Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17038 del 02/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17038 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
SALERNO
nei confronti di:
CERRONE LUIGI N. IL 17/11/1938
avverso il decreto n. 17/2008 CORTE APPELLO di SALERNO, del
01/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/4e le conclusioni del PG Dott.
ti212044 et2,
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-1-5 h ‘D

A

Lek0 L QA441,A1444.25

Uditi difensor Avv.;

CA

k/1.0

1.2.tD”;

Data Udienza: 02/03/2016

RILEVATO IN FATTO

Con decreto in data 14.01.2008 il Tribunale di Salerno rigettava la proposta di applicazione
della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno e di
sequestro dei beni ai fini della confisca avanzata dalla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Salerno nei confronti di Cerrone Luigi e dei terzi interessati: la proposta si
basava sui precedenti penali del Cerrone e sulla pericolosità sociale del proposto, per come

dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Il Tribunale di Salerno, pur rilevando la
sussistenza di elementi indicativi di attività delittuose compiute dal Cerrone nel corso degli
anni Ottanta e Novanta del decorso secolo e collegate alla sua qualità di imprenditore e
una sua contiguità al clan camorristico “Maiale” (di cui si era servito per riscuotere crediti
in sofferenza ed al quale aveva offerto la possibilità di riciclare danaro proventi di attività
illecite), tuttavia evidenziava trattarsi di attività cessate nel corso degli anni Novanta, per
effetto della scompaginazione di quel gruppo criminale a seguito di operazioni di polizia
giudiziaria e di scelte collaborative dei vertici del clan: di conseguenza, la pericolosità
sociale del proposto non poteva ritenersi attuale all’atto del deposito della proposta del
P.M., anche in considerazione del fatto che il Cerrone era stato assolto, ex art. 530,
comma 2, cod.proc.pen., in ordine al reato di concorso esterno in associazione per
delinquere di tipo mafioso; come ulteriore conseguenza, non poteva applicarsi la misura di
prevenzione patrimoniale.
Avverso detto decreto proponevano appello il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Salernoo ed il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello
di Salerno: le argomentazioni dell’appello si fondavano sulla circostanza che
l’appartenenza ad una associazione per delinquere di tipo mafioso implicava comunque
una permanente pericolosità sociale, per ritenere cessata la quale occorreva acquisire una
prova certa del recesso dal sodalizio criminale, non potendosi ritenere sufficiente il mero
decorso del tempo; si sosteneva che la pericolosità era un requisito espressamente
richiesto dalla Legge n° 1423/1956, ma non anche dalla Legge n° 575/1965 la quale si
limita a prevedere l’applicabilità di una misura di prevenzione all’indiziato di appartenenza
ad una associazione mafiosa; oltre a ciò si sosteneva che il Tribunale aveva disatteso le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Schipani Rosario Fedele, il quale aveva riferito
del ruolo del Cerrone anche all’interno del clan “Pecoraro-Renna”, da ritenersi ancora
operativo e dell’ampiezza di questo ruolo, superiore a quello svolto per il clan “Maiale”.
La Difesa del Cerrone depositava memorie opponendosi alle richieste del P.M. e
sottolineando che i beni oggetto di richiesta di sequestro erano il frutto di quaranta anni di
attività imprenditoriale e che comunque i presunti rapporti con clan camorristici si
arrestavano a fatti avvenuti circa quindici anni prima della richiesta del P.M. stesso.

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ricavata dal informative di polizia, dai procedimenti penali pendenti a suo carico e dalle

La Corte di Appello di Salerno, in data 01.07.2013, rigettava gli appelli predetti.
Preliminarmente la Corte di Appello riteneva che l’oggetto del gravame doveva limitarsi ad
una pregiudiziale disamina circa la sussistenza di una attuale pericolosità sociale del
Cerrone, come requisito indispensabile per l’applicazione della misura di sicurezza
patrimoniale; seguiva una dettagliata analisi della dinamica normativa in materia: in primo
luogo si richiamava la giurisprudenza che faceva riferimento, in ordine al requisito
dell’attualità, al momento in cui veniva adottata la decisione di primo grado; in secondo

