Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1706 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1706 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

BARBARO Salvatore, nato a Locri il 05/08/1974
DE LUNA Maurizio, nato a Milano il 13/02/1964

e dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano, nei confronti di
PAPALIA Serafina, nata a Platì, il 21/05/1979;

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 16/03/2012;

visti i ricorsi, gli atti e la sentenza impugnata;
letta la memoria depositata il 06/11/2013;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Gabriele Mazzotta, che ha chiesto il rigetto del ricorso del PG; il rigetto del ricorso
del Barbaro e l’annullamento con rinvio in punto aggravante art. 7 d. n. 152/91 ed
il rigetto, nel resto, del ricorso di De Luna;
sentito, altresì, l’avv. Ambra Giovene, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso del
PG nei confronti di Papalia e si è riportata ai motivi di ricorso per Barbaro;

Data Udienza: 12/11/2013

sentito, infine, l’avv. Luca Ricci, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di
ricorso, condividendo, per il resto, le conclusioni del PG in ordine all’aggravante
dell’art. 7.

RITENUTO IN FATTO

1. Salvatore Barbaro, Maurizio De Luna e Serafina Papalia, assieme ad altri

seguito indicati:
il Barbaro, nella qualità di amministratore di fatto della società

Edil Company

Costruzioni e Scavi Sri, in concorso con Serafina Papalia (in qualità di socia al 50%,
amministratore unico, dal 21/6/2001 al 15/2/2007, e consigliere, dal 2/8/2007 alla
data odierna, della stessa società), del reato sub a), ai sensi degli artt. 110, 81 cod.
pen., 8 divo n. 74/2000, 7 d.l. n. 1521991, perché, nella qualità di cui sopra, in
concorso con De Luna Maurizio (giudicato separatamente), al fine di consentire ad
Edil Company Costruzioni e Scavi Srl, Barbaro Salvatore e Lavori Stradali Sri di
evadere le imposte sui redditi e l’Iva, emettevano le fatture per operazioni
soggettivamente ed oggettivamente inesistenti, specificamente indicate, per un
ammontare complessivo di € 973.509,72; fatture ritenute emesse per operazioni
inesistenti in quanto i lavori indicati nelle stesse erano stati posti in essere da Edil
company Srl, seppur fatturati dall’impresa De Luna (in parte) ovvero fatturati da De
Luna, ma non eseguiti (in parte); con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine
di agevolare l’attività del sodalizio criminoso Barbaro-Papalia, che, in tal modo,
poteva avere la disponibilità di ingenti somme di denaro, con le quali attuare gli
scopi dell’associazione;
b) ai sensi degli artt. 110, 81 cod.pen., 8 d.l. n. 74/2000, 7 d.I n. 152/1991 perché,
nelle qualità di cui sopra, in concorso tra loro, al fine di consentire a Lavori Stradali
Srl di evadere le imposte sui redditi e l’Iva, emettevano le fatture per operazioni
parzialmente inesistenti, specificamente indicate, per un ammontare complessivo di
€ 71.119,42;
Salvatore Barbaro, da solo, del reato sub d), ai sensi dell’art. 4 d.lvo n. 74/2000
perché, nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2007, presentata in data
25.9.08, ometteva di dichiarare proventi illeciti, in quanto derivanti dall’attività
distrattiva di cui ai capi che precedono, pari a € 270.000, evadendo in tal modo le
imposte sui redditi per un ammontare pari a € 114.516,10;
Barbaro, De Luna, in concorso con altri, tra cui Serafina Papalia:
g) ai sensi degli artt. 110 cod.pen., 216, comma 1 n. 1, 219, commi 1 e 2, 223,
comma 1, legge fall., 7 d.l. n. 152/1991 perché, in concorso tra loro, nelle qualità di
cui sopra, distraevano dalle casse sociali di Lavori Stradali Sri, dichiarata fallita dal
Tribunale di Milano con sentenza depositata in data 3.4.09, una somma non
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imputati, erano chiamati a rispondere, innanzi al Tribunale di Milano, dei reati di

inferiore a C 779.277,00 pagando a De Luna, Barbaro Salvatore, Edil Company Srl,
Mo.bar sas le fatture per operazioni totalmente o parzialmente inesistenti meglio
indicate i capi a), b) e c) che precedono; con le aggravanti di aver cagionato un
danno di particolare gravità, di aver commesso più fatti di distrazione e di avere
agevolato l’attività del sodalizio mafioso Barbaro-Papalia;
h) ai sensi degli artt. 110 cod.pen., 216, comma 1 n. 2, 223, comma 1, legge fall.,
7 d.l. n. 152/1991, perché, in concorso tra loro, nelle qualità di cui sopra, al fine di

soggettivamente oggettivamente inesistenti meglio indicate ai capi a) b) e c) che
precedono nonché omettendo di indicare nei bilanci della Lavori Stradali Srl debiti
tributari (maturati ed esigibili dal 2001 alla 2006) per un ammontare complessivo
(al netto di sanzioni interessi) di C 1.852.873,09, falsificavano le scritture contabili
in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento
degli affari; con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/91, nei termini sopra
specificati;
i) ai sensi degli artt. 110 cod.pen., 223, comma 2 n. 2, legge fall., 7 d.l. n.
152/1991, perché in concorso tra loro, nella qualità di cui sopra, cagionavano il
fallimento di Lavori Stradali Srl, intervenuto con sentenza del Tribunale di Milano in
data 3.4.09, per effetto delle operazioni dolose meglio descritte ai capi che
precedono; con l’anzidetta aggravante di cui all’art. 7.
2.

