Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1703 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1703 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Sapienza Paolo, nato a Catania il 31/10/1963
2. Russo Salvatore, nato a Catania il 18/01/1967
3. Ruccella Gaetano, nato a Catania 1’11/09/1973
4. Alosi Carmelo, nato a Catania il 05/12/1957
5. Bonfiglio Carmelo, nato a Catania il 25/07/1958
6. Fontanarosa Michele, nato a Catania il 13/04/1957
7. Pillera Salvatore, nato a Catania il 23/04/1954
8. Spalletta Giacomo Pietro, nato a Catania 1’01/07/1961
9. Strano Stellario Antonino, nato a Catania il 05/03/1954

avverso la sentenza del 29/05/2012 della Corte d’Appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Oscar
Cedrangolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sen enza

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Data Udienza: 24/10/2013

impugnata per il Ruccella in ordine alla diminuzione di pena ai sensi dell’art. 8
legge n. 203 del 1991 ed alle attenuanti generiche e per il Russo e lo Strano
Stellario in ordine alla continuazione, per l’inammissibilità dei ricorsi del
Bonfiglio, del Fontanarosa e dell’Alosi e per il rigetto nel resto;
uditi per l’imputato Sapienza l’avv. Giuseppe Riccardo Napoli, per l’imputato
Russo l’avv. Santino Foresta, per l’imputato Ruccella l’avv. Teresa Gigliotti, per
l’imputato Alosi l’avv. Salvatore Pappalardo, per l’imputato Bonfiglio l’avv. Maria
Caterina Caltabiano, per l’imputato Fontanarosa l’avv. Salvatore Catania

Marina Di Gregorio, per l’imputato Spalletta l’avv. Valeria Rizzo, che hanno
concluso per raccoglimento dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale
di Catania del 13/01/2011, veniva confermata l’affermazione di responsabilità di
Carmelo Alosi, Carmelo Bonfiglio, Michele Fontanarosa, Salvatore Pillera,
Salvatore Russo, Paolo Sapienza, Giacomo Pietro Spalletta e Antonino Strano
Stellario per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen, commesso dal Pillera e dallo
Strano Stellario dirigendo e dagli altri partecipando ad un’associazione di tipo
mafioso denominata Pillera Puntina, operante nella provincia di Catania fino al
giugno del 2006 nella commissione di reati di omicidio, rapina, furto, estorsione,
usura, riciclaggio, traffico di stupefacenti e detenzione illegale di armi, oltre che
nell’acquisizione del controllo di attività economiche ed appalti pubblici; e quella
del Russo e di Gaetano Ruccella per il reato di cui agli artt. 629 cod. pen. e 7
legge 12 luglio 1991, n. 203, commesso fino al 2004 costringendo Salvatore
Fichera, titolare del bar Dalia di Catania, con minacce alla sua incolumità
personale ed all’integrità dei suoi beni, a consegnare la somma mensile di C.
1.000, buoni pasto e capi di abbigliamento, avvalendosi della loro appartenenza
all’associazione mafiosa di cui sopra ed al fine di agevolare le attività della
stessa. Venivano altresì confermate le condanne dell’Afosi alla pena di anni nove
e mesi quattro di reclusione; del Bonfiglio alla pena complessiva di anni undici di
reclusione in continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte d’Appello di
Catania del 30/03/2009; del Fontanarosa alla pena di anni nove e mesi quattro
di reclusione; del Pillera alla pena di anni uno di isolamento diurno a titolo di
aumento per la continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte d’Assise
d’Appello di Caltanissetta del 23/07/2008; del Russo alla pena di anni due e mesi
sei ed C. 450 di multa a titolo di aumento per la continuazione con i fatti di cui
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(

I.

Miiiluzzo e per gli imputati Pillera e Strano Stellario, e, in sostituzione dell’avv.

alla sentenza della Corte d’Appello di Firenze dell’11/03/2008; del Sapienza alla
pena di anni nove e mesi quattro di reclusione; dello Spalletta alla pena
complessiva dì anni undici e mesi quattro di reclusione per la continuazione con i
fatti di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Catania dell’01/02/2005; e dello
Strano Stellario alla pena di anni tredici e mesi quattro di reclusione. La pena nei
confronti del Ruccella veniva invece rideterminata, ritenuta la continuazione con i
fatti di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Catania del 30/03/2009, in anni
tre e mesi quattro di reclusione.
Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. I ricorsi proposti dagli imputati, ad eccezione del Russo, riguardano in
primo luogo l’affermazione di responsabilità per i reati contestati.
1.1. Con particolare riguardo al reato associativo, i ricorrenti Pillera, Strano
Stellario ed Alosi deducono in linea generale carenza motivazionale nella
necessaria valutazione di attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia sulle quali la prova è prevalentemente fondata, questione ripresa poi in
tutti i ricorsi con riferimento a profili specificamente attinenti alle singole
posizioni. Ulteriore censura di portata generale, posta quale motivo espresso dal
ricorrente Bonfiglio ed accennata in premessa nel ricorso proposto dallo Strano
Stellario, ha ad oggetto la dedotta contraddittorietà della motivazione con la
pronuncia di questa Corte del 10/01/2012, con la quale veniva annullata con
rinvio la sentenza di condanna nei confronti dei coimputati giudicati con il rito
abbreviato. Comune a più ricorsi è infine la deduzione di violazione di legge
rispetto alla effettiva collocazione temporale delle condotte di partecipazione
all’associazione, in base agli stessi elementi riportati nella sentenza impugnata,
in epoca anteriore a quella indicata nell’imputazione.
1.2. Il ricorrente Pillera deduce illogicità della motivazione nel riferimento
alle dichiarazioni dei collaboratori Maurizio Toscano e Francesco Viola, laddove le
stesse erano generiche, prive di riscontri e, quanto a quelle del Toscano,
contrastanti con le risultanze di altre sentenze in ordine a disposizioni impartite
agli associati dopo il 1992, allorchè la direzione dell’associazione era stata
assunta da Salvatore Cappello, particolarmente dal momento in cui il Pillera era
detenuto. Lamenta altresì travisamento delle dichiarazioni dei collaboratori
Salvatore Palermo, Giovanni Pantellaro e Gaetano Ruccella, dalle quali risultava
in realtà che dal 1993 l’associazione operava con il solo nome del Pillera ed era
in realtà diretta dal Cappello, e delle conversazioni ambientali dell’imputato con
la moglie e la figlia intercettate presso il carcere di Sulmona, riportanti solo la
comunicazione al Pillera di notizie sull’attività di un gruppo criminoso che gli era