dei beni degli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose era vincolato alla
sproporzione del loro valore con il reddito dichiarato o alla ragionevole conclusione che essi
costituissero il provento o il reimpiego di attività illecite (con preliminare accertamento
della pericolosità sociale attuale); in terzo luogo, si evidenziava che la Legge n° 152/2008,
la Legge n° 94/2009 e la Legge n° 159/2011 avevano consentito di applicare le misure di
prevenzione patrimoniali anche in assenza di misure di prevenzione personali, sancendo il
principio della indipendenza della confisca di prevenzione dall’attualità della pericolosità del
proposto, ponendo fine alla connotazione di accessorietà. Si notava, tuttavia, che erano
sorti problemi interpretativi relativamente a proposte e decreti di Tribunale antecedenti la
riforma – come appunto la fattispecie in esame – giacchè la consolidata giurisprudenza di
legittimità riteneva non applicabile a detta materia il principio della irretroattività della
legge penale in quanto la confisca era ritenuta istituto di prevenzione equiparato alla
materia delle misure di sicurezza, per le quali, ex art. 200 cod.pen., si applica la legge
vigente al momento della loro applicazione, con la conseguenza che, anche con riferimento
a fatti pregressi rispetto alla promulgazione di nuove norme, deve farsi applicazione delle
norme vigenti al momento dell’adozione della misura. Ma anche detto arresto veniva a
mutare: la sentenza della Sez. 5 n° 14044/2012 riconosceva la natura sanzionatoria della
confisca di prevenzione, ritenendo quindi che la norma, che consentiva al Giudice di
applicare la confisca anche prescindendo dalla verifica di pericolosità del soggetto, potesse
applicarsi soltanto alle fattispecie realizzatesi dopo l’entrata in vigore della Legge n°
94/2009: la Corte Suprema aveva riconosciuto il carattere vincolante della giurisprudenza
della CEDU, la quale aveva sollecitato una verifica non meramente formale e nominale
della natura di sanzione, al fine di evitare che misure repressive si prestassero ad essere
qualificate come misure di sicurezza. La Corte Suprema aveva così rilevato che l’ablazione
dei beni, con le riforme in materia, poteva ormai essere applicata separatamente dalle
misure preventive personali e in assenza di un giudizio di attualità della pericolosità
sociale, per cui essa era ormai sganciata da quelle connotazioni delle misure di
prevenzione che rendono le stesse equiparabili alle misure di sicurezza, poiché non
esisteva più un comune presupposto: se dunque solo dal luglio 2009 era possibile
applicare una misura patrimoniale anche in difetto del presupposto della pericolosità
sociale del soggetto destinatario, allora il carattere afflittivo della misura andava
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luogo, si rammentava che la disciplina previgente all’anno 2008 richiedeva che il sequestro

inquadrato, lato sensu, nella materia penale e la norma poteva applicarsi soltanto a
fattispecie realizzatesi dopo l’entrata in vigore della stessa.
Pertanto la Corte di Appello riteneva che alla fattispecie in esame andasse applicata la
disciplina all’epoca vigente e dovesse valutarsi prioritariamente il profilo di pericolosità
sociale del Cerrone ai fini della eventuale successiva confisca dei beni. Dunque si riportava
che varie indagini avevano disvelato che il Cerrone era stato contiguo al clan camorristico
“Maiale”, un’articolazione della consorteria detta “Nuova Famiglia” della zona di Eboli; si

cod.proc.pen. dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa era stata riformata
dalla Corte di Appello di Salerno in data 30.11.2011 anche se il reato era stato dichiarato
prescritto; il Cerrone era risultato essere un usuario, titolare di una finanziaria e di varie
gioiellerie, che aveva favorito il gruppo criminale consentendo ad esso il reinvestimento dei
proventi in attività di usura ed ottenendo la disponibilità del clan al recupero dei propri
crediti: in questo modo consentiva ai membri del clan di non esporsi in prima persona
nell’attività usuraia e assicurava il deposito di ingenti capitali senza dover accedere al
sistema bancario. La Corte di Appello rammentava poi che, in tema di misure di
prevenzione, la nozione di “appartenenza” ad una associazione mafiosa era più ampia e
più sfumata della partecipazione all’associazione medesima, individuando essa i soggetti
che, pur non facendo parte della struttura del sodalizio, si ponevano a disposizione dello
stesso, agendo su richiesta degli associati condividendone gli scopi e favorendo gli stessi.
Per cui, se non vi era dubbio sull’esistenza delle compagini criminali cui il Cerrone era stato
contiguo, tuttavia le attività del proposto in quell’ambito si erano arrestate nel corso degli
anni Novanta, quando il clan “Maiale” era stato scompaginato dalle operazioni di polizia e
non vi era elemento che facesse concludere che un altro gruppo ne avesse preso le redini;
quanto ai rapporti con il clan “Pecoraro-Renna”, la Corte di Appello riteneva piuttosto poco
probanti le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Schipani, il quale comunque collocava
il Cerrone in attività risalenti agli anni Novanta: e dette dichiarazioni non avevano mai
fatto sviluppare indagini a carico del Cerrone relativamente a detti rapporti o in ordine ad
attività illecite successive allo smantellamento del clan prima indicato. Si concludeva quindi
per la carenza del requisito dell’attualità della pericolosità sociale.
Avverso detta ordinanza propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la
Corte di Appello di Salerno, deducendo un’errata interpretazione relativamente alla
retroattività della normativa in tema di misure di prevenzione. Si sostiene che la Corte di
Appello ha condiviso l’orientamento espresso dalla Corte Suprema con la sentenza n°
14044/2012, la quale però sarebbe solo un arresto giurisprudenziale isolato rispetto alla
costante giurisprudenza della stessa Corte Suprema che ha riconosciuto il principio di
reciproca autonomia tra le misure personali e quelle reali anche per i fatti anteriori alla
Legge n° 94/2009 e che anche di recente ha sancito che l’irretroattività delle norme penali
sfavorevoli si riferisce soltanto ai fatti-reato. La natura della confisca trova così la sua

