Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17063 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17063 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
ARDIS NATALE, nato a Rossano il 13/06/1950;
MAZZARELLA ANNUNZIATA, nata a Napoli il 28/08/1977;
CRISCUOLO ALFONSO, nato a Pomigliano D’Arco, il 05/04/1970;
avverso la sentenza del 15/01/2015 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei
ricorsi;
udito il difensore, avv. Antonio Morra, per Natale Ardis, che ha concluso
riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento;

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Data Udienza: 05/04/2016

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli, in esito a giudizio
abbreviato ed in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del medesimo
capoluogo, condannava:
– Natale Ardis, per i reati di usura e di tentata estorsione di cui ai capi 1), 3) e
6);
– Alfonso Criscuolo, per i reati di usura e tentata estorsione di cui ai capi 2), 3) e

– Annunziata Mazzarella, per il reato di tentata estorsione di cui al capo 3).
2. La Corte riteneva provato, attraverso le dichiarazioni della persona offesa ed
anche tramite intercettazioni, che l’Ardis avesse elargito a Prezioso Emiliano imprenditore esercente un’attività commerciale in Napoli, che versava in stato di
bisogno – la somma di 100.000 euro nel dicembre del 2006, pattuendo interessi
usurari per la sua restituzione, successivamente reiterando il prestito, a
condizioni ancora più gravose, di una ulteriore somma del medesimo importo nel
gennaio del 2012, allorquando era intervenuto nel negozio illecito anche
l’imputato Criscuolo, entrambi ponendo in essere minacce estorsive contro la
vittima, in un caso con l’ausilio della Annunziata Mazzarella, moglie del Criscuolo,
al fine di ottenere il pagamento delle somme e degli interessi, in ciò utilizzando il
metodo mafioso ed al fine di agevolare il clan camorristico denominato “clan
Mazzarella”, del quale erano a capo alcuni congiunti della omonima imputata,
operante nel territorio della città di Napoli dove era ubicato l’esercizio
commerciale della persona offesa.
3. Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo dei loro difensori:
– Natale Ardis deduce, con unico ed articolato motivo, violazione di legge e vizio
di motivazione per avere la Corte disatteso la richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale consistente nella escussione di due testimoni che
avrebbero sfrondato ogni dubbio, in favore del ricorrente, sulla insussistenza dei
reati contestatigli, mancando l’apporto dei quali sarebbe rimasta carente la prova
della sua responsabilità, fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, le
quali non avrebbero focalizzato alcuna condotta estorsiva posta in essere
dall’Ardis per recuperare il denaro oggetto del prestito.
Il ricorrente deduce, inoltre, vizio di motivazione in ordine al trattamento
sanzionatorio, sotto il profilo della mancata specificazione delle condotte poste a
base del calcolo relativo al capo 1), degli aumenti per continuazione, della
determinazione della pena base, della negata concessione delle circostanze
attenuanti generiche ed, infine, delle ragioni poste a base della ritenuta recidiva,
con richiesta di sospensione del procedimento fino alla pronuncia della Corte
2

4);

Costituzionale sull’obbligatorietà di tale circostanza aggravante nel caso in
esame.
-Alfonso Criscuolo deduce, con un primo motivo, violazione di legge per avere la
Corte mantenuto ferma la statuizione del giudice di primo grado inerente la
revoca del beneficio dell’indulto nonostante i reati per i quali l’imputato è stato
ritenuto colpevole fossero stati commessi oltre il quinquennio dell’entrata in
vigore della L. n. 241 del 2006 che ha concesso detto beneficio.