fl

ormai estranea.

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1.3. Il ricorrente Strano Stellario deduce mancanza di motivazione sulle
specifiche incongruenze evidenziate con i motivi di appello nelle dichiarazioni del
Toscano in ordine agli episodi nei quali sarebbe intervenuto l’imputato, ed
illogicità del generico giudizio di ininfluenza di tali numerose discrasie sulla
complessiva attendibilità del dichiarante. Lamenta ancora mancanza di
motivazione sulle contraddizioni, sia intrinseche sia rispetto a quanto riferito dal
Toscano, segnalate con l’appello nelle dichiarazioni del Palermo, in ordine ad
altre circostanze che avrebbero visto la comparsa dell’imputato, ed in quelle
degli altri collaboratori Filippo Malvagna e Gaetano D’Aquino. Denuncia poi
illogicità del richiamo alle conversazioni ambientali intercettate presso il carcere
di Sulmona fra il Pillera ed i familiari nel momento in cui gli stessi giudici di
merito ammettevano come le stesse potessero avere il duplice e contrastante
significato di un rapporto dello Strano Stellario con il sodalizio e della
dissociazione dell’imputato dallo stesso, e mancanza di motivazione sugli
elementi indicativi di tale dissociazione emergenti dalle sentenze acquisite e dalle
dichiarazioni del collaboratore Viola. Deduce infine contraddittorietà delle
conclusioni della sentenza impugnata, nell’affermazione della comparsa
dell’imputato, quale capo dell’associazione, solo in momenti critici della stessa,
rispetto alla mancata individuazione di tali momenti e, più in generale, di contatti
dello Strano Stellario con gli associati.
1.4. Il ricorrente Sapienza deduce mancanza di motivazione sull’attendibilità
intrinseca del Toscano rispetto all’aver questi intrapreso la propria collaborazione
solo dopo una condanna definitiva per il reato di omicidio. Lamenta comunque
illogicità del riferimento a dette dichiarazioni in quanto generiche ed imprecise
sui fatti attribuiti specificamente all’imputato, per i quali significativamente non
veniva elevata alcuna imputazione. Denuncia ancora contraddittorietà della
motivazione rispetto a circostanze, contrastanti con l’affiliazione dell’imputato
all’associazione, emergenti dalle stesse dichiarazioni dei collaboratori, quali lo
stato di tossicodipendenza del Sapienza, riferito dal Toscano, ed il rapporto
gregario dell’imputato con lo stesso Toscano, descritto dal Ruccella e dal
Palermo. Deduce infine illogicità dell’indicazione di riscontri in dichiarazioni
generiche e meramente de relato dei collaboratori Palermo e Pantellaro, in
intercettazioni ambientali non significative e in frequentazioni con altri associati
osservate in un ristretto periodo fra la fine di settembre ed il novembre del 2002.
1.5. Il ricorrente Spalletta deduce mancanza di motivazione sulle ragioni di
inattendibilità dei collaboratori Toscano e Palermo derivanti dall’assoluzione in
altro procedimento di Carmelo Giuffrida, Salvatore Recupero e Giuseppe Strano e
dall’annullamento con rinvio in cassazione della sentenza di condanna di Vittorio
Puglisi, anch’essi raggiunti dalle dichiarazioni dei predetti. Lamenta poi
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contraddittorietà della motivazione con le stesse narrazioni dei collaboratori
Toscano, Salvatore Russo, Pantellaro, Ruccella, Salvatore Marchese, Giuseppe