Con sentenza del 5 maggio 2011, il Tribunale così provvedeva:

ritenuto per tutti gli imputati il capo i) assorbito nel capo g), condannava Salvatore
Barbaro alla pena di anni sette di reclusione, Maurizio De Luna, con le attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti di cui all’art. 219, commi 1 e 2
legge fall., alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione oltre consequenziali
statuizioni nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile
“Fallimento Lavori Stradali Sri” da liquidarsi in separata sede, con concessione di
provvisionale immediatamente esecutiva di C 800.000,00; Papalia Serafina era
condannata alla pena di anni uno e mesi sette di reclusione, con il beneficio della
sospensione condizionale, mentre era assolta dai reati di cui ai capi g) ed h).
Pronunciando sui gravami proposti in favore degli imputati, la Corte d’appello di
Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza
impugnata, assolveva Serafina Papalia dai reati a lei ascritti ed il De Luna dal reato
di cui al capo h) con formula perché il fatto non costituisce reato e, esclusa
l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2) n. 1 legge fall., rideterminava la pena nei
confronti dello stesso per il reato sub g) nella misura di anni quattro di reclusione,
con ulteriori statuizioni di legge.

3. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore di Salvatore Barbaro, avv. Ambra
Giovene, il difensore di Maurizio De Luna, avv. Luca Ricci, ed il PG di Milano, hanno
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procurarsi un ingiusto profitto, annotando in contabilità le fatture per operazioni

proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura
indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con unico motivo dell’impugnazione proposta nei confronti di Serafina
Papalia, il PG ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 lett. e), cod.proc.pen. per

in particolare, che il giudice a quo, dopo aver dedicato appena tre righe della
motivazione all’imputazione di cui ai capi a) e b), si fosse soffermato a lungo sulla
valutazione della condotta

dell’extraneus,

qual’era la Papalia, rispetto alle

imputazioni di bancarotta patrimoniale e documentale, benché da queste l’imputata
fosse stata assolta in primo grado, senza che vi fosse stata alcuna impugnazione al
riguardo. Risultava, pertanto, priva di qualsiasi motivazione l’affermazione di
estraneità in ordine ai capi d’imputazione oggetto di ricorso, con particolare
riferimento alla ritenuta insussistenza, in capo all’imputata, del dolo specifico
diretto all’evasione fiscale. Tale affermazione si poneva, infatti, in palese
contraddizione ed incoerenza con le risultanze probatorie indicate in sentenza, vale
a dire con il ruolo di extraneus della Papalia ed il rapporto coniugale con il
coimputato Barbaro. Era sufficiente rilevare, al riguardo, che, rispetto ai reati di
false fatturazioni, la società direttamente coinvolta era proprio quella legalmente
amministrata dell’imputata, con il pertinente, rilevante, contributo alla relativa
consumazione, mediante le condotte omissive da lei poste in essere, in concorso
con le condotte commissive del marito Salvatore Barbaro. Sul piano dell’elemento
soggettivo, poi, non poteva in alcun modo considerarsi privo di rilevanza il rapporto
di coniugio tra loro esistente, atteso che le concorrenti condotte illecite, poste in
essere dai due imputati, avevano consentito al nucleo familiare di acquisire ricavi in
nero di entità tale da doversi escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che un
componente di quella famiglia, peraltro direttamente coinvolto nell’attività
imprenditoriale, abbia potuto beneficiarne senza consapevolezza della loro illecita
provenienza.
1.1. Con il primo motivo del ricorso in favore di Maurizio De Luna si eccepisce
inosservanza di norme sostanziali e processuali, ai sensi dell’art. 606 lett.

b)

cod.proc.pen., per violazione degli artt. 42, 43, e 110 cod.pen., 125, comma 3,
cod.proc.pen., nonché degli artt. 216 e 223 legge. fall. Nei motivi di appello, il
difensore si era lamentato del fatto che il primo giudice avesse completamente
trascurato la portata delle dichiarazioni rese dall’imputato durante tutto il processo,
sin da luglio 2008, allorquando erano state emesse, nell’ambito del procedimento
c.d. madre (relativo all’associazione per delinquere di stampo mafioso e ad altri
reati), le prime ordinanze cautelari nei confronti dei coimputati per il reato di cui
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assoluta mancanza ovvero contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Si duole,

all’art. 416 bis e, per quanto riguarda l’odierno ricorrente per la sola imputazione di
cui all’art. 648 bis cod.pen.; contestazione quest’ultima assai strana, tanto da non
superare il vaglio del giudizio abbreviato, relativamente all’emissione, da parte sua.
di una serie di fatture (le stesse riportate al capo a) della rubrica) asseritamente
riferite ad operazioni inesistenti, sia oggettivamente e soggettivamente. Sin dal
primo momento, l’imputato aveva dichiarato di essersi prestato, dietro accordo con
Salvatore Barbaro, ad emettere fatture a copertura di lavori effettuati in parte dalla

Barbaro/Papalia, nel cantiere di via Guido Rossa, lavori eseguiti in subappalto per
conto della Lavori Stradali di Luraghi. La disponibilità ad emettere tali fatture era
dovuta alle difficoltà economiche in cui l’imputato all’epoca versava; in particolare,
egli avrebbe fatturato sia lavori eseguiti dalla sua ditta che lavori eseguiti dalla
società del Barbaro, incassando regolarmente il corrispettivo dei primi e, per intero,
l’Iva portata dalle fatture, che, successivamente, non avrebbe versato all’Erario,
attesa la decisione di cessare da lì a breve la ditta individuale e di continuare a
svolgere l’attività edile non più come imprenditore, bensì quale lavoratore
dipendente. Con tale condotta aveva conseguito il risultato dell’immediata
disponibilità di somme liquide, relative all’imposta non versata, con le quali far
fronte alle proprie esigenze economiche e, al tempo stesso, di consentire al Barbaro
di incassare in nero le somme relative ai lavori effettuati con la sua ditta Edil
Company, proprio perché non aveva emesso “in proprio” le relative fatture.