ordine alla prova del suo concorso morale, quale mandante, della tentata
estorsione di cui al capo 3).
-Annunziata Mazzarella, con il primo motivo di ricorso, deduce violazione di legge
e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa e
dei testimoni individuati a riscontro delle sue dichiarazioni.
Secondo la ricorrente, la vittima dei reati, Prezioso Emiliano, non avrebbe dovuto
essere escusso come persona informata dei fatti ma come imputato di reato
connesso, secondo quelle che erano state le dichiarazioni rese dal collaboratore
di giustizia Esposito Salvatore, che aveva rappresentato come costui fosse un
riciclatore del clan Mazzarella.
La ricorrente, inoltre, critica il metodo motivazionale per relationem della
sentenza impugnata.
Con il secondo motivo di ricorso, la Mazzarella deduce violazione di legge e vizio
di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7
I. n. 203 del 1991, non ravvisabile nella condotta dell’imputata relativa alla
tentata estorsione di cui al capo 3).
Infine, con ulteriore motivo, la ricorrente si duole della mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono manifestamente infondati, salvo che per la questione relativa
all’indulto sollevata dal solo ricorrente Criscuolo.
1.E’ preliminare, attesa la sua natura processuale e l’astratta refluenza sulla
posizione di tutti e tre i ricorrenti, affrontare la questione della qualifica
soggettiva della persona offesa Prezioso Emiliano dedotta dall’imputata
I

Mazzarella.
Sul punto, la Corte di Appello, cui la medesima questione era stata sottoposta, ai
fgg. 18 e 19 della sentenza impugnata offriva una motivazione ad avviso del
Collegio assolutamente convincente circa l’esclusione della eventualità che il
Prezioso dovesse essere sentito come imputato di reato connesso anziché come
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Con un secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in

persona informata sui fatti (deve rammentarsi che il processo si è svolto con il
rito abbreviato).
Precisando che l’unico elemento a sostegno della tesi difensiva, era costituito
dalle dichiarazioni del collaborante Esposito Salvatore, secondo il quale il
Prezioso sarebbe stato in affari con il clan camorristico dei Mazzarella ed, in
particolare, con Mazzarella Francesco, per la detenzione e la vendita di fuochi di
artificio illegali, riciclando in questo modo denari del sodalizio.

men che mai aveva fatto sì che nei confronti del Prezioso fossero state avviate
indagini, ma i fatti indicati dal collaborante erano riferibili ad epoca pregressa
(2004-2005), rispetto all’inizio del prestito a tasso usurario elargitogli dall’Ardis
(dicembre 2006).
Per di più, lo stesso Ardis, come aveva rilevato anche il giudice di primo grado,
nel suo interrogatorio di garanzia aveva escluso che la causale del rapporto
usurario tra lui ed il Prezioso, non negato dall’imputato, avesse avuto una
qualche attinenza con le presunte ma mai dimostrate complicità di quest’ultimo
con alcuni esponenti del clan Mazzarella, del quale, peraltro, qui si aggiunge, gli
odierni ricorrenti non facevano parte, essendo stata esclusa dalla Corte di
Appello la sussistenza del reato di associazione mafiosa contestato al capo 7)
della rubrica.
Secondo l’Ardis, il motivo del suo prestito al Prezioso era dovuto alle difficoltà
economiche di costui, delle quali l’imputato si era fatto carico andando in giro a
cercare i soldi poi oggetto del prestito usurario alla vittima.
Se ne deve convenire, pertanto, che anche tale prospettiva, oltre ai rilievi di
ordine temporale, rende del tutto autonome, da un punto di vista processuale, le
condotte oggetto di contestazione rispetto alla supposta vicinanza della vittima al
clan Mazzarella, nei ristretti ed esclusivi termini rivenienti dalle affermazioni del
collaborante prima menzionato e mai oggetto di un qualunque riscontro.
Per il che, correttamente entrambi i giudici di merito escludevano che la persona
offesa dovesse essere sentita con le garanzie previste dalla legge per gli imputati
di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, con tutte le
conseguenze del caso.
Il che consente anche di superare le eccezioni difensive della Mazzarella,
collegate alla questione appena esaminata, in ordine alla impossibilità di
pervenire alla condanna dell’imputata (e degli altri ricorrenti) senza riscontri
esterni alle dichiarazioni del Prezioso; dal momento che, una volta stabilito che
quest’ultimo dovesse essere sentito come persona informata sui fatti, le sue
dichiarazioni, superato il vaglio di attendibilità intrinseca – che la Corte ed il
G.U.P. effettuavano con dovizia di argomentazioni, neanche minimamente
4