-41 Durante, Giuseppe Laudani ed Eugenio Sturiale e talune intercettazioni
ambientali, riferite ad epoche coperte dal giudicato della precedente sentenza
della Corte d’Appello di Catania dell’01/12/2005, e con la maggior parte delle
intercettazioni e i controlli di polizia giudiziaria, risalenti a date posteriori al
periodo temporale oggetto dell’imputazione, denunciando per questo secondo
aspetto anche violazione del principio della contestazione; nonché illogicità della

precedente sentenza in base alle dichiarazioni del Palermo, delle quali i motivi di
appello evidenziavano le incongruenze, ed ai non significativi contenuti di
un’isolata conversazione ambientale, di telefonate intercettate con la ex-moglie e
degli accertamenti su frequentazioni con altri associati. Censura infine mancanza
di motivazione sui riscontri delle dichiarazioni dei collaboratori, in realtà riferite a
condotte diverse, e sull’essere stato l’imputato continuativamente detenuto dal
28/02/2000 al 14/02/2005 senza che nessuno dei dichiaranti riferisse di reati
commessi durante tale restrizione.
1.6. Il ricorrente Alosi deduce illogicità della motivazione in quanto fondata
su dichiarazioni di collaboratori prive di riscontri, tale non essendo la
convergenza delle stesse sulla generica affermazione della partecipazione
dell’imputato all’associazione, e mancanza di motivazione sulle viceversa
rilevanti contraddizioni fra le predette dichiarazioni e sulle incongruenze
segnalate in particolare nel racconto del Toscano.
1.7. Il ricorrente Bonfiglio deduce mancanza di motivazione sulla rilevata
inadeguatezza delle dichiarazioni del Toscano ad evidenziare la commissione, da
parte dell’imputato, di condotte successive al 23/12/1998, data fino alla quale i
fatti sono coperti dal precedente giudicato della sentenza del Tribunale di Catania
con la quale il Bonfiglio veniva assolto da analoga imputazione; nonché sulla
ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori, in quanto non
riportanti conoscenze dirette, in ordine agli episodi specifici nei quali l’imputato
sarebbe intervenuto, di cui alla sentenza emessa nel procedimento a carico di
Silvio Battaglia ed altri ed alla già citata pronuncia della Corte di Cassazione del
10/01/2012. Lamenta comunque violazione di legge nella mancanza di riscontri
su tali episodi e travisamento delle dichiarazioni dell’imputato sulla ritenuta
ammissione dello stesso in ordine al particolare episodio dell’aggressione in
danno di tale Tropea, appartenente ad altra associazione criminosa, ad opera di
parenti del Bonfiglio.
1.8. Il ricorrente Fontanarosa deduce illogicità della motivazione, laddove,
nel prendere atto della presenza di dichiarazioni di collaboratori che indicavano
5

ritenuta prova di condotte dell’imputato successive a quelle giudicate con la

l ‘imputato come «avvicinato» e in posizione subordinata rispetto a quello del
fratello Franco, e non come partecipante all ‘associazione, vi si riteneva di poter
superare tale dato in base a condotte, concretamente descritte dai dichiaranti,
che qualificavano il Fontanarosa come associato; censurando a tal proposito la
mancata indicazione di tali condotte al di fuori di un ‘attività di furto di
autovetture svolta autonomamente su veicoli che non era provato fossero stati
posti a disposizione dell ‘associazione, dell ‘episodio estorsivo in danno del bar
Dalia, non contestato all ‘imputato, e nel non significativo rinvenimento di
munizioni nell ‘abitazione dei genitori del Fontanarosa. Lamenta altresì carenza di
motivazione sull ‘assenza di precedenti specifici dell ‘imputato, sul mancato
riferimento allo stesso nelle precedenti sentenze emessa con riguardo alla stessa
associazione e sull ‘inverosimiglianza dell ‘aver il Fontanarosa intrapreso tale
attività delittuosa in età ormai avanzata.
1.9. Il ricorrente Ruccella deduce mancanza di motivazione sull ‘effettivo
contributo dell ‘imputato nell ‘estorsione in danno del bar Dalia al di là dell ‘aver
accompagnato il coimputato Fontanarosa, e contraddittorietà con l ‘assenza di
indicazioni in tal senso nelle dichiarazioni della parte offesa e del collaboratore
Salvatore Russo.
2.

Sulla ritenuta aggravante del carattere armato dell ‘associazione, il

ricorrente Spalletta deduce illogicità della motivazione in quanto fondata sulle
sole dichiarazioni del Toscano in ordine alla disponibilità di armi da parte
dell ‘imputato.
3. Sull ‘applicazione della recidiva, il ricorrente Spalletta deduce violazione di
legge nel riferimento della circostanza ad una precedente condanna per fatti in
ordine ai quali veniva ritenuta la continuazione con quelli oggetto del presente
procedimento, dando luogo ad un ‘unica condotta associativa con carattere di
permanenza. Lamenta altresì mancanza di motivazione sui presupposti per
l ‘aumento di pena, da ritenersi facoltativo in assenza di una specifica
contestazione della fattispecie di cui all ‘art. 99, comma quinto, cod. pen., e
contraddittorietà con la mancata applicazione di tale aumento nei confronti del
coimputato Fabrizio Pappalardo, giudicato con il rito abbreviato quale
responsabile del sottogruppo dell ‘associazione del quale faceva parte lo
Spalletta.
4.