Si ribadisce, pertanto, l’estraneità dell’imputato, sostenendo che non v’era
stata, da parte sua, consapevolezza degli accordi intercorsi fra Barbaro e Luraghi,
rappresentando che, dal suo punto di vista, le fatture emesse dalla sua ditta
individuale si riferivano, comunque, a lavori effettivamente eseguiti (o,
direttamente, ovvero dalla ditta del Barbaro) in mancanza di prova di
consapevolezza che quelle fatture si riferissero, invece, a lavori mai eseguiti. In altri
termini, se la condotta di emissione di fatture per lavori non direttamente eseguiti
era, di per sé, tale da rivelare l’esistenza di un dolo da evasione fiscale (oggetto di
separato giudizio, definito con sentenza passata in giudicato), non v’era ragione
alcuna perché si ritenesse che la stessa fosse pure dimostrativa di consapevolezza
che fossero strumento di attività distrattiva in danno della società del Luraghi.
Peraltro, il dolo del reato di bancarotta fraudolenta, pur essendo generico,
presupponeva pur sempre la consapevolezza che la condotta illecita fosse posta in
essere in danno del ceto creditorio; il che era da escludere nel caso di specie.
Infondatamente, era stato ritenuto che la messa a disposizione del Barbaro di
moduli di fatture in bianco comportasse accettazione delle conseguenze, in termini
di dolo eventuale dell’attività distrattiva. In definitiva, la condotta del ricorrente era
intesa esclusivamente ad una finalità evasiva e giammai al fine di offrire copertura

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propria ditta individuale (nella misura del 30% rica), in parte dalla Edil Company di

formale, mediante l’emissione di false fatture, all’operazione distrattiva del
patrimonio sociale di altra società.
Con il secondo motivo si deduce inosservanza di norme sostanziali e
processuali, ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen., per violazione degli artt. 7
d.l.n 152/1991, 125, comma 3 e 546 del codice di rito. Si contesta, in proposito, la
ritenuta sussistenza della speciale aggravante, avuto riguardo ai termini della sua
formulazione, nella modalità soggettiva, ossia in riferimento ad una volontà

particolare gruppo mafioso, in chiave, dunque di dolo specifico. Non vi era alcun
elemento dal quale poter desumere che l’imputato fosse consapevole dell’esistenza
di un’associazione per delinquere di stampo mafioso. Vi era, dunque, un vuoto
motivazionale sul punto, che non avrebbe potuto essere colmato neppure dal
riferimento per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado, pur essa
del tutto manchevole sul punto.
1.2. Con il primo motivo del ricorso in favore di Salvatore Barbaro si deduce

mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione
della testimonianza di Maria Urbano nonché travisamento del relativo contenuto, ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen. Si duole, in proposito, che il giudice di
appello, a fronte delle articolate doglianze dell’appellante, si sia limitato ad una
motivazione assai stringata e, per certi aspetti, superficiale ed eccentrica rispetto al
quadro probatorio consolidatosi nei giudizi di merito. Ingiustamente, aveva
attribuito ruolo decisivo all’anzidetta testimonianza in ordine ai reati di cui ai capi g)
ed h), nonostante l’evidenziata criticità dell’apporto probatorio, sia con riferimento
all’inattendibilità intrinseca che all’evidenziato contrasto con i dati processuali.
Sotto il primo aspetto, era stata inutilmente segnalata la posizione di palese
conflitto di interessi in cui versava la teste, ex dipendente degli amministratori di
fatto e di diritto (Luraghi e Perseconi) di Lavori Stradali Sri. Ed infatti, quest’ultima
società, poi fallita, nel 2007 aveva venduto tutti i suoi beni (per un valore di C
388.400,00) e trasferito i suoi dipendenti alla LS Strade, società costituita nel luglio
di quello stesso anno. La teste Urbano figurava tra i soci di quest’ultima società
assieme ad Angela Maria Luraghi, mentre amministratore della stessa era Barbara
Luraghi (rispettivamente sorella e figlia del fallito). Il dato era di particolare rilievo
in quanto la curatela fallimentare aveva accertato che la Lavori Stradali Sri si
trovava in stato di insolvenza sin dal 2004 e che la Ls Strade aveva accumulato, nei
confronti della fallita, un debito di C 1.002.800,00, che era stato ripagato solo
parzialmente tramite bonifici e, in gran parte, mediante lavori che LS Strade
risultava aver eseguito per conto di Lavori Stradali, di cui, però, non risultavano
tracce documentali, al di là di bonifici in favore del soci, privi di causa apparente. La
LS Strade era, dunque, portatrice di un concreto interesse economico e tale

circostanza, capace di inquinare l’attendibilità della teste, era stata del tutto
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specifica di favorire ovvero di facilitare, con il delitto commesso, l’attività di un

trascurata dal giudice di appello, che era incorso, dunque, in vizio di motivazione.
Inoltre, la fonte di conoscenza, da cui derivavano le informazioni rese dalla teste
Urbano, era rappresentata dallo stesso imprenditore fallito (il Luraghi, che,
evidentemente, era portatore di interesse contrario all’accertamento della verità) e
non aveva trovato conferma in alcuna emergenza processuale. Nessun contributo
chiarificatore poteva venire dalla consulenza tecnica del PM che, a sua volta, aveva
utilizzato come fonte di conoscenza le dichiarazioni della stessa Urbano e gli

