Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17034 del 17/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17034 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MATTEO RAFFAELE N. IL 28/01/1964
avverso l’ordinanza n. 1227/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
BOLOGNA, del 03/02/2015

Data Udienza: 17/02/2016

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;
lette/s, le conclusioni del PG Dott. jsev1/410 1.1.z
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Qezi,

Uditi difensor Avv.;

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 febbraio 2015, il Tribunale di sorveglianza di Bologna rigettava
le richieste formulate da Di Matteo Raffaele, tendente a ottenere il differimento
dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147 cod. pen. e/o la concessione della
misura alternativa della detenzione domiciliare.
A ragione, rilevava che il differimento dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 147
cod. pen., può essere concesso quando la gravità della malattia dia luogo a una

impossibile o eccessivamente difficile il ricorso ai trattamenti sanitari necessari a
fronteggiare adeguatamente i danni o i pericoli che la malattia stessa produce, pur
tenendo conto delle possibilità offerte, anche in costanza di regime detentivo, di
effettuare interventi diagnostici e terapeutici mediante il servizio sanitario carcerario o
mediante ricovero in centri clinici dell’Amministrazione penitenziaria, ovvero mediante il
ricovero in luoghi esterni di cura; e che, a tal fine, è necessario anche che l’infermità
fisica raggiunga un livello tale da collidere con il senso di umanità e con il principio di
tutela della salute, garantiti costituzionalmente.
Riteneva, che, nel caso di specie, la patologia della quale era affetto il Di Matteo, pur
delicata, era trattabile, allo stato, anche in ambiente carcerario e che, non potendosi
effettuare una prognosi di assenza di pericolo che il condannato, soggetto di elevata
pericolosità sociale, possa commettere altri reati, non sussistevano le condizioni per la
concessione della detenzione domiciliare.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione personalmente il
condannato, il quale, con un duplice motivo, ha denunciato violazione di legge e difetto
di motivazione.
Ha, in proposito, evidenziato di essere stato vittima di un infarto al miocardio con
conseguenze sulla funzione cardiaca stessa; che per tale motivo era stato giudicato
invalido al 74%; che gli era stato impiantato anche un dispositivo elettrico utilizzato nei
pazienti a rischio di morte cardiaca improvvisa (ICD); che le relazioni mediche sul suo
stato di salute erano allarmanti.
E ha sostenuto che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la
necessità di disporre il differimento della pena o di concedergli la misura della
detenzione domiciliare, in quanto il suo stato di salute, integrante pericolo per la sua
vita, sarebbe incompatibile con il regime carcerario perché contrario al senso di
umanità; che le patologie da cui risulta affetto sarebbero così gravi da escludere la sua
pericolosità e soprattutto la capacità dello stesso di avvertire l’effetto rieducativo del
2

situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione, nel senso che tale stato rende

trattamento penitenziario; che l’ordinanza sarebbe, altresì, affetta da difetto di
motivazione nella parte in cui non avrebbe valutato le favorevoli informative dei
Carabinieri di Piombino.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale di questa Corte, dott. Antonio
Gialanella, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

principi di diritto più volte affermati da questa Corte in punto di legittimità del rigetto di
istanza di differimento dell’esecuzione della pena e di applicazione della detenzione
domiciliare per motivi di salute.
E in vero, secondo la giurisprudenza di legittimità, “la valutazione sull’incompatibilità
tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del recluso, ovvero sulla
possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente
debilitata e/o ammalata costituisca trattamento inumano o degradante, va effettuata
tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione,
e implica un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici
posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle possibilità di
cura e assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto” (Cass.
Sez. 1, 5.7.2011, n. 30495, rv. 251478; conformi: Cass. Sez. 1, 8.1.2013, n. 5732, rv.
254509; Cass. Sez. 1, 24.1.2011, n. 16681, rv. 249966; Cass. Sez. 1, 8.5.2009, n.
22373, rv. 244132).
La Corte di cassazione ha, inoltre, affermato che “il provvedimento di rigetto della
richiesta di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica è affetto da
vizio di motivazione solo se l’omesso riferimento alle necessità di tutela del diritto alla
salute e al divieto di trattamenti contrari al senso di umanità si combina con l’accertata
sussistenza di un quadro patologico particolarmente grave, capace ictu °cuii di essere
causa di una sofferenza aggiuntiva proprio per effetto della privazione dello stato di
libertà, nonostante il regime di detenzione possa assicurare la prestazione di adeguate
cure mediche (Cass. Sez. 1, 24.6.2014, n. 32882, rv. 261414).
2. Tanto premesso, osserva il Collegio che il giudice a quo ha apoditticamente ritenuto
la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute del Di Matteo senza,
però, motivare sul perché, nella fattispecie, non si verterebbe in un caso di patologia
implicante un pericolo per la vita dello stesso ovvero uno stato morboso capace di
determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi
anche nella condizione di restrizione carceraria.
3

1. L’argomentare del Tribunale di sorveglianza di Bologna non appare congruo ai

E ciò tanto più che la decisione impugnata si fonda su una lettura gravemente
omissiva degli elementi di fatto risultanti dagli accertamenti clinici e sanitari svolti sulla
persona del condannato e, in particolare, dalla relazione del primario del reparto
dell’ospedale civile di Parma che aveva concluso evidenziando che “il quadro ipertensivo
pone il paziente a elevatissimo rischio cardiovascolare considerando le comorbosità
presenti”.
3. Parimenti incongrua appare la motivazione del giudice

a quo

relativa alla

delle informazioni dei Carabinieri di Piombino, che avevano riferito che i parenti del Di
Matteo sono soggetti non aventi rapporti con la criminalità organizzata; peraltro, la
decisione impugnata non è adeguatamente motivata nella parte in cui non ha chiarito il
perché lo stato di salute del Di Matteo non possa escludere qualsivoglia possibilità di
autonome condotte delittuose.
Conseguentemente, la decisione del Tribunale di sorveglianza di Bologna va annullata
con rinvio al medesimo giudice affinché riesamini la domanda del condannato dando
conto di tutti gli esiti degli accertamenti sanitari, compitamente argomentando in ordine
alla compatibilità delle patologie in atto col regime carcerario anche in relazione al
senso di umanità che, per i principi costituzionali, deve permeare il regime detentivo;
quanto alla pericolosità sociale del Di Matteo, il giudice del rinvio dovrà provvedere a
darne adeguata dimostrazione attraverso la qualificazione criminale delle condotte
commesse e l’apprezzabilità, in concreto, di un pericolo attuale di recidivanza.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di
Bologna.
Così deciso»: 17 febbraio 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

pericolosità del condannato, essendo stata la stessa fondata su una lettura omissiva

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