Sul diniego della continuazione, il ricorrente Strano Stellario deduce

mancanza di motivazione in ordine alla riconducibilità al medesimo disegno
criminoso dei fatti qui contestati e di quelli di cui la sentenza di condanna della
Corte d ‘Assise d ‘Appello di Catania del 21/12/1999.
5. Sull ‘attenuante di cui all ‘art. 8 legge 12 luglio 1991, n. 203, il ricorrente
Ruccella deduce illogicità della determinazione della relativa diminuzione in
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misura diversa da quella massima rispetto all’essere le condanne degli imputati
conseguenza di dichiarazioni di assoluto rilievo dell’imputato.
6. Sul diniego delle attenuanti generiche i ricorrenti Ruccella e Russo
deducono violazione di legge nel ritenuto assorbimento di dette attenuanti in
quella di cui all’art. 8 legge n. 203 del 1991. Nei ricorsi proposti dai predetti e
dagli imputati Afosi, Bonfiglio e Spalletta si lamenta inoltre mancanza di
motivazione con riguardo per il Russo al riconoscimento delle attenuanti con la
sentenza rispetto alla quale veniva ritenuta la continuazione ed al mutamento
delle condizioni di vita dell’imputato, per l’Alosi alla limitazione della condotta
all’anno 2003 ed al carattere risalente dei precedenti penali dell’imputato e per lo
Spalletta alla detenzione continuativamente subita.
7. Sulla determinazione della pena, i ricorrenti Pillera, Strano Stellario,
Sapienza, Spalletta, Afosi e Fontanarosa deducono violazione di legge e
mancanza di motivazione nel riferimento alla più grave pena edittale introdotta
per l’art. 416-bis cod. pen. dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, nonostante
risulti dagli atti, al di là della formale contestazione della commissione del reato
fino al giugno del 2006, l’esaurimento delle condotte in epoca anteriore
all’entrata in vigore della legge citata. Il ricorrente Russo lamenta violazione di
legge nella determinazione del reato più grave, nell’ambito della riconosciuta
continuazione, in quello di rapina di cui alla sentenza della Corte d’Appello di
Firenze dell’11/03/2008 e non in quello di estorsione qui contestato, nonché
nell’applicazione dell’aumento di pena ai sensi dell’art. 81 cod. pen. nonostante
per la ritenuta continuazione in sede esecutiva dei fatti di cui alla sentenza
fiorentina con quelli di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Venezia del
20/12/2007 sia stato già stabilito, con ordinanza della Corte di Appello di Ancona
del 05/07/2010 allegata al ricorso, un aumento nella misura massima del triplo
della pena-base.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso relativi all’affermazione di responsabilità degli imputati
sono infondati e, quanto al ricorso proposto dal Roccella, inammissibili.
1.1. Infondate sono in primo luogo le censure dedotte in via generale sul
reato associativo.
1.1.1. La questione dell’attendibilità dei collaboratori, sulla quale i ricorrenti
Pillera, Strano Stellario ed Alosi lamentano mancanza di adeguata motivazione,
era in realtà oggetto di dettagliato esame nella sentenza impugnata con riguardo
alle posizioni dei singoli dichiaranti. Segnalandosi in particré per Maurizio
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Toscano, individuato come autore di una serie di estorsioni commesse quale
responsabile del sottogruppo associativo cosiddetto «del Borgo», le ragioni che lo
avevano indotto ad intraprendere la collaborazione in seguito a un periodo di
latitanza, l’ammissione della responsabilità per gravi fatti di sangue, i riferimenti
ad episodi specifici e rilevanti in quanto attinenti a rapporti con altri sodalizi
criminosi, quale il pestaggio di tale Nuccio Tropea, appartenente al

dan

Santapaola, a seguito dell’aggressione di parenti di Carmelo Bonfiglio ad opera di
appartenenti a tale gruppo, e gli elementi di riscontro derivanti dai sequestri di
armi, dalle videoriprese, dalle dichiarazioni delle vittime dell’attività estorsiva e
dalle conversazioni registrate con riferimento a detta attività su un’autovettura in
uso al coimputato Vincenzo Rapisarda; per Salvatore Palermo la spontaneità
della collaborazione, la linearità e la coerenza di dichiarazioni peraltro
autoaccusatorie e l’ininfluenza sulla complessiva credibilità del dichiarante del
giudizio negativo in merito all’attendibilità dei riferimenti alla posizione di
Giovanni Pistorio, imputato in un procedimento separato; per Salvatore e
Giuseppe Russo l’ampiezza delle dichiarazioni confessorie, relative anche a fatti
per i quali gli stessi non erano indagati; per Giovanni Pantellaro, Filippo
Malvagna, Salvatore Marchese e Natale Di Raimondo, quest’ultimo avente
posizione direttiva nel

