Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17057 del 31/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17057 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Milazzo Alessandro, nato a Caltanissetta il 29 maggio 1977
avverso la sentenza n. 313/2014 emessa in data 27 marzo 2014 dalla Corte
d’appello di Caltanissetta.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Orsi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Maria Del Grosso, che ha insistito nell’accoglimento
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza del 4 luglio 2011, ha condannato Alessandro Milazzo per i reati di cui agli artt. 612, comma 2, e 635, commi 2 e
3, cod. pen., commessi ai danni rispettivamente di Roberta e Sandra Pino. La
condanna, impugnata dall’imputato, è stata confermata dalla Corte d’appello di
Caltanissetta con sentenza del 27 marzo 2014.
Avverso tale decisione il Milazzo ha proposto ricorso per cassazione, allegando quattro motivi:
– anzitutto si duole della violazione degli artt. 191, 431 e 511, comma 4,
cod. proc. pen. osservando che la querela presentata dalla parte offesa poteva
essere utilizzata solo per accertare l’esistenza delle condizioni di procedibilità, ma
non anche ai fini della contestazione del suo contenuto durante l’escussione testimoniale della querelante;
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Data Udienza: 31/03/2016

- in secondo luogo, censura il giudizio di attendibilità della parte offesa,
evidenziando che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente considerato la
particolare animosità fra questa e l’imputato, nonché l’assenza di riscontri oggettivi;
– il terzo motivo è attinente alla sussistenza del reato di danneggiamento
aggravato; l’imputato, da un lato, si duole del fatto che la sua colpevolezza è
stata affermata sulla base delle sole deposizioni della parte offesa; dall’altro sostiene che la dinamica dei fatti sarebbe incompatibile con l’aggravante

– l’ultimo motivo di ricorso riguarda il preteso vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e, in particolare, al diniego delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, che ripropone le medesime censure già esposte nell’atto di
appello, è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
2. In relazione al primo motivo di ricorso, occorre evidenziare che il giudice di prime cure ha fondato l’affermazione di responsabilità del Milazzo ritenendo
vera la versione dei fatti resa dalla parte offesa in dibattimento (ossia che la
stessa era stata attirata ad affacciarsi da casa propria a causa di un forte rumore; pag. 3), anziché quella risultante dalla denuncia raccolta della polizia giudiziaria (ossia che la stessa si era affacciata al balcone perché il Milazzo aveva citofonato a casa sua).
Pertanto, il contenuto della contestazione fatta in udienza non è confluito
nella decisione di merito.
Oltretutto, le dichiarazioni lette per la contestazione di cui all’art. 500,
comma 2, cod. proc. pen. possono essere utilizzate solo ai fini della credibilità
del teste. Pertanto, l’imputato avrebbe avuto semmai interesse ad assentire alla
contestazione nei confronti del teste d’accusa, piuttosto che opporsi alla stessa.
Consegue che il motivo in esame è inammissibile per carenza d’interesse.
3. Il secondo motivo e la prima parte del terzo motivo di ricorso possono
essere trattati congiuntamente, poiché riguardano entrambi l’attendibilità della
parte offesa.
La giurisprudenza di questa Corte è saldamente ferma nell’affermare, in
tema di attendibilità della parte offesa, che le dichiarazioni di quest’ultima possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell’affermazione di
penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e
corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
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dell’esposizione dell’automobile danneggiata alla pubblica fede;

dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (da ultimo,

ex plurimis: Sez. 2, n.

43278 del 24/09/2015 – dep. 27/10/2015, Manzini, Rv. 265104).
È altresì pacifico che alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. in tema di riscontri oggettivi. Ogni eventuale contrasto interpretativo risulta definitivamente
risolto, nel senso anzidetto, da un recente arresto delle Sezioni Unite (Sez. U, n.
41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214)
Al più, in alcune occasioni è stato affermato che occorre distinguere a se-

