Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17054 del 19/01/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17054 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BONAFEDE DOMENICO, nato a Palermo il 13/03/1955

avverso la sentenza n. 885/2013 della CORTE di APPELLO di TRIESTE,
del 22/01/2014

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fraticelli,
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito il difensore del ricorrente, l’avv. Carmelo Carrara, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 19/01/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 15/5/2012 il Tribunale di Trieste dichiarava la penale
responsabilità di Bonafede Domenico in relazione ad una pluralità di rapine
commesse in treno, stordendo le vittime, prevalentemente straniere, offrendo
loro una bevanda contenente benzodiazepine che le poneva in stato di
incoscienza durante il quale l’imputato poteva sottrarre loro denaro o altri beni. Il

attenuanti generiche equivalenti alla recidiva ed all’aggravante contestate, lo
condannava alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 800 di multa ed alla
pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, oltre al
pagamento delle spese processuali ed alla confisca e distruzione di quanto in
sequestro.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello il difensore dell’imputato e, in
via incidentale, anche il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Trieste, che censurava la sentenza sotto il profilo della mitezza della pena, di cui
chiedeva l’aumento, e la Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data
22/1/2014, confermava la sentenza impugnata.
3.

Ha presentato ricorso per Cassazione il Bonafede, a mezzo del suo

difensore, sollevando i seguenti motivi di impugnazione:
– a) la mancanza di motivazione sulla responsabilità dell’imputato e sulla
qualificazione giuridica del fatto, adducendo essersi limitata la sentenza ad un
rinvio “per relationem” alla pronuncia di primo grado, ed avere considerato la
Corte territoriale anche il precedente costituito dalla condanna di cui ad un
decreto penale per reato ormai estinto per il decorso del termine quinquennale;
– b) l’insufficiente motivazione in ordine al giudizio di comparazione tra
circostanze, per non avere il giudice del gravame adeguatamente motivato sulle
ragioni per cui nonostante il corretto comportamento processuale le circostanze
attenuanti generiche non siano state giudicate prevalenti sulle aggravanti;
– c) il difetto di motivazione e l’errata qualificazione giuridica dei fatti, a dire
del ricorrente da ritenersi furti con destrezza commessi approfittando delle
circostanze di minorata difesa delle vittime, non potendosi considerare il Tavor
sostanza idonea a privare di conoscenza le persone offese, non essendo
dimostrato che il Bonafede fosse sempre in possesso di benzodiazepine e
difettando in alcuni casi una sufficiente analisi delle condizioni cliniche delle
persone derubate dal ricorrente;
– d) il difetto di motivazione sul trattamento sanzionatorio, non avendo

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Tribunale, unificati i reati dalla continuazione e concesse al Buonafede le

tenuto conto i giudici di merito dei motivi a delinquere e dei modesti importi
ricavati dalla perpetrazione dei reati;
– e) il difetto di motivazione in ordine al diniego della prevalenza delle
attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, fondato sulla disposizione di cui
all’art. 69 comma 4 cod. pen., in relazione al quale, peraltro, il ricorrente ha
eccepito l’illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 25 e 27 della

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto si discosta dai parametri
dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 comma cod. proc. pen.
4.1. E’ manifestamente infondata, infatti, la censura volta al riconoscimento
di un vizio di motivazione nel richiamo “per relationem” alla pronuncia di primo
grado operato dalla sentenza impugnata: è principio ormai consolidato che le
sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico
complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le
censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo
giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione,
quando – come nel caso di specie – i motivi di gravame non abbiano riguardato
elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed
ampiamente chiarite nella decisione impugnata (Cass. sez. U., n. 17 del
21/6/2000 Rv. 216664; sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Rv. 252615; sez. 6, n.
53429 del 04/1172014).
4.2. Inammissibile è anche il motivo con il quale, lamentando insussistenti
vizi della motivazione, il ricorrente invoca una riqualificazione giuridica dei reati
contestati, atteso che, all’esito di una ricostruzione dei fatti non sindacabile in
questa sede, la corte territoriale ha riconosciuto l’esercizio di violenza ai danni
delle persone offese, attraverso l’offerta di un caffè alterato da sostanze
soporifere, che ha posto le stesse persone offese in uno stato di incapacità di
volere e di agire, ed ha rilevato come tale condotta sia testualmente prevista
dall’art. 628 commi 1 e 3 n. 2) cod. pen.
4.3. Inammissibile perché aspecifica, oltre che manifestamente infondata, è
anche la censura con la quale si contesta il riconoscimento della recidiva reiterata
ed infraquinquennale contestata al ricorrente, assumendosi che uno dei
precedenti considerati sarebbe costituito da reato oggetto di decreto penale di