dan Santapaola, la datazione dell’inizio della loro

collaborazione, risalente rispettivamente al 2002, al 1994, al 1995 ed al 1998, la
distanza nel tempo dei fatti riferiti dal Marchese ed il giudizio di attendibilità già
formulato per gli altri in precedenti sentenze passate in giudicato; e per il
coimputato Ruccella l’inizio della collaborazione al 2004 e la puntualità delle sue
dichiarazioni, che avevano consentito l’accertamento di numerosi reati.
Sulla base dei contributi dei collaboratori e delle precedenti sentenze
definitive, i giudici di merito ricostruivano l’esistenza sul territorio catanese, dagli
anni Ottanta, di un’associazione mafiosa facente capo fin dall’inizio a Salvatore
Pillera e, da un dato momento, anche a Salvatore Cappello; le cui due
componenti, riconducibili ai sunnominati, andavano incontro negli anni successivi
a fasi di separazioni e di ricomposizione, fino alla definitiva scissione, accertata
con la sentenza della Corte d’Appello di Catania del 30/03/2009, di
un’associazione che assumeva la denominazione di Pillera Puntina. Quest’ultima,
per quanto emerso dalle dichiarazioni dei collaboratori e dal riscontro delle
stesse in videoriprese, perquisizioni, sequestri, intercettazioni e sentenze
definitive della Corte d’Assise d’Appello di Catania, risultava articolata in più
gruppi operanti in diverse zone di Catania, essendo però dotata di armi e di una
cassa comune.
1.1.2. Quanto alla dedotta contraddittorietà rispetto alla sentenza di
annullamento con rinvio della decisione di condanna emessa dalla Corte
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d’Appello di Catania il 09/07/2010 nei confronti dei coimputati, giudicati con il
rito abbreviato, Giovanni Di Grazia, Carmelo Palermo, Vittorio Puglisi, Carmelo
Sicali e Antonino Valenti, pronunciata il 10/01/2012 da questa Corte, le stesse
ragioni di detto annullamento escludono la sussistenza del contrasto. Dalla
lettura della motivazione della sentenza in esame risulta infatti come la stessa
sia fondata unicamente su carenze argomentative proprie di quel provvedimento
e di quelle determinate posizioni processuali, individuate in ritenute apoditticità
delle conclusioni raggiunte in quella sede e nel mancato esame di censure

procedimento.
1.1.3. Per ciò che riguarda infine la delimitazione temporale delle condotte
associative, la sentenza impugnata richiamava correttamente per un verso la
natura indiscutibilmente permanente del reato di associazione di tipo mafioso, e
per altro il principio, più volte affermato da questa Corte, per il quale il vincolo
del singolo associato con il sodalizio si stabilisce nella prospettiva della
persistenza di quest’ultimo per tempo indeterminato, e si protrae fino allo
scioglimento dell’associazione ovvero al recesso volontario dell’associato,
desunto da un comportamento in tal senso esplicito, coerente ed univoco; tali
non essendo elementi di incerto significato quali l’età raggiunta dall’associato, la
fissazione della dimora di questi in luogo diverso da quello in cui opera
l’associazione o il mutamento dei soggetti apicali di quest’ultima (Sez. 6, n. 3089
del 21/05/1998 (08/03/1999), Caruana, Rv. 213570; Sez. 2, n. 25311 del
15/03/2012, Modica, Rv. 253070).
Altrettanto corretto era il riferimento della Corte territoriale all’impossibilità
di desumere il recesso dall’associato dalla mera circostanza dello stato di
detenzione dello stesso, in mancanza di ulteriori elementi indicativi di un’effettiva
dissociazione dal sodalizio (Sez. 4, n. 2893 del 07/12/2005, Attolico, Rv.
232883; Sez. 2, n. 17100 del 22/03/2011, Curtopelle, Rv. 250021).
Coerente è a questo punto la conclusione, espressa in termini generali dai
giudici di merito con riguardo alla disciplina sanzionatoria applicabile, ma valida
per tutte le questioni poste dai ricorrenti in ordine alle quali rileva la
determinazione del tempo di commissione del reato, secondo la quale, pur in
presenza di elementi che collochino specifiche condotte associative degli imputati
in epoche anteriori, la permanenza del reato deve ritenersi protratta fino alla
data ultima indicata nell’imputazione al giugno del 2006, ove non ricorrano
circostanze significative del recesso dell’associato, nei termini sopra descritti.
1.2. Venendo alle posizioni dei singoli imputati, l’affermazione di
responsabilità del Pillera era motivata, con riguardo alle dichiarazioni dei
collaboratori, in base a quelle del Toscano sui contatti tenuti dall’imputato con gli
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sollevate con gli atti di appello proposti in favore degli imputati in quel

altri affiliati nel corso della detenzione, la percezione dei proventi di reati quali
un’estorsione in danno della Elco e l’acquisto di una sala biliardo gestita da
Giovanni Pistorio; del Palermo sulla posizione del Pillera quale capo storico
dell’associazione e sulle lamentele dello stesso per la mancata ricezione di
sostegni economici nell’ultimo periodo della sua carcerazione; del Pantellaro sulle
comunicazioni del Pillera con l’esterno anche dopo l’inizio della sua detenzione e
la considerazione di cui lo stesso godeva come capo dell’associazione; del
Ruccella sui messaggi che il Pillera inviava dal carcere incaricando gli associati di