essere in mancanza di contabilità o, comunque, di contabilità del tutto inattendibile,
non era possibile ritenere credibile la parziale ricostruzione contabile offerta
dall’Urbano, le cui dichiarazioni, pertanto, avrebbero dovuto essere ritenute del
tutto inattendibili.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 216, comma 1 n. 2 legge
fall., ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), in relazione al capo d’imputazione sub
h); mancanza di motivazione in ordine al nesso di causalità ed illogicità della

motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e). Al riguardo, nessuna motivazione era
stato offerta dai giudici di appello, mentre la motivazione resa dal giudice di primo
grado non aveva trovato riscontro in alcun atto istruttorio. Infatti, le intercettazioni
telefoniche, all’uopo citate dalla sentenza di primo grado, non documentavano
affatto un’ingerenza del ricorrente nella tenuta della contabilità della Lavori Stradali.
Si deduce, in proposito, che l’inserimento delle fatture emesse dall’imputato nella
contabilità della Lavori Stradali srl., integrava le ipotesi delittuose sub a) e b),
caratterizzate dal dolo specifico di evasione, in ragione del fatto che le dette fatture,
per loro stessa natura, erano oggettivamente destinate a confluire nella contabilità
della società poi fallita, non avendo altra ragion d’essere, e non potevano, quindi,
integrare autonoma condotta integrante concorso in bancarotta fraudolenta
documentale, tanto più che la contabilizzazione delle stesse era imputabile agli
amministratori della Lavori Stradali e non già al ricorrente.
Mancava, del resto, la prova del nesso di causalità tra le condotte attribuite al
ricorrente e l’evento. Il giudice di merito non si era posto l’interrogativo più
importante ovverosia in che termini la condotta anzidetta avesse potuto influire, in
termini di incidenza causale, sull’impossibilità di ricostruire il patrimonio del
movimento degli affari dei Lavori Stradali, secondo quanto previsto dall’art. 216
comma 1 n. 2 legge fall. La risposta al quesito era, comunque, negativa: non era
stata l’annotazione di fatture fittizie, nella contabilità della Lavori Stradali srl, a
determinare l’impossibilità di ricostruirne il patrimonio. La conferma era offerta
dalla stessa relazione del curatore fallimentare nella parte in cui evidenziava che la
società anzidetta non aveva mai tenuto una regolare contabilità e, comunque,
quella tenuta era da ritenere inveritiera ed inattendibile. E tanto emergeva, sia pure
indirettamente, dalla stessa consulenza tecnica del PM laddove si assumeva che,
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appunti da lei redatti. Nel contesto di una disordinata gestione societaria, posta in

indipendentemente dalle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, la
società sarebbe ugualmente fallita. La condotta descritta nel capo h) era, dunque,
da sola insufficiente a produrre l’evento del reato; insufficiente perché le uniche
operazioni che era stato possibile ricostruire erano proprio quelle documentate dalle
fatture emesse dal ricorrente, poste peraltro alla base della contestazione sub g). In
modo parimenti contraddittorio il giudice di appello aveva ritenuto, quanto al reato
di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al capo g). che la prova

consistente nelle fatture fittizie annotate in contabilità.
Con il terzo motivo si deduce mancata assunzione di prova decisiva a
discarico, in relazione all’attività effettivamente svolta dalla

Edil Company a

beneficio di Lavori Stradali srl, ai sensi dell’art. 606 lett. d). Inutilmente, la difesa
aveva chiesto, già in primo grado, un supplemento istruttorio ai sensi dell’art. 507
del codice di rito, affinché il Tribunale nominasse un perito al fine di esaminare
tutta la documentazione contabile tenuta da Lavori Stradali srl ed al fine di stabilire,
in base a dati documentali obiettivi, l’esistenza ed il valore delle attività oggetto di
fatturazione da parte di Edil Company e De Luna; nonché, attraverso l’analisi dei cd
buoni di supporto e s.a.I., per il calcolo di ciò che l’impresa del ricorrente aveva
effettivamente realizzato per la Lavori Stradali srl in termini di metri cubi ed anche
per confermare o smentire le dichiarazioni della teste Urbano (e Luraghi). Anche la
Corte d’appello aveva negato l’integrazione probatoria affermando che la
documentazione indicata (buoni di supporto) non era stata mai rinvenuta, ove
invece dalla testimonianza dell’Urbano era emerso che i buoni esistevano e
sarebbero stati addirittura consegnati al consulente del PM prof. Perini. Sicché delle
due l’una: o la documentazione esisteva realmente e, quindi, il rigetto dell’istanza
probatoria da parte del Tribunale o della Corte era del tutto immotivato; oppure la
teste aveva riferito cose inesatte; il che non deponeva, di certo, per la sua
attendibilità. Nessuna verifica era stata, comunque, compiuta per stabilire se i detti
documenti esistessero realmente nonostante le contraddizioni emerse dal
dibattimento. Paradossalmente, la lacunosa tenuta della contabilità da parte di
Lavori Stradali srl e l’impossibilità di stabilire con certezza l’esistenza e la
consistenza delle prestazioni fornite da Edil Company alla prima società, anziché
essere valutate in favore del ricorrente come mancanza di prova certa circa
l’inesistenza delle operazioni sottostanti, costituivano il fondamento della sua
responsabilità, con rigetto, ingiustificato, dell’acquisizione di una prova decisiva a
discarico. Restavano, dunque, a fondamento della condanna solo gli appunti
manoscritti della Urbano ovvero quelli redatti sotto dettatura di Luraghi, ai quali
non era possibile attribuire nessuna valenza probatoria, tanto più in mancanza di
regolare contabilità.

