Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17080 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17080 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
PIPITONE ANGELO ANTONINO, nato a Carini il 30/08/1943;
avverso l’ordinanza del 02/10/2015 del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Manuele Ciappi, che ha concluso insistendo
nei motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1.Angelo Antonino Pipitone è sottoposto alla misura della custodia cautelare in
carcere in relazione ai reati di estorsione, incendio, detenzione e porto abusivo di

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Data Udienza: 05/04/2016

armi da fuoco, tutti aggravati dall’art. 7 I. n. 203 del 1991 sotto il profilo
dell’utilizzo del metodo mafioso.
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Palermo rigettava l’appello avverso
l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale che aveva respinto l’istanza di
sostituzione della misura cautelare in carcere inflitta al ricorrente con quella degli
arresti domiciliari con l’uso del braccialetto elettronico.
Rilevava il Tribunale la sussistenza di tutte le esigenze cautelari di cui all’art. 274
cod. proc. pen. – peraltro presunte per legge – ed, in particolare, del pericolo di

e dunque in epoca neanche troppo lontana nel tempo, quale mandante dei suoi
familiari, mentre si trovava ristretto in regime di detenzione in carcere per
effetto di altro titolo cautelare.
Tale circostanza induceva a ritenere sussistente l’eccezionalità delle medesime
esigenze cautelari – già oggetto di precedente valutazione in sede di riesame necessaria a consentire l’applicazione ed il mantenimento della misura nei
confronti di soggetto ultrasettantenne come il Pipitone.
2. Ricorre per cassazione quest’ultimo, deducendo vizio di motivazione e
violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dei requisiti
dell’attualità delle esigenze cautelari – anche tenuto conto della modifica
normativa dell’art. 274, comma 1, cod. proc. pen. per effetto della legge 16
aprile 2015 n. 47 – e della loro eccezionale rilevanza, aspetto, quest’ultimo, in
ordine al quale il Tribunale avrebbe del tutto omesso di motivare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.In primo luogo, deve rilevarsi la correttezza del riferimento operato dal
Tribunale alla presunzione di sussistenza di tutte le esigenze cautelari previste
dalla legge, in ragione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen, applicato al caso
concreto, nel quale sono contestati all’imputato reati aggravati dall’uso del
metodo mafioso di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991 e, dunque, ricompresi nell’art.
51, comma 3 bis, cod. proc. pen. richiamato dal medesimo art. 275 citato.
La sussistenza del pericolo di recidiva, sul quale si è particolarmente concentrata
l’ordinanza impugnata, rende comunque sterile ogni rilievo in ordine alle altre
esigenze cautelari.
Ciò posto, occorre rammentare che secondo la sempre efficace decisione delle
Sezioni Unite di questa Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo
della decisione, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla
Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
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recidiva, tenuto conto che il ricorrente aveva commesso i fatti, avvenuti nel 2013

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riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale
da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv

L’ordinanza impugnata risulta esente da vizi motivazionali denunciabili in questa
sede.
Invero, il ricorrente considera apoditticamente “oramai abusato” il decisivo
rilievo che la condotta ascritta nei capi di imputazione provvisoria, come bene
rilevava il Tribunale in linea con le precedenti statuizioni rese in sede di riesame
e da parte del G.I.P., era stata commessa dal Pipitone quando costui si trovava
detenuto in carcere.
Egli era riuscito a superare le massime barriere previste dall’ordinamento per
fungere da mandante dei gravi delitti contestatigli, “armando” i suoi familiari
verso la loro commissione (si era trattato di una spedizione punitiva nei confronti
della vittima, consistita nell’incendio di un fabbricato adibito a stalla e
nell’uccisione degli animali che ivi dimoravano, due cavalli ed un maiale).
Se a questo rilievo, invero assorbente, si aggiunge quello di ordine temporale,
del pari sottolineato dal Tribunale, secondo cui la vicenda si era svolta in un
tempo non troppo lontano – nel 2013, quando l’imputato era già settantenne – è
evidente che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta immune da
qualunque censura logico-giuridica e congruamente motivata con riguardo alla
sussistenza, di immediata percezione, dell’attualità delle eccezionali esigenze
cautelari relative al pericolo di reiterazione del reato, allorquando, a fg. 5,
rilevava il “livello massimo” di pericolosità del Pipitone, certamente non
salvaguardabile da misure meno gravi come quella invocata; peraltro, qui si
aggiunge, idonea a porre il ricorrente, paradossalmente, a contatto con i propri
familiari, che dei delitti contestatigli erano stati esecutori materiali su suo
mandato, a dimostrazione di come questa eventualità possa costituire “occasione
prossima per la commissione di altri delitti della stessa specie di quelli per cui si
procede”, secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, che
anche il Tribunale ha mostrato di conoscere nell’interpretare la normativa di
riferimento e le modifiche introdotte nella materia cautelare con la legge n.47 del
2015, a proposito dell’inserimento del requisito dell’attualità accanto a quello

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214794).

della concretezza nella valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari (Sez.
3, n. 43113 del 15/09/2015, K; Sez. 2, n. 50343 del 03/12/2015, Capparelli).
Tali rilievi rendono sterile, oltre che di puro merito, ogni altra argomentazione
difensiva.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento/00
alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp.att.c.p.p..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 05.04.2016.

ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

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