tali messaggi, riferiti alla manifestazione del dissenso del Pillera su faide con altri
gruppi criminali. E, con riguardo agli elementi di riscontro, nel richiamo alle
intercettazioni ambientali di colloqui intrattenuti dal Pillera con i familiari presso il
carcere di Sulmona, dalle quali risultava che l’imputato comunicava con la sorella
mediante un linguaggio allusivo simile a quello ricorrente nelle conversazioni
intercettate fra gli altri membri dell’associazione, riferiva di numerose vicende
dell’associazione mafiosa ed inviava messaggi ad associati, quali lo Strano
Stellario, invitandoli fra l’altro a non spendere il suo nome in termini ricollegabili
al suo ruolo associativo.
La persistenza di tale ruolo fino alla data terminale indicata nell’imputazione
veniva congruamente argomentata con riferimento all’irrilevanza, per quanto
anticipato al punto 1.1.3, dello stato di detenzione dell’imputato, e sulla base dei
riferimenti delle conversazioni ambientali intercettate a fatti avvenuti ancora nel
corso di tale detenzione, a messaggi con altri affiliati tendenti a riaffermare la
preminenza dell’imputato, ad accadimenti che si sarebbero verificati con il ritorno
del Pillera in libertà ed all’indicazione non esplicita di altri soggetti in posizione
direttiva.
Il denunciato vizio di travisamento del contenuto di dette conversazioni si
traduce in realtà nella proposizione di una diversa interpretazione di tale
contenuto, oggetto di una valutazione di fatto rimessa all’apprezzamento del
giudice di merito (Sez. 4, n. 117 del 28/10/2005, Caruso, Rv. 232626; Sez. 2, n.
38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994; Sez. 6, n. 17619 dell’08/01/2008,
Gionta, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 dell’11/02/2013, Melfi, Rv. 2544389). Le
ulteriori censure di illogicità della motivazione, in quanto fondata su dichiarazioni
di collaboratori generiche, non riscontrate e contrastanti con quanto affermato in
altre sentenze e da taluni degli stessi collaboratori su un ruolo sovraordinato di
Salvatore Cappello nel periodo in cui il Pillera era detenuto, sono a questo punto
superate dal riscontro individuato dai giudici di merito nelle risultanze delle
intercettazioni, e dalla coerente conclusione, in base a queste ultime, della
persistenza di un’attività dispositiva del Pillera, anche nei rapport5con soggetti
10

concludere alcune operazioni estorsive; e del Viola su notizie ricevute in ordine a

liberi in posizione direttiva. Assumendo rilievo centrale, nell’assetto
argomentativo della sentenza impugnata, il richiamo al linguaggio convenzionale
adottato dal Pillera nei colloqui svolti durante la detenzione, in quanto
circostanza incompatibile con un’abdicazione dell’imputato dal proprio rango
originario.
1.3. L’affermazione di responsabilità dello Strano Stellario era motivata, con
riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori, in base a quelle del Toscano sulla
collocazione dell’imputato, nella compagine associativa, ad un livello analogo a

dichiarante era presente, nella prima delle quali si discuteva di contrasti insorti
con il gruppo Bottaro di Siracusa per un’estorsione commessa in quella città in
danno della Elco, impresa vicina a quel gruppo, e nella seconda, svoltasi in un
ristorante di Aci Trezza, l’imputato gli diceva che se egli si fosse si fosse separato
dal gruppo non avrebbe più potuto agire a nome del Pillera, sull’imposizione da
parte dello Strano Stellario di una metodologia operativa per la quale ogni
gruppo avrebbe dovuto agire autonomamente dagli altri e sull’aver il predetto
commissionato l’omicidio di tale Giuseppe Rannisi; del Palermo sull’aver
l’imputato operato con il suo gruppo in Torino dopo un periodo di carcerazione,
sull’essere lo stesso tornato a Catania dopo in pestaggio subito da tale Nuccio
Tropea, appartenente al dan Santapaola, a seguito di contrasti dell’associazione
Pillera con quest’ultimo, sulle disponibilità economiche e gli interessi nel campo
dell’imprenditoria dello Strano Stellario e su una lite da questi avuta con il
cognato; del Russo sulla posizione di vertice dell’imputato nell’associazione e su
quanto appreso da Francesco Fontanarosa in ordine alla lite fra il predetto ed il
cognato; del Pantellaro, del Viola, del Laudani e del Malvagna, quest’ultimo per
quanto allo stesso riferito dal cugino Piero Puglisi, sull’aver l’imputato diretto
l’associazione pur rimanendo apparentemente in ombra; del Di Giacomo
sull’ordine ricevuto dal gruppo Laudani, del quale faceva parte, di uccidere lo
Strano Stellario; e del D’Aquino sugli investimenti dell’imputato nel campo
dell’edilizia e sul suo coinvolgimento in un’estorsione in danno di tale Alessi.
Riscontri a queste dichiarazioni erano identificati nelle dichiarazioni del
collaboratore siracusano Piccione sull’estorsione in danno della Elco, nella
sentenza della Corte d’Assise di Siracusa relativa a tale vicenda, nelle
dichiarazioni del Palermo e del Ruccella sui contrasti fra il Toscano e
l’associazione, e nel contenuto delle intercettazioni effettuate presso la Casa
circondariale di Sulmona in ordine ai riferimenti del Pillera alle disponibilità
economiche ed agli interessi dello Strano Stellario nell’ambiente dell’edilizia ed
all’intenzione di non avere contatti con lo stesso; e soprattutto, conclusivamente,
nella convergenza delle dichiarazioni sul ruolo sostanziale attrib all’imputato.
11