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della condotta distrattiva fosse desumibile dalla documentazione contabile

Con il quarto motivo si eccepisce mancanza di motivazione in ordine alla
determinazione della pena inflitta ed alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen. Non era convincente, al
riguardo, l’assunto argomentativo del primo giudice che aveva fatto riferimento ad
un “dolo particolarmente intenso”, nonostante fosse risultato difficile persino la
stessa ricostruzione dei fatti. La pretesa assenza di “qualsivoglia forma di
resipiscenza” sanzionata dal Tribunale era smentita dalla condotta processuale del

addebitandosi fatture soggettivamente inesistenti nel rapporto con De Luca.
Elemento, questo, che il giudice di merito aveva utilizzato probatoriamente, senza
tuttavia tenerne conto in sede di trattamento sanzionatorio. Le censure
dell’appellante, al riguardo, erano state ignorate dal giudice a quo che aveva reso,
sul punto, una motivazione solo apparente, mediante formule di stile, senza alcuna
spiegazione degli elementi da cui desumere la riferita “gravità dei fatti, intensità
dell’dolo e spregiudicatezza complessiva della condotta del prevenuto, oltre che la
sua pericolosità”. Del tutto trascurati erano anche gli altri elementi di cui all’art. 133
cod.pen. e, in particolare, quelli favorevoli all’imputato, come la sua condotta
processuale, apprezzata a fini probatori dal Tribunale ed inspiegabilmente ignorata
dalla Corte territoriale, che, peraltro, non aveva per nulla motivato il diniego delle
attenuanti generiche.

2. Una sintetica puntualizzazione dei profili essenziali della fattispecie
sostanziale e processuale costituisce necessaria premessa all’esame delle ragioni di
censura, anche ai fini di una più compiuta comprensione.
2.1. Ed allora, in prospettiva di estrema semplificazione, può dirsi che, per
quanto riguarda, n primis, le persone coinvolte:
– Salvatore Barbaro, ritenuto esponente di omonima consorteria di stampo mafioso,
é chiamato a rispondere di determinati reati, di natura fallimentare e tributaria,
nella sua qualità di amministratore di fatto della società Edil Company Costruzioni e
Scavi Sri;
– la moglie, Serafina Papalia, era socia al 50% di quest’ultima società e, in
determinati periodi di tempo, anche amministratore unico (dal 21/6/2001 al
15/2/2007) e consigliere dal 2/8/2007 in poi.
Il fallimento riguardava altra società, la Lavori Stradali srl (attiva nel settore
movimento terra), facente capo, in veste di amministratore di fatto, a Maurizio
Luraghi, a quanto pare anch’egli ritenuto

intraneo,

nell’ambito di altro

procedimento, ad associazione per delinquere di stampo mafioso.
Il Barbaro aveva eseguito lavori in subappalto per conto della Lavori Stradali,
su pressioni – secondo la prospettazione accusatoria – del padre Domenico,
considerato esponente di vertice dell’omonimo sodalizio mafioso, con imposizione
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ricorrente, il quale, in dibattimento, aveva offerto la propria versione dei fatti,

alla detta società di fatturazione maggiorata, comprensiva, cioè, di sovrapprezzo,
che costituiva il corrispettivo della protezione mafiosa.
Nella trama dei rapporti Barbaro-Luraghi si inseriva, ad un certo punto,
Maurizio De Luna, titolare di ditta individuale che, operando essa stessa nel settore
edile, gravitava nell’orbita Barbaro. Secondo la prospettazione accusatoria,
Salvatore Barbaro che, non intendeva figurare formalmente nella dinamica di quei
rapporti, pretese che il De Luna fatturasse parte dei lavori eseguiti dalla sua ditta

effettuati in subappalto. Gli esborsi di danaro dalla Lavori Stradali avvenivano,
dunque, a fronte di emissioni di fatture, da parte del De Luna, per operazioni
inesistenti ed in misura enormemente spropositata, rispetto al valore dei lavori
realmente eseguiti. Il livello di compiacenza del De Luna nei confronti del Barbaro si
era spinto al punto di consegnare a quest’ultimo moduli di fatture in bianco, che lo
stesso Barbaro riempiva a suo piacimento.
Il coacervo di siffatti rapporti era stato ricostruito dagli inquirenti sulla base di
informazioni testimoniali, intercettazioni ed accertamenti tecnici del consulente del
PM, prof. Pierini. In sede dibattimentale, era stata poi escussa la teste Urbano,
contabile di Lavori Stradali, le cui dichiarazioni avevano consentito di stabilire,
fattura dopo fattura (normalmente supportata da buoni riepilogativi), se a ciascuna
corrispondessero o meno lavori realmente eseguiti.
2.2. Le imputazioni possono come di seguito schematizzarsi:
Ai tre imputati, Barbaro, Papalia e De Luna sono stati contestati i reati di cui ai
capi:
a) ai sensi degli artt. 110, 81 cod. pen., 8 divo n. 74/2000, 7 d.l. n. 1521991
b) ai sensi degli artt. 110, 81 cod.pen., 8 d.l. n. 74/2000, 7 d.I n. 152/1991,
entrambi relativi all’emissione di fatture per operazioni inesistenti;
Al solo Barbaro il reato sub d), ai sensi dell’art. 4 d.lvo n. 74/2000, per omessa
dichiarazione redditi.
Allo stesso Barbaro ed al De Luna, in concorso con la Papalia, i reati sub
g) ai sensi degli artt. 110 cod.pen., 216, comma 1 n. 1, 219, commi 1 e 2, 223,
comma 1, legge fall., 7 d.l. n. 152/1991 bancarotta fraudolenta per distrazione
dalle casse della società fallita Lavori Pubblici srl della somma non inferiore a C
779.277,00;
h) ai sensi degli artt. 110 cod.pen., 216, comma 1 n. 2, 223, comma 1, legge fall.,
7 d.l. n. 152/1991, per bancarotta fraudolenta documentale
i) ai sensi degli artt. 110 cod.pen., 223, comma 2 n. 2, legge fall., 7 d.l. n.
152/1991, per avere cagionato il fallimento di