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richiamava il fatto che la prima assoluzione del Cerrone ex art. 530, comma 2,

ragione d’essere nel vizio genetico della formazione del patrimonio e nelle modalità di
acquisto dei beni appresi ed ha lo scopo di evitare che si formino indebite accumulazioni di
beni di provenienza illecita sottratti alla possibilità della confisca per cessazione della
pericolosità sociale.
Il P.G. in sede chiede l’annullamento con rinvio: si richiama il disposto della sentenza delle
Sezioni Unite del 26.06.2014,. Rv 262602, secondo la quale le modifiche in materia di
prevenzione non hanno modificato la natura preventiva della confisca sicchè rimane valida

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il decreto impugnato deve essere annullato, per le ragioni di seguito esposte.
La Corte di Appello di Salerno ha assunto la sua decisione movendo da un presupposto da
ritenersi ormai superato.
Le misure di prevenzione patrimoniali – in principio elaborate in funzione di mero supporto
a quelle personali, al fine di potenziarne l’efficacia preventiva, tanto da porsi in rapporto di
mera accessorietà a quest’ultime, pure in termini di contestualità di applicazione – hanno
conosciuto, nel tempo, un processo di progressivo sganciamento dalle prime, che ha avuto
il suo epilogo nell’affermazione della loro piena autonomia. Autonomia da intendere nel
senso dell’applicabilità non solo in distinto contesto procedimentale, ma anche nei casi in
cui non sia applicabile la misura personale, o perché la relativa proposta sia stata rigettata
o perché, inizialmente applicata, sia stata poi revocata o, comunque, non sia più attuale e
finanche in caso di morte del soggetto inciso. Altro sviluppo legislativo ha determinato il
progressivo ampliamento della platea dei potenziali destinatari delle misure patrimoniali, in
concomitanza con l’affermazione di linee strategiche di politica criminale volte a farne
strumento di efficace contrasto a fenomenologie criminali, mafiose od eversive che
fossero, ritenute comunque capaci di mettere in pericolo gli assetti dell’ordinamento
democratico.
L’obiettivo delle stesse è quello di rimuovere dal circuito economico legale i beni
riconducibili, direttamente od indirettamente, a soggetti ritenuti socialmente pericolosi,
relativamente ai quali è lecito presumerne l’illecita provenienza. Finalità questa che si
giustifica non solo per ragioni etiche, ma anche per motivazioni d’ordine economico in
quanto l’accumulo di ricchezza, frutto di attività delittuosa, è fenomeno tale da inquinare le
ordinarie dinamiche concorrenziali del libero mercato, creando anomale posizioni di
dominio e di potentato economico, in pregiudizio delle attività lecite.
A tale comune obiettivo il sistema di prevenzione patrimoniale, in danno di soggetti
portatori di pericolosità qualificata, assomma la specifica finalità strategica – frutto di
maggiore sensibilizzazione della coscienza sociale alla gravità del fenomeno mafioso – di
incisivo contrasto alla criminalità organizzata, da colpire nel cuore dei suoi interessi,
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l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza.

verosimilmente intesi, in via primaria, allo spasmodico accumulo di ricchezza, in forme
variegate.
Si è già detto prima che il presupposto da cui hanno preso le mosse le motivazioni del
decreto impugnato (e cioè quello secondo il quale alla confisca di prevenzione andrebbe
riconosciuta una natura sanzionatoria, con la conseguenza che la nuova normativa
potrebbe applicarsi soltanto a fattispecie realizzatesi successivamente all’entrata in vigore
della Legge n° 94/2009, senza possibilità di applicare il disposto di cui all’art. 200