Tale dichiarazione, tuttavia, non solo era rimasta priva di qualunque riscontro e

scalfite dalle deduzioni di tutti i ricorrenti – potevano fondare il giudizio di
colpevolezza anche a prescindere da elementi di conforto estrinseci; che,
peraltro, i giudici di merito individuavano nel contenuto delle intercettazioni, il
quale dimostrava che il Prezioso era stato effettivamente vittima di usura (come
ammesso sia pure parzialmente anche dall’imputato Ardis) e sottoposto a
pressioni per il pagamento delle somme richiestegli, indipendentemente dal fatto
che tali elementi non erano individualizzanti per la posizione della Mazzarella,
affidata al solo racconto della vittima, tuttavia bastevole a supportarne la

Che poi, per rimanere al primo motivo di ricorso della Mazzarella, la Corte avesse
fatto un richiamo interno al corpo motivazionale della sentenza con riguardo al
giudizio di attendibilità della parte offesa, espresso trattando della posizione
degli altri imputati, ciò, oltre a non costituire alcuna violazione di legge, trova
logica spiegazione nel fatto che la questione della attendibilità del Prezioso era
comune ai tre odierni ricorrenti, in quanto accusati del medesimo reato di cui al
capo 3) della rubrica.
2. Superata la questione processuale e quelle ad essa correlate, risulta del tutto
destituito di fondamento il primo motivo di ricorso di Natale Ardis, con il quale
egli si duole della mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per
l’escussione dei testi Bottino e Campolongo, dalla quale fa discendere la
mancanza di elementi per supportare il giudizio di colpevolezza a suo carico.
Va precisato, in primo luogo, che, come bene sottolineava la Corte di Appello,
l’imputato, con i motivi di gravame avverso la statuizione di primo grado, non
aveva contestato la sua responsabilità per il reato di usura di cui al capo 1), nel
quale la Corte riteneva assorbita la condotta descritta nell’originario capo 2) della
rubrica, ove si contestava il medesimo delitto.
Ne consegue che, per quanto è dato comprendere, i testimoni richiesti dalla
difesa avrebbero dovuto fornire ragguagli in ordine ai reati di tentata estorsione
di cui ai capi 3) e 6) in ordine ai quali è stata affermata la responsabilità del
ricorrente.
Tuttavia, come precisava la Corte a fg. 7 della sentenza impugnata, con
motivazione immune da qualsiasi censura logica, il Bottino – quanto al
Carnpolongo nulla viene esplicitato dalla difesa in ordine al suo ipotizzato rilievo
processuale – non aveva partecipato a nessuno degli eventi descritti in queste
imputazioni, dei quali nulla avrebbe potuto riferire, essendosi limitato ad
intercedere con il Criscuolo per evitare l’escalation di minacce contro la persona
offesa legate alla vicenda usuraria.
Dovendosi sottolineare, per di più, che la richiesta di audizione dei testi era
intervenuta solo in sede di discussione nel giudizio di primo grado, il quale, per
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condanna in ragione di quanto detto.

libera scelta dell’imputato, era stato celebrato allo stato degli atti e senza che
l’Ardis avesse posto la deposizione del Bottino e del Campolongo quale
condizione per l’accesso al rito.
Per il che, la doglianza difensiva risulta manifestamente infondata.
Del pari, si rivela del tutto generica l’asserzione difensiva secondo cui nelle
dichiarazioni del Prezioso non sarebbero rinvenibili le minacce estorsive poste in
essere dall’Ardis per recuperare il denaro concessogli in prestito.