Lavori Stradali

mediante le

operazioni dolose di cui ai capi precedenti.
2.3. Con sentenza del 05/05/2011, il Tribunale di Milano, ritenuto per tutti gli
imputati il capo

i) assorbito nel capo g), dichiarava Salvatore Barbaro e Maurizio
10

(la Edil Costruzioni), facendosi pagare in contanti (e dunque, in nero) i lavori

De Luna colpevoli di tutti i reati loro ascritti e, per l’effetto, li condannava alle pene
di giustizia; assolveva la Papalia dai reati di cui ai capi g) ed h) e la ritenenva,
invece, colpevole delle restanti imputazioni, condanna alla pena di giustizia.
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza oggi in esame, ha riformato
parzialmente la pronuncia di primo grado, mandando assolta la Papalia dai reati
ascrittile ed il De Luna dal reato sub h), rideterminando la pena nei termini di
giustizia per il residuo reato sub g).

il capo i) nel capo g)

risulta condannato per tutti i reati a suo carico; il De Luna –

assorbito, anche per lui, il reato sub i) in quello sub g)

risulta condannato solo per

quest’ultimo reato.

3. Venendo, ora, all’esame dei ricorsi, quello del PG, nei confronti della sola
Papalia, attiene, esclusivamente, all’intervenuta assoluzione per i capi

a) e b),

relativi alla contesta emissione di fatture per operazioni inesistenti, considerato che
l’assoluzione per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, sub
g) ed h) non era stata impugnata dal PM ed era, pertanto, divenuta irrevocabile.
Il ricorso si colloca ai limiti dell’ammissibilità, sostanziandosi, in gran parte, di
censure in punto di fatto e di generici rilievi critici all’impianto motivazionale della
sentenza in esame. L’impugnazione è, comunque, destituita di fondamento.
E’ vero, infatti, che la pronuncia impugnata si dilunga – all’apparenza
ingiustificatamente – sulla ritenuta estraneità della Papalia agli addebiti riguardanti i
reati fallimentari (rispetto ai quali si era posta come extraneus), posto che la
pronuncia assolutoria non era stata appellata dalla pubblica accusa. Ma è pur vero
che il richiamo alla ribadita assenza di volontarietà nella condotta della donna, la
quale aveva assunto solo un ruolo formale nella società coinvolta nel giro di
emissione di fatture false, può ben essere inteso come elemento confermativo della
ritenuta mancanza dell’elemento psicologico, in termini di dolo specifico, richiesto
per i reati tributari. Il tutto nel quadro del convincimento dei giudici di appello in
ordine alla posizione di mera titolarità formale e non di partecipazione della Papalia
nella vicenda, avente ad oggetto una complessa macchinazione fraudolenta rispetto
alla quale deus ex machina era solo il coniuge Salvatore Barbaro.
Si tratta di mero apprezzamento di merito che sfugge al sindacato di legittimità,
siccome congruamente motivato. La tenuta logica del complessivo impianto
giustificativo non può restare infirmata da elementi di mero sospetto, quali quelli
adombrati dal PG ricorrente con riferimento al rapporto di coniugio od alla
presumibile consapevolezza che la Papalia, proprio in virtù di quel rapporto,
avrebbe dovuto avere in ordine alla provenienza illecita di risorse finanziarie a
disposizione del nucleo familiare. Si tratta, in tutta evidenza, di elementi
meramente congetturali, inidonei ad assurgere al rango di dati rivelatori di

11

In conclusione, la Papalia risulta assolta da tutti i reati, il Barbaro – assorbito

manifesta illogicità o palese contraddittorietà, secondo quanto richiesto ai fini della
configurazione del vizio di motivazione spendibile in questa sede di legittimità, ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen.
3.1. La prima doglianza del ricorso in favore del Barbaro, che critica la
sentenza impugnata nella parte relativa al credito accordato alla deposizione
testimoniale della teste Maria Urbano, si colloca alle soglie dell’inammissibilità.
Ancorché sinteticamente, i giudici di appello hanno, infatti, dato atto delle riserve

il complessivo giudizio di affidabilità anche alla luce delle conferme rivenienti
dall’analisi compiuta dal consulente del PM, a sostegno di un quadro probatorio, che
risultava aliunde integrato da univoche risultanze, specificamente indicate, in ordine
all’esistenza di fatture per operazioni inesistenti che servivano ad offrire copertura
formale agli enormi esborsi di danaro da parte della società poi fallita e, dunque, a
fatti di conclamata distrazione in pregiudizio del relativo ceto creditorio. Insomma, il
punto focale dell’impostazione accusatoria, motivatamente recepita dai giudici di
merito, era proprio questo: l’indebita fuoriuscita dalle casse dei Lavori Stradali srl di
ingenti somme di danaro in favore del Barbaro, dietro il paravento di fatture
oggettivamente e soggettivamente false. La fittizietà della fatturazione costituiva
dato pacifico in processo alla luce non solo degli accertamenti tecnici, ma anche
delle dichiarazioni del coimputato De Luna e delle stesse ammissioni del Barbaro,
che aveva riconosciuto che le stesse fatture recassero un

sovrapprezzo, dunque

elemento già di per sé prova di fittizietà, anche se aveva cercato di dare
giustificazione di comodo ed implausibile a detto

surplus.

