Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17098 del 08/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17098 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Aouidat Adil, nato in Marocco il 15/12/1983
Aouidat Zouhair, nato in Marocco il 16/3/1989
Krib Mohanned, nato in Marocco il 1°/2/1975
Zouhir Naji, nato in Marocco il 26/6/1983

avverso la sentenza del 14/7/2015 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/7/2015, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Brescia applicava ad Abdeslam Aouidat, Adil Adouidat, Hamid,
Aouidat, Zouhair Aouidat, Mohamed Krib, Zouhir Naji, El Mostafa Moutia e
Mohammed Ed Dahby – ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – le pene di cui al

Data Udienza: 08/03/2016

dispositivo in ordine ai reati agli stessi rispettivamente ascritti, tutti riferibili alla
violazione dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
2. Propongono ricorso per cassazione taluni di questi imputati, deducendo i
seguenti motivi:
Adil Aouidat e Zouhair Aouidat
Inosservanza di norma processuale, con riferimento all’art. 129 cod.
proc. pen.. Il Tribunale, nel pronunciare la sentenza, non avrebbe
accertato la sussistenza di cause di non punibilità ai sensi della norma

reato, invero rinvenibili dagli atti. ne deriverebbe la nullità della
pronuncia;
Krib e Zouhir
Erronea applicazione della legge penale. Il Giudice avrebbe
erroneamente ritenuto non applicabile la fattispecie di minor gravità di
cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, della quale invece
emergerebbero tutti i presupposti con riguardo ad entrambi i ricorrenti;

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Tutti i gravami risultano manifestamente infondati.
Con riguardo a quelli proposti dai due Aouidat, si osserva che gli stessi si
limitano a lamentare che il Giudice non avrebbe speso alcun argomento circa
l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., senza con
ciò però muovere alcun concreto riferimento critico al provvedimento impugnato.
Al riguardo, peraltro, deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al Giudice dagli artt. 111 Cost. e
125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento,
rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del Giudice a una funzione
di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee
argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto
negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle
parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la

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citata, in particolare perché il fatto non sussiste o perché non costituisce

pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. 2, n.
41785 del 6/10/2015, Ayari, Rv. 264595; Sez. 4, n. 41408 del 17/9/2013,
Mazza, Rv. 256401; Sez. 4, n. 33214 del 2/7/2013, Oshodin Osi, Rv. 256071).
Orbene, tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, nel quale
la motivazione della sentenza appare sufficiente poiché richiama gli atti di
indagine, evidenziando l’inesistenza di elementi valutabili a favore dell’imputato
ex art. 129 cod. proc. pen.; elementi, peraltro, neppure indicati nei ricorsi in
esame.

ordine all’art. 73, comma 5, d.PR.. n. 309 del 1990.
Come affermato da questa Corte in molte occasioni, in tema di
patteggiamento la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea
qualificazione del fatto contenuto in sentenza deve essere limitata ai casi di
errore manifesto, cioè allorquando la qualificazione stessa risulti, con indiscussa
immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di
imputazione; in sintesi, il ricorso è ammissibile solo se sussiste l’eventualità che
l’accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati, non anche tutte le volte
in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (per tutte, Sez. 3,
n. 34902 del 24/6/2014, Brughitta, Rv. 264153).
Esattamente come nel caso di specie, come peraltro evidenziato dalla palese
genericità dei motivi sollevati al riguardo dai ricorrenti.
I gravami, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle
spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore
della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 ciascuno in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 marzo 2016

sigliere estensore

4. Manifestamente infondati, di seguito, i ricorsi proposti da Krib e Zouhir in

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