motivazione sulla condotta commessa dall’imputato, il quale, in compagnia della
Mazzarella, aveva richiesto al Prezioso, secondo il suo racconto, il denaro oggetto
di prestito richiamando la necessità che esso serviva per “i carcerati” (capo 3),
così utilizzando anche il metodo mafioso costitutivo della contestata aggravante
di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991, richiamando il substrato criminale camorristico
sotteso ad una affermazione del genere. Inoltre, espressamente minacciando la
vittima dicendole che se non pagava doveva andare via dalla zona di esercizio
della sua attività commerciale (capo 6), di nuovo evocando un potere criminale
alle sue spalle capace di controllare il territorio.
Tali precisazioni consentono di ritenere palesemente infondato il motivo di
ricorso della Mazzarella volto a contestare la sussistenza dell’aggravante dell’art.
7 prima citato, con riguardo al medesimo capo 3) ascritto alla ricorrente.
La quale ricorrente oblitera, nel citare una sentenza di legittimità non calzante
rispetto al caso di specie, tutta la pacifica giurisprudenza della Suprema Corte,
condivisa dal Collegio, a proposito dell’uso di espressioni come quelle utilizzate
(aiuto ai carcerati e simili) nelle precipue vicende estorsive ed al fine di
individuarne il metodo mafioso.
Infatti, in tema di estorsione, integra la circostanza aggravante dell’uso del
metodo mafioso la condotta di colui che prospetti l’utilizzo delle somme estorte
per aiutare le famiglie degli “amici carcerati”, non rilevando in proposito che
l’esistenza dell’organizzazione criminale non sia stata menzionata nel contesto
delle richieste estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volontà facente
ricorso al vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può
esprimersi in forma indiretta o anche per implicito (Sez. 2, n. 7558 del
06/02/2014, Miranda; Sez. 6, n. 31385 del 04/07/2011, Carrubba; Sez. 5, n.
3101 del 06/10/2010, Citro).
3. Altro motivo inerente il giudizio di responsabilità viene dedotto dal ricorrente
Criscuolo a proposito della prova, che si assume mancante, del ruolo di
mandante assunto nella vicenda estorsiva di cui al capo 3), commessa dall’Ardis
e dalla Mazzarella come esecutori materiali.

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La Corte di Appello, sul punto, ai fgg. 8 e 9 della sentenza, ha fornito ampia

Anche questo motivo è del tutto infondato, poiché la responsabilità del Criscuolo
come mandante delle minacce estorsive, si evince, secondo quanto sottolineato
dalla Corte di Appello con convincente e completa motivazione esplicitata ai fgg.
20-22 della sentenza impugnata, dal fatto che, nonostante le apparenti
rassicurazioni fornite in un primo momento alla vittima circa la proroga del
termine per onorare i pagamenti – unico elemento a sostegno della tesi difensiva
– appena quattro giorni dopo la di lui moglie Annunziata Mazzarella e l’Ardis
avevano materialmente commesso le condotte minacciose sub capo 3) per

