariva del tutto in-

Il ricorrente, dunque, attraverso i denunciati vizi di mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, sotto l’apparente censura del vizio motivazionale, in realtà tenta di chiedere a questa Corte di sostituire la propria valutazione a quella, operata dai giudici territoriali, non condivisa dal ricorrente; ciò che
si risolve, dunque, nella manifestazione del dissenso di quest’ultimo, più che nella
prospettazione di un reale vizio motivazionale; deve, quindi, essere ribadito che il

di cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito in
ordine alla ricostruzione storica della vicenda ed all’attendibilità delle fonti di
prova, e tanto meno di accedere agli atti, non specificamente indicati nei motivi di
ricorso secondo quanto previsto dall’art. 606, primo comma, lett. e) cod. proc.
pen. come novellato dalla L. n. 46 del 2006, al fine di verificare la carenza o la
illogicità della motivazione (Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 – dep. 13/06/2006,
P.M. in proc. Matera, Rv. 233783).

7. La sentenza impugnata non merita conclusivamente censura sotto alcuno dei
profili di doglianza mossi nel ricorso. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro
2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di C 2.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16 febbraio 2018

controllo di legittimità sulla correttezza della motivazione non consente alla Corte

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