quello del Pillera, sull’aver lo stesso diretto due riunioni, a cui lo stesso

Le doglianze di mancanza di motivazione sulle asserite contraddizioni fra le
dichiarazioni dei collaboratori e, con particolare riferimento al narrato del
Toscano, all’interno delle stesse, è infondata nel momento in cui i rilievi venivano
viceversa discussi nella sentenza impugnata; osservando la Corte territoriale,
con argomentazione che si sottrae alle censure di illogicità pure sollevate dal
ricorrente, che la portata di tali incongruenze era marginale rispetto ai ben più
rilevanti profili di coincidenza fra le dichiarazioni, e segnalandosi in particolare la
manifestata e credibile dipendenza da mere imprecisioni mnemoniche delle
discrasie temporali nel racconto del Toscano, e la concordanza di quanto riferito
da quest’ultimo e dal Piccione, pur provenendo gli stessi da aree geografiche
diverse, su una riunione svoltasi presso il bar Cavallino Rosso alla presenza, fra
gli altri, di tale Emanuele Gambuzza. Le censure del ricorrente sul punto si
riducono, per il resto, alla prospettazione di difformi considerazioni valutative
sulla significatività delle dedotte discrasie, inidonea a far risaltare vizi rilevabili in
questa sede; mentre i riferimenti del ricorso all’inattendibilità dell’ipotesi della
commissione di una condotta estorsiva nei confronti dell’imprenditore Privitera,
alla luce dei contenuti delle intercettazioni telefoniche, sono evidentemente privi
di decisività laddove la stessa sentenza impugnata accennava a tali
conversazioni al solo fine di evidenziarvi un ulteriore riscontro delle dichiarazioni
dei collaboratori sui rapporti dell’imputato con l’ambiente edilizio.
Insussistente è altresì il lamentato vizio di contraddittorietà delle conclusioni
della sentenza impugnata rispetto alla mancata individuazione di momenti di
presenza dell’imputato nella vita associativa e di contatto dello stesso con altri
componenti del sodalizio. Nel richiamo alle dichiarazioni del Toscano e di altri
collaboratori emerge infatti chiaramente l’individuazione di tali momenti e
contatti nella partecipazione ad incontri sicuramente concernenti passaggi nodali
nella vita di un’associazione criminosa, quali quelli relativi alla necessità di
definire situazioni di contrasto con altri gruppi criminali; mentre la ridotta
dimensione numerica di tali occasioni di esposizione dell’imputato è
assolutamente coerente, nell’argomentazione della Corte territoriale, con i
concordi riferimenti di più collaboratori all’abitudine dello stesso di non apparire
se non in casi di effettiva necessità, profilo non contrastante con la posizione
direttiva di un’associazione di tipo mafioso.
Infondata è da ultima la censura di illogicità del riferimento della sentenza
impugnata ad un elemento, quale quello delle intercettate conversazioni fra il
detenuto Pillera ed i familiari dello stesso, del quale gli stessi giudici di merito
avrebbero riconosciuto l’ambiguità nella duplice possibile significazione di un
permanente rapporto dell’imputato con l’associazione e di un’avvenuta
dissociazione dello Strano Stellario dalla stessa. Il rilievo t ura infatti gli
12

A

ulteriori passaggi motivazionali della sentenza, con i quali tale ambiguità veniva
risolta osservando che la manifestata intenzione del Pillera di non avere contatti
con lo Strano Stellario, alla luce di ulteriori conversazioni specificamente
riportate nei riferimenti alle attività economiche seguite dell’imputato e ad altri
soggetti che si occupavano di operazioni illecite per conto dello stesso, doveva
essere letta come espressione di cautela nel non palesare contatti con un
personaggio rilevante nell’ambito dell’associazione. La connessione dell’elemento
di prova appena esaminato con gli altri fin qui indicati dà infine ragione della

l’omessa valutazione ai fini della prova della dissociazione dell’imputato dal
sodalizio, in quanto a questo punto logicamente incompatibili con il complessivo
compendio probatorio acquisito in tema di insussistenza di detta dissociazione, e
come tali implicitamente disattesi.
1.4. L’affermazione di responsabilità del Sapienza era fondata in primo luogo
sulle dichiarazioni del collaboratore Toscano, che lo indicava come soggetto
inserito dal 1992 nel «gruppo del Borgo», concorrente negli omicidi di Melo
Maccavino e Antonino Stracuzzi quale conducente di una motocicletta utilizzata
nell’occasione e coinvolto in estorsioni in danno della Piaggio, di un negozio di
carne di cavallo, di distributori di carburanti e del costruttore Privitera, e in
episodi di cessione di sostanze stupefacenti, oltre che detentore di armi. Dette
dichiarazioni venivano poi ritenute riscontrate da quelle dei collaboratori
Palermo, Pantellaro e Ruccella sull’inclusione dell’imputato nel nominativo gruppo
associativo; da quanto riferito dal gestore della Piaggio e dal dipendente della
stessa Marino sulla frequente presenza dell’imputato presso l’officina insieme agli
associati fratelli Sicali; e dai servizi di videoripresa e dai controlli di polizia
giudiziaria dai quali risultava che il Sapienza veniva visto più volte con altri
associati.
Le generali valutazioni della sentenza impugnata sull’attendibilità dei
collaboratori, e fra essi del Toscano, di cui si è detto al precedente punto 1.1.1.,
consentono di ritenere senz’altro infondata la censura di carenza motivazionale
sul punto con riguardo al limitato profilo, denunciato dal ricorrente, dell’essere la
collaborazione del dichiarante iniziata dopo una condanna definitiva per il reato
di omicidio, elemento da ritenersi implicitamente quanto non illogicamente
ritenuto dai giudici di merito superato dalle valutazioni di cui sopra, oltre che dai
plurimi riscontri appena evidenziati. La presenza di tali riscontri, dei quali quelli
di natura testimoniale cadono su uno dei fatti specifici attribuiti all’imputato,
come l’estorsione in danno della Piaggio, rende superati, nell’assetto
motivazionale della sentenza, i rilievi difensivi di genericità delle dichiarazioni
accusatorie su tali fatti; mentre irrilevante, ai fini del contrOe—sulla logicità
s