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Costituzione.

condanna, da ritenersi già estinto ai sensi dell’art. 460 cod. proc. pen. comma 5,
per il decorso del termine di cinque anni: la sentenza impugnata, invero, ha
evidenziato sia la natura dei delitti di cui alle precedenti condanne riportate dal
ricorrente che le date di consumazione dei reati e le date delle pronunzie di
condanna, rilevando che i fatti per cui si procede sono stati tutti commessi entro
il quinquennio dalla condanna precedente, pronunziata il 31.10.2005. Si tratta,
peraltro, di censura che ripropone le stesse ragioni già discusse e ritenute

specifica. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata
non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità
conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.,
all’inammissibilità (Cass. sez. 4, n. 5191 del 29/3/2000, Rv. 216473; sez. 1, n.
39598 del 30/9/2004, Rv. 230634; sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Rv. 236945;
sez. 3, n. 35492 del 6/7/2007, Rv. 237596).
4.4. Anche il secondo ed il quarto motivo di impugnazione sono
inammissibili, in quanto le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra
opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio
di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione
(Cass. sez. U., n. 10713 del 25/2/2010, Rv. 245931), quale quella che sorregge
la sentenza impugnata, con riferimenti al disposto dell’ultimo comma dell’art. 69
cod. pen. ed ai fatti commessi, ritenuti “tutti connotati da analogo spregio per la
persona”. Si tratta di valutazioni di merito che evidenziano come anche in
concreto la corte territoriale abbia ritenuto di dover escludere la prevalenza delle
attenuanti generiche sulla recidiva contestata, avendo anche esplicitato la
sentenza di ritenere che il primo giudice avesse già “ampiamente apprezzato
l’atteggiamento processuale dell’imputato” che aveva indotto a riconoscergli le
circostanze attenuanti generiche, sicché i dubbi in ordine alla legittimità
costituzionale del quarto comma dell’art. 69 cod. pen., formulati dal ricorrente
con riferimento ad asserite violazioni dei principi di legalità, di necessaria
proporzionalità fra la pena inflitta e la gravità del fatto commesso, e della finalità
rieducativa della pena, debbono ritenersi ininfluenti nel caso concreto, nel quale
la valutazione della recidiva e delle altre circostanze del reato e la graduazione

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infondate dal giudice del gravame, e tale pertanto da doversi considerare non

della pena sono state operate con riferimento anche alla concreta valenza dei
precedenti penali del ricorrente.
Allo stesso modo, in ordine alla graduazione della pena, deve rilevarsi che
questa rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così
come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e
133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione di congruità della pena la cui

n. 5582 del 30/9/2013, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla media di
quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei
criteri di cui all’art. 133 cod. pen. anche le espressioni del tipo “pena congrua”,
“pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o
alla capacità a delinquere (sez. 2 n. 36245 del 26/6/2009, Rv. 245596): nel caso
di specie, invece, la sentenza ha anche dettagliatamente indicato i parametri che
hanno indotto alla graduazione di pena operata, con esplicito riferimento alla
gravità della condotta, alla perseveranza ed al metodo esplicati nella serie di
reati, ritenuti rivelatori di una speciale intensità del dolo, sicché ogni censura sul
punto deve ritenersi inammissibile.
5. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, sussistendo profili di colpa, la parte privata che
lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso nella camera di consiglio del 19 gennaio 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (sez. 5

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