persona offesa diviene portatrice di pretese economiche e il controllo di attendibilità deve essere, di conseguenza, più rigoroso rispetto a quello generico cui si
sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone; e ciò può rendere opportuno
procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (ex plurimis Sez. 1,
n. 29372 del 24/06/2010 – dep. 27/07/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n.
33162 del 03/06/2004 – dep. 02/08/2004, Patella ed altri, Rv. 229755).
Nella specie, nessuna delle due parti offese si è costituita parte civile e le
loro deposizioni sono sorrette da~iVi: anzitutto, le due deposizioni di riscontrano reciprocamente, poi vi sono i danni all’autovettura. L’asserzione secondo cui, a dire del ricorrente, i danni non sarebbero compatibili con la manovra
descritta dalla parte offesa costituisce una valutazione di fatto sottratta al vaglio
di questa Corte.
Il giudizio di attendibilità, sorretto da adeguata indagine sull’attendibilità
intrinseca soggettiva e oggettiva e sull’esistenza di elementi di riscontro obiettivo, si sottrae quindi alle censure svolte in ricorso,
4. La seconda parte del terzo motivo riguarda l’aggravante delle cose esposte alla pubblica fede, che, a parere del ricorrente, sarebbe incompatibile con
la dinamica dei fatti narrata dalla parte offesa: costei, infatti, ha dichiarato che il
Milazzo le avrebbe citofonato, inducendola ad affacciarsi al balcone, prima di ingranare la retromarcia della propria autovettura e urtare violentemente e intenzionalmente quella della vittima, parcheggiata sotto casa.
Invero, com’è noto, ricorre l’esclusione dell’aggravante dell’esposizione
della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede
(di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., applicabile anche al reato di
cui all’art. 65 cod. pen.) ti-c-19-i-eel-e-ettp sulla cosa sia esercitata una custodia continua e diretta, non essendo sufficiente, a tal fine, una vigilanza generica, saltuaria ed eventuale (Sez. 5, n. 6416 del 14/11/2014 – dep. 13/02/2015, Garofalo,
Rv. 262663; Sez. 5, n. 34009 del 20/09/2006 – dep. 11/10/2006, P.M. in proc.
Mocarski, Rv. 235223).
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conda che via sia stata costituzione di parte civile, poiché, in caso positivo, la

In particolare, tale vigilanza non può dirsi sussistente ancorché
l’interessato, pur assistendo al furto o al danneggiamento, non è nelle condizioni
materiali di intervenire per tentare di impedire la consumazione del reato. Pertanto, non vale ad esclude la sussistenza della menzionata aggravante la circostanza che la proprietaria dell’autovettura danneggiata assista inerte dal balcone
di casa all’evento, non avendo né il tempo di intervenire, né alcuna possibilità
materiale di impedire che la consumazione del reato.
Non muta le superiori conclusioni la circostanza che l’autovettura danneg-

la pubblica fede è configurabile anche quando la cosa si trovi in luoghi privati,ma
aperti al pubblico (Sez. 2, n. 12880 del 05/03/2015 – dep. 26/03/2015, Meduri,
Rv. 262779).
Per completezza occorre rilevare che questa Corte, con decisione del 16
febbraio 2016, non ancora massimata, ha affrontato il punto se il fatto già previsto come reato dal testo previgente dell’art. 635, comma 2, n. 3, cod. pen.
(commesso su cose indicate nel numero 7 dell’art. 625 cod. pen.) conservi rilevanza penale nella vigenza del nuovo testo dell’art. 635 cod. pen., introdotto
dall’art. 2, comma 1, lett. I), d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. A tale quesito è stata
data risposta affermativa, in quanto fra il nuovo ed il previgente testo dell’art.
635 cod. pen. sussiste un nesso di continuità e di omogeneità, non avendo il
d.lgs. n. 7 del 2016 prodotto una generalizzata abolitio criminis delle fattispecie
già incriminate dal “vecchio” testo dell’art. 635 cod. pen., ma unicamente la successione di una norma incriminatrice che ha escluso la rilevanza penale di alcune
ipotesi già previste e punite come reato, conservando tale rilevanza rispetto ad
altre.

5. Venendo all’ultimo motivo di ricorso, in ordine alla misura della pena è
sufficiente osservare che essa è stata inflitta nella misura minima edittale e la
corte d’appello, avuto riguardo ai precedenti penali, dell’imputato,ha ritenuto tale
pena troppo lieve, pur non potendola modificare per osservanza del divieto di reformatio in peius.
Quanto alle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all’art.
62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione
circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione
degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle
attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in
base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità
(Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016 – dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826)
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giata si trovasse all’interno del parcheggio condominiale. Infatti, l’esposizione al-

Ciò è proprio quello che è avvenuto nella specie, laddove la corte
d’appello ha negato che all’imputato potessero essere concesse le attenuanti generiche in considerazione della sua capacità a delinquere desunta dai precedenti
penali.
6. Il ricorso deve, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di

re della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31 marzo 2016.

colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favo-

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