Le dichiarazioni

dell’Urbano, pur nella loro indubbia valenza probatoria, avevano offerto definitiva
conferma ad un panorama probatorio già chiaro, indicando analiticamente le fatture
alle quali non facevano riscontro lavori realmente eseguiti, di talché i dubbi
prospettati dalla difesa, ed ancor oggi ribaditi all’odierna udienza, sulla credibilità
della teste per le ragioni specificamente enunciate – afferenti alla fonte di
conoscenza ed alla sua qualità di socia di società, nella quale erano transitati gli ex
dipendenti della società fallita, compresa la dichiarante, e che era debitrice di
rilevante importo nei confronti della stessa – finiscono per l’essere finanche
ininfluenti, a parte che, espressamente od anche solo implicitamente, sono stati
stimati dal giudice

a quo

inidonei ad informare il complessivo giudizio di

attendibilità della stessa teste.
Il secondo motivo dubita dell’adeguatezza dell’impianto motivazionale e del
rispetto delle norme di legge in tema di configurabilità del concorso del Barbaro nei
reati fallimentari in questione, con particolare riferimento alla bancarotta
fraudolenta documentale.

12

manifestate dalla difesa in ordine all’attendibilità della teste, ribadendo nondimeno

In proposito, è sufficiente considerare che, per indiscusso insegnamento di questa
Corte regolatrice, correttamente evocato nella sentenza impugnata,

in tema di

concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo dell’extraneus nel reato
proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di
apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un
depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece,
richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. Ne consegue che ogni

indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce
l’evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale
della massa, posto che, se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato
significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori, ciò non
significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o
l’entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società

(cfr.

Cass. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Rv. 246879; id. Sez. 5, n. 9299 del
13/01/2009, Rv. 243162 secondo cui in tema di concorso in bancarotta fraudolenta
per distrazione, il dolo dell’extraneus” consiste nella volontarietà dell’apporto alla
condotta dell’intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un
depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo
necessaria la specifica conoscenza del dissesto della società).
Il riferimento a tali principi vale a confutare il rilievo difensivo in ordine al fatto che,
sin dal 2004 la società poi fallita versasse in stato di difficoltà economica e sulla
mancata conoscenza di siffatta condizione da parte del Barbaro. E vale, altresì, a
confermare la correttezza dell’insieme argomentativo in virtù del quale è stata
riconosciuta e ribadita la volontarietà della condotta dello stesso imputato, nei
termini richiesti ai fini della configurazione del concorso. Ciò vale anche con
riferimento alla fattispecie della bancarotta documentale, rispetto alla quale il
riconoscimento del concorso dell’extraneus postula l’accertamento dell’efficienza
causale della sua condotta e la consapevolezza in ordine alla sua incidenza sul
versante della regolarità e correttezza della rappresentazione documentale della
società poi fallita, ad opera del responsabile di quest’ultima (cfr., tra le altre, Cass,
sez. 5, n. 39387 del 27/6/2012, rv. 254319; id. sez. 5, del 26/06/1990, Rv.
185893). L’apporto considerevole di false fatturazioni, riferite al Barbaro, aveva
come inevitabile, oggettiva, finalizzazione nelle false annotazioni contabili dei Lavori
Stradali srl., essendo ontologicamente volte ad essere utilizzate come prova di
elementi passivi da appostare in bilancio.
Le linee portanti della motivazione resa in ordine al motivo precedente
valgono in qualche modo a dar conto anche della ritenuta infondatezza del terzo
motivo.

13

atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 legge fall. in caso di fallimento,

Si è già detto che il dato probatorio acquisito al processo, sulla base di corretta
valutazione delle emergenze processuali, ha disvelato una fraudolenta
macchinazione che, mediante il sistema delle fatture per operazioni inesistenti,
aveva determinato la fuoriuscita dalle casse dei Lavori Stradali srl di ingente somma
di danaro, sottratta alla garanzia dei creditori della stessa società, poi fallita. A
fronte di siffatta acquisizione, supportata da univoche risultanze processuali, che,
contrariamente all’assunto del ricorrente, non si risolvevano nei soli appunti della