La concomitanza temporale ed i rapporti tra i ricorrenti erano elementi logici di
tutto rispetto per ritenere che il Criscuolo avesse “cambiato idea” sulla condotta
da tenere nei confronti del Prezioso.
Ma, quel che più conta, è il fatto che il ricorrente non si confronta con l’altra
ineccepibile considerazione della Corte di Appello, secondo cui il Criscuolo, a
distanza di qualche mese dal compimento delle prime minacce estorsive ad
opera del proprio coniuge e dell’Ardis, si era in prima persona fatto autore di
ulteriori condotte illecite di pari segno contro la vittima, racchiuse nel capo 4)
della rubrica, che il ricorrente stesso non contesta; così dimostrando quanto
fossero cambiate le sue apparenti intenzioni di concedere al Prezioso una
dilazione nei pagamenti delle somme elargitegli a tassi usurari e quanto egli
fosse partecipe delle prime minacce delle quali non era stato esecutore
materiale.
4. I residui motivi di ricorso di Ardis e Mazzarella ineriscono al trattamento
sanzionatorio.
Ma anche sotto questo profilo la motivazione della sentenza della Corte di
Appello si rivela immune da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede e non
lesiva di alcuna norma di legge.
Infatti, a confutazione specifica delle doglianze prospettate dall’Ardis, si osserva
che a fg. 13 della sentenza impugnata, la Corte di Appello espressamente
sottolineava che il reati di usura di cui capo 1) della rubrica, in esso assorbito
quello di cui al capo 2) doveva ritenersi più grave; con il che individuando le
condotte in esso comprese come rilevanti ai fini della determinazione della pena
base, aumentata per continuazione interna in ragione del fatto di essere
molteplici.
A tal proposito, la Corte di cassazione ritiene, con argomenti condivisi dal
Collegio, che in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non
sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti relativi ai reati satellite,
valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena base.
(Sez.5 n.25751 de105/02/2015, Bornice; Sez.2, n.49007 del 16/09/2014, lussi).
7

ottenere il danaro.

Tali arresti si ritengono applicabili per analogia agli aumenti previsti per la
continuazione interna al medesimo reato.
Le questioni e le richieste in ordine alla recidiva, non possono trovare ingresso in
questa sede, ove si consideri che il ricorrente Ardis non aveva contestato la
sussistenza di tale circostanza aggravante e del correlato aumento di pena con i
motivi di appello, come anche la Corte precisava a fg. 15 della sentenza
impugnata; così impedendo in questa sede di estrapolare la ragione per la quale
l’aumento per la recidiva è stato calcolato.

generiche, la Corte di Appello, con riguardo all’Ardis, espressamente reputava
come ostativa la molteplicità dei precedenti penali del ricorrente, quale segno
della sua negativa personalità, rifacendosi alla gravità del reato, all’assenza di
segnali positivi ed alla ininfluenza del solo stato di incensuratezza per quanto
attiene alla Mazzarella, tenuto conto che i fatti contestatile sono successivi
all’introduzione dell’ultimo comma dell’art. 62 bis cod. pen.
Con espresso riferimento, quindi, ad alcuni tra i parametri di cui all’art. 133 cod.
pen.; dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle
circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in
esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche
un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato
ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o
concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 4790 del 16.1.1996
dep. 10.5.1996 rv 204768).
Pertanto, anche questi motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
5. Merita accoglimento, invece, il primo motivo di ricorso del Criscuolo, poiché la
revoca dell’indulto disposta dal G.U.P. e non modificata dalla Corte di Appello,
non trova più ragione con riguardo ai reati in ordine ai quali è intervenuta
condanna, tutti commessi oltre il quinquennio dall’entrata in vigore della legge n.
241 del 31 luglio del 2006.
Per il che, non trova applicazione l’art. 3 della predetta normativa.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con
l’eliminazione della citata statuizione, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett.1) cod.
proc. pen..
Nel resto, il ricorso del Criscuolo deve essere rigettato.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Ardis e Mazzarella consegue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della
somma di euro millecinquecento/00 alla Cassa delle Ammende, commisurata

8

Quanto, infine, al diniego della concessione delle circostanze attenuanti

all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa
di inammissibilità.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla revoca della
concessione dell’indulto disposta nei confronti di Criscuolo Alfonso, revoca
dell’indulto che elimina.

Dichiara inammissibili i ricorsi di Ardis Natale e Mazzarella Annunziata, che
condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro
1.500,00 alla Cassa delle Ammende.
Cosi deciso in Roma, udienza pubblica del 05.04.2016.
Il consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

Il Presidente
Mario Gentile

o

Rigetta nel resto il ricorso del Criscuolo.

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