Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17037 del 12/01/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17037 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ROGGI MARCELLO nato il 30/09/1958 a CASTIGLION FIORENTINO

avverso la sentenza del 27/03/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 12/01/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Firenze ha respinto
l’impugnazione dell’imputato e ha confermato la sentenza del 13/1/2016 del Tribunale di
Arezzo, con cui Marcello Roggi era stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione ed
euro 200,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 2, comma 1, I. n. 638 del 1983
(ascrittogli per avere, quale legale rappresentante della Cooperativa sociale Work 2000,
omesso di versare le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti nel

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
violazione dell’art. 2 I. 638/83 e difetto di motivazione, ribadendo le doglianze, già
sottoposte alla Corte d’appello, riguardo alla insufficiente dimostrazione della
effettuazione delle ritenute previdenziali sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti,
desunta dai giudici di merito esclusivamente in base alla risultanze di quanto attestato
nelle dichiarazioni riportate sui modelli predisposti dall’ente previdenziale (c.d. modelli
DM10), neppure compilati dal ricorrente; e alla mancanza dell’elemento soggettivo, non
essendo l’omissione ascrittagli frutto di una libera determinazione, ma solo conseguenza
della mancanza di fondi nel patrimonio della società, tra l’altro a carattere cooperativo,
con la conseguente mancanza anche di un datore di lavoro cui attribuire l’omissione
contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello e volto a censurare un
accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, è manifestamente infondato.
Questa Corte ha più volte affermato che l’avvenuta corresponsione delle
retribuzioni (con la conseguente sussistenza dell’obbligo di versare le relative ritenute
previdenziali) può essere ritenuta provata anche sulla base di elementi indiziari (cfr. Sez.
3, n. 38271 del 25/09/2007, Pellé, Rv. 237829; in termini Sez. 3, n. 29037 del
20/02/2013, Zampiccoli, Rv. 255454), come la compilazione e trasmissione dei cosiddetti
modelli DM10 (cfr. Sez. 3, 2/9/2005 n. 32848), sicché la motivazione che, come nel caso
in esame, fondi l’accertamento della corresponsione delle retribuzioni su quanto attestato
in tali prospetti (riconducibili al legale rappresentante, anche se non redatti
materialmente da lui, in considerazione dei poteri di amministrazione e controllo
attribuitigli dalla legge), non può dirsi inadeguata o illogica; con essa il ricorrente ha
omesso uno specifico confronto critico, essendosi limitato a ribadire l’insufficienza di tale
elemento per ritenere provato il pagamento delle retribuzioni e l’ignoranza dello stesso
da parte sua, censurando un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, in tal
modo proponendo una doglianza non consentita, in presenza di motivazione idonea, nel
giudizio di legittimità.

1

mese di settembre 2010, ammontanti a euro 17.693,00).

Anche la doglianza relativa alla mancanza di intenzionalità della condotta,
essendo la stessa addebitabile alla crisi finanziaria della cooperativa amministrata dal
ricorrente, è manifestamente infondata.
Va anche a questo proposito ricordato il consolidato orientamento interpretativo
di questa Corte, secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di
provvedere ai pagamenti omessi, occorrono l’allegazione e la prova della non
addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della

misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv.
259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del
09/09/2015, Mondini, Rv. 265262).
Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la
dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’ente
previdenziale a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto
tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono
al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; conf.
Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013,
Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014).
Al riguardo la Corte d’appello ha evidenziato la genericità della prospettazione
dell’imputato, nonché la sussistenza dell’obbligo di provvedere progressivamente
all’accantonamento delle somme trattenute sulle retribuzioni (per poter poi provvedere al
loro versamento) e la configurabilità di tale obbligo anche nelle società cooperative: si
tratta di considerazioni del tutto corrette e conformi al ricordato orientamento
interpretativo, con le quali l’imputato ha, in realtà, omesso di confrontarsi, riproponendo
le medesime doglianze, già adeguatamente confutate e motivatamente disattese dai
giudici di merito, senza nulla aggiungere circa il suddetto stato di crisi dell’impresa e le
dimensioni della stessa, con la conseguente genericità anche intrinseca della censura,
che risulta poi manifestamente infondata quanto alla insussistenza nelle società
cooperativa dell’obbligo di accantonare le somme dovute all’ente previdenziale,
sussistendo tale obbligo in presenza di rapporti di lavoro subordinato, dunque anche nelle
società cooperative, a carico del legale rappresentante.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, a causa della genericità e della
manifesta infondatezza delle doglianze cui è stato affidato.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che non vi sono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.

2

impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a

pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2018
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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