Unite di questa Corte con la sentenza in data 26.06.2014 n° 4880, Rv 262602, al quale il
Collegio aderisce: le modifiche introdotte nell’art. 2 bis della legge n. 575 del 1965, dalle
leggi n. 125 del 2008 e n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della
confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, sicchè rimane tuttora valida
l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità, in caso di
successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all’art. 200 cod.pen.
In altri termini, in questa materia è sufficiente, ai fini della confisca patrimoniale, che la
pericolosità sociale fosse sussistente al momento dell’acquisizione del bene oggetto delle
istanze.
Se rispetto alla misura di prevenzione personale il requisito della persistente pericolosità
continua ad avere una ragion d’essere, in quanto, ben potendo quella risolversi nel tempo .A.
o grandemente scemare, sarebbe aberrante – siccome oggettivamente inutile, se non per ,
finalità surrettizie o pretestuose – una misura di prevenzione applicata a soggetto non più
socialmente pericoloso; invece, quanto alla misura patrimoniale, la connotazione di
pericolosità è immanente alla res, per via della sua illegittima acquisizione, e ad essa
inerisce “geneticamente”, in via permanente e, tendenzialmente, indissolubile.
Ciò significa che presupposto ineludibile di applicazione della misura di prevenzione
patrimoniale continua ad essere la pericolosità del soggetto inciso, ossia la sua
riconducibilità ad una delle categorie soggettive previste dalla normativa di settore ai fini
dell’applicazione delle misure di prevenzione.
Correttamente, pertanto, la giurisprudenza dì questa Corte ha precisato che, anche nei
casi di applicazione disgiunta, il giudice della prevenzione debba valutare, sia pure
incidenter tantum, la condizione di pericolosità del soggetto nei cui confronti sia richiesta la
misura patrimoniale. Ciò in quanto la confisca disgiunta non è istituto che ha introdotto nel
nostro ordinamento una diretta actio in rem, restando imprescindibile il rapporto tra
pericolosità sociale del soggetto e gli incrementi patrimoniali da lui conseguiti (Sez 1, n.
48882 del 08/10/2013, San Carlo Invest Srl, Rv. 257605).
Ciò è indubbiamente vero, con la necessaria precisazione, però, che ad assumere rilievo
non è tanto la qualità di pericoloso sociale del titolare, in sé considerata, quanto piuttosto
la circostanza che egli fosse tale al momento dell’acquisto del bene.

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cod.pen.) è da ritenersi superato alla stregua del principio di diritto stabilito dalle Sezioni

Nel caso di beni illecitamente acquistati, il carattere della pericolosità si riconnette non
tanto alle modalità della loro acquisizione ovvero a particolari caratteristiche strutturali
degli stessi, quanto piuttosto alla qualità soggettiva di chi ha proceduto al loro acquisto. Si
intende dire che la pericolosità sociale del soggetto acquirente si riverbera eo ipso sul bene
acquistato, ma ancora una volta non già in dimensione statica, ovverosia per il fatto stesso
della qualità soggettiva, quanto piuttosto in proiezione dinamica, fondata sull’assioma
dell’oggettiva pericolosità del mantenimento di cose, illecitamente acquistate, in mani di

previste dal Legislatore.
Logico inferire che non v’è ragione di dubitare della persistente assinnilabilità della misura
di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza e, dunque, della ritenuta applicabilità
alla prima della previsione di cui all’art. 200 cod.pen.
Esclusa la natura sanzionatoria, non può dunque trovare applicazione, in subiecta materia,
il principio di irretroattività di cui all’art. 2 cod.pen.
Ne consegue che le ragioni di doglianza oggetto del motivo di ricorso articolato dal
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno meritano di
essere accolte: alla confisca di prevenzione – misura di sicurezza è applicabile l’art. 200
cod.pen., con quanto ne segue in punto di ulteriore applicabilità della novella del 2008 e
del D.Lvo n° 159/2011, confisca dunque che può avere ad oggetto anche beni acquisiti
anteriormente all’entrata in vigore della richiamata normativa, ove ne ricorrano i
presupposti di applicabilità nel senso sopra precisato.
Il decreto impugnato va dunque annullato, con rinvio alla Corte di Appello di Salerno per
nuovo esame.

P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 02 marzo 2016.

chi sia ritenuto appartenere – o sia appartenuto – ad una delle categorie soggettive

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