Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17047 del 12/01/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17047 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LE BYDI MAHMED nato il 01/01/1976

avverso la sentenza del 28/03/2014 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 12/01/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Firenze ha confermato
la sentenza del 16/6/2011 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze,
con cui, in esito a giudizio abbreviato, Le Bydi Mahmed era stato condannato alla pena di
mesi dieci di reclusione ed euro 2.200,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. 309/90 (ascrittogli per avere detenuto a fine di spaccio grammi 1,942 di
sostanza stupefacente del tipo cocaina, suddivisa in cinque dosi).

vizio di motivazione in relazione all’art. 163 cod. pen., per il mancato riconoscimento del
beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo omesso la Corte d’appello di
considerare la personalità del ricorrente, il suo stato di incensuratezza e il minimo
quantitativo di sostanza stupefacente detenuta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, riproduttivo del secondo motivo d’appello, è inammissibile, a causa
della sua genericità e per essere volto a sindacare una valutazione di merito
adeguatamente motivata dalla Corte d’appello.
Il ricorrente, infatti, si duole, del tutto genericamente, del mancato
riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale, riproponendo gli argomenti
posti a sostegno della identica richiesta formulata con l’atto di gravame, omettendo del
tutto di considerare quanto esposto al riguardo della Corte d’appello, che, nel
disattendere tale motivo di impugnazione, ha formulato una prognosi negativa di non
recidivanza, evidenziando la gravità del fatto, desunta dalle sue modalità, indicative
dell’inserimento del ricorrente in una rete di spaccio, la mancanza di fissa dimora, di fonti
di reddito e di occupazione dell’imputato, nonché i dubbi sulla sua identità, con la
conseguente mancanza di affidamento sulla sua formale incensuratezza: si tratta di
motivazione pienamente idonea a illustrare le ragioni della prognosi negativa formulata
dalla Corte d’appello, immune da vizi logici e non sindacabile sul piano del merito.
Il ricorso in esame deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, a cagione
della genericità e del contenuto non consentito nel giudizio di legittimità delle doglianze
cui è stato affidato.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 3.000,00.

P.Q.M.
1

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
‘spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2018
Il Presidente
Presidente

Il Consigliere estensore

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