accertamento peritale. Del mancato espletamento di perizia contabile il ricorrente
non ha ragione di dolersi, posto che la perizia è mezzo di prova notoriamente
neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del
giudice, sicché non può, per definizione, avere carattere di decisività (cfr. Cass. sez.
4, 221.2007, n. 14130, rv.236191).
La quarta censura si colloca, invece, in area d’inammissibilità, afferendo a
questione prettamente di merito, relativa all’assetto sanzionatorio, che si sottrae al
sindacato di legittimità in quanto dotato di adeguata, seppur sintetica, motivazione,
specie alla stregua delle convergenti valutazioni di primo e secondo grado, in merito
all’adeguatezza della sanzione, avuto riguardo all’obiettiva entità del fatto,
all’intensità del dolo ed alla personalità dell’imputato.
3.2. La prima censura in favore del De Luna si pone in ambito assai prossimo
all’inammissibilità, riproponendo in gran parte censure già prospettate in sede di
gravame, al di là di reale censura alle pertinenti ragioni con le quali il giudice di
appello le ha disattese. Ad ogni modo, le censure sono destituite di fondamento in
quanto il giudice a quo ha indicato compiutamente le ragioni del ribadito giudizio di
colpevolezza a carico dell’imputato, facendo corretto richiamo alla giurisprudenza di
questa Corte regolatrice in ordine ai presupposti necessari ai fini dell’integrazione
del concorso dell’extraneus, qual’era il De Luna rispetto alla società fallita, nel reato
di bancarotta fraudolenta per distrazione. Ineccepibile risulta, infatti, il contesto
motivazionale che ha espresso ragionato convincimento in ordine alla volontarietà
della condotta (consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, volte
ad offrire formale giustificazione alla fuoriuscita di ragguardevoli importi dalle casse
della società fallita). In particolare, l’entità di dette somme (oltre 600.000 euro), la
totale disponibilità nei confronti del Barbaro al punto da consegnargli i moduli di
fatture in bianco e le parziali ammissioni dello stesso imputato sono stati,
motivatamente, ritenuti elementi validamente dimostrativi di piena consapevolezza
da parte sua.
E’, invece, fondata la seconda censura, relativa all’affermata sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152/1991, essendo vero che il giudice a
quo non ha reso compiuta ed appagante motivazione al riguardo. Tale non può
certo ritenersi la succinta – e tutt’altro che perspicua – formulazione lessicale
14

teste, il giudice di appello ha ritenuto non necessario procedere al richiesto

secondo cui la presenza del De Luna è infatti imposta dal Barbaro al Luraghi, e il
primo ha precisa consapevolezza del contesto in cui viene collocato, contesto in cui
è pienamente soddisfatto il requisito per il quale la sua cooperazione favorisce non
certo un singolo individuo (il Barbaro) ma l’intero panorama delle società ad esso
riferibile e, pertanto, tutto il gruppo familiare di “dan” in cui il Barbaro si inserisce.
La detta argomentazione rivela, del resto, inappropriata applicazione della
particolare aggravante ad effetto speciale in questione. Al riguardo, non è, quindi,
superfluo osservare che l’aggravante in questione assume, nel chiaro dettato

del metodo mafioso, avvalendosi cioè delle condizioni di cui all’art. 416

bis,

cod.pen., e configurabile, come è noto, anche indipendentemente dall’appartenenza
del soggetto agente a sodalizio delinquenziale. La seconda modalità, in proiezione
finalistica, si riferisce a condotte delittuose, oggettivamente, dirette ad agevolare le
attività dell’associazione mafiosa.
Evidente, nel caso di specie, la rilevanza della seconda prospettazione, non par
dubbio al Collegio che, in siffatta modalità, il riconoscimento dell’aggravante
riguardi non solo l’ambito oggettivo, della strumentale, obiettiva, finalizzazione
all’effetto agevolatore, ma anche la dimensione soggettiva, richiedendo il dolo
specifico di agevolare l’associazione mafiosa in modo che la condotta sia diretta a
ledere l’ulteriore interesse protetto dall’aggravante (così, Cass. sez. 6, n. 11008 del
07/02/2001, Rv. 218783). Siffatto orientamento della volontà postula che, quello di
favorire l’associazione debba essere l’obiettivo “diretto” della condotta, non
rilevando possibili vantaggi indiretti, come ipotizzato nel caso di specie.
Diversamente, sarebbe legittimata una sorta di automatismo applicativo
dell’aggravante, che troverebbe spazio in ogni ipotesi di condotta illecita in favore di
un esponente verticistico di un sodalizio mafioso, indipendentemente da ogni
verifica in merito all’effettiva coincidenza, in termini immediati e diretti, degli
interessi del diretto beneficiario con quelli dell’associazione (cfr. Cass. Sez. 5, n.
17979 del 05/03/2013, Rv. 255517). E ciò sarebbe in palese dissonanza con la
stessa ratio dell’aggravante in questione, connessa, in tutta evidenza, all’esigenza
di un più efficace contrasto alla fenomenologia delinquenziale dell’associazionismo
mafioso in sé considerata.
Orbene, nel caso di specie, non può negarsi che la complessa macchinazione
delinquenziale sia stata concepita ed attuata dal Barbaro, con il consapevole
apporto del De Luna, al fine di conseguire enormi profitti dal progressivo
svuotamento delle casse della società poi fallita, a beneficio dello stesso Barbaro.
Opinare che la condotta distrattiva dell’imputato fosse intesa a favorire il

dan

mafioso di appartenenza di quest’ultimo costituisce, in difetto di congrua
giustificazione, inammissibile salto logico, tanto più in mancanza di elementi di

15

normativo, una duplice configurazione. La prima in chiave soggettiva, legata all’uso

prova in ordine all’appartenenza della società amministrata dal Barbaro (od
all’asserito, intero, panorama delle società ad esso riferibile) al clan malavitoso.

4. Per quanto precede, il ricorso del PG e di Salvatore Barbaro devono essere
rigettati, con consequenziali statuizioni. Va, invece, parzialmente accolto il ricorso
del De Luna e, per l’effetto, l’impugnata sentenza deve essere annullata in parte

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del PG; rigetta il ricorso di Barbaro Salvatore che condanna al
pagamento delle spese processuali; annulla la sentenza impugnata limitatamente
alla ritenuta aggravate di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991 per De Luna Maurizio, con
rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso il 12/11/2013

qua nei termini di cui in dispositivo.

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