/

13

mancata considerazione degli ulteriori dati dei quali il ricorrente lamenta

essenziale della motivazione, è che per i fatti in esame non siano state elevate in
concreto imputazioni. Altrettanto infondate sono le doglianze sull’asserita
illogicità del riferimento ai riscontri indicati nella sentenza, nessuna incongruenza
essendo ravvisabile nell’attribuzione di significato a dichiarazioni pur se indirette
ed a rapporti di frequentazione osservati in un periodo comunque protrattosi per
più mesi; mentre è inconferente il riferimento del ricorrente ad intercettazioni
ambientali che si è visto non essere state considerate dai giudici di merito, i quali
viceversa valorizzavano videoriprese sulle quali nessuna specifica censura è

motivazione rispetto a dati, quali lo stato di tossicodipendenza dell’imputato o la
posizione gregaria dello stesso rispetto a quella del Toscano, oggetto di mere
valutazioni del ricorrente in ordine alla loro assenta incompatibilità con l’adesione
all’associazione.
1.5. L’affermazione di responsabilità dello Spalletta era motivata in base alle
dichiarazioni dei collaboratori Toscano, che indicava l’imputato come componente
del gruppo del Borgo, addetto, con la corresponsione di una retribuzione
periodica, alla vendita di stupefacente in collaborazione con Fabrizio Pappalardo
e Vittorio Puglisi ed al rifornimento di cocaina con ripetuti viaggi a tal fine a
Milano, e partecipante ad alcuni omicidi e ad un’estorsione commessa con armi,
con il Pappalardo ed il Puglisi, presso un cantiere per la costruzione di una strada
gestito da imprenditori di Barcellona; Palermo, che descriveva anch’egli lo
Spalletta come componente del gruppo del Borgo almeno fino al 2006 e
partecipante, con il Pillera ed il Pappalardo, ad una riunione successiva ad un
attentato in danno di tale Melo Previti; Pantellaro, Ruccella, Marchese, Durante e
Laudati, che confermavano l’appartenenza dell’imputato al gruppo del Borgo,
confermando altresì il Russo, il Pantellaro ed il Ruccella il coinvolgimento dello
Spalletta nel traffico di stupefacenti per conto dell’associazione, ed inoltre il
Russo la collaborazione dell’imputato con il Pappalardo ed il Ruccella la
partecipazione del predetto ad un omicidio e a condotte estorsive; e Sturiale, che
aggiungeva come lo Spalletta gli fosse stato presentato in carcere nel 2009 come
affiliato all’associazione. Riscontri a tali dichiarazioni erano poi individuati dalla
Corte territoriale nell’arresto dello Spalletta e del Toscano nel corso di una
riunione presso l’abitazione di tale Salvatore Recupero, ove venivano rinvenute
delle armi; nella sentenza definitiva di condanna dell’imputato per i reati di
associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti e cessione di dette sostanze, pronunciata dal Tribunale di Catania il
03/02/2004; nei controlli di polizia a seguito dei quali lo Spalletta veniva
sorpreso con altri appartenenti all’associazione; nelle videoriprese che
documentavano la presenza dell’imputato in luoghi frequentati dagt associati; e
14

avanzata nel ricorso. Non sono infine ravvisabili contraddittorietà della

nelle intercettazioni telefoniche ed ambientali dalle quali risultavano
conversazioni in termini criptici e riferiti a somme di denaro con altri componenti
del gruppo del Borgo, lamentele della ex-moglie dell’imputato sul mancato
sostentamento di quest’ultimo, durante la detenzione, da parte degli altri
associati, e su voci circolanti in ordine all’intenzione dello Spalletta di collaborare
con la giustizia, e un espresso riferimento del Pappalardo, in presenza
dell’imputato, alla minaccia di incendiare un magazzino se il titolare non avesse
pagato.

dell’imputato nel contesto associativo escludono il lamentato vizio di carenza
motivazionale sull’esistenza di riscontri stessi, che non viene meno per il fatto
che le dichiarazioni dei collaboratori siano riferite a varie condotte criminose,
comunque funzionalmente ricondotte dagli stessi dichiaranti all’operatività
dell’associazione. Le considerazioni svolte ai punti 1.1.2 e 1.1.3 evidenziano
altresì l’insussistenza dell’analogo vizio prospettato dal ricorrente con riguardo
alla sentenza di annullamento con rinvio della condanna nei confronti del Puglisi
e di altri ed al periodo di carcerazione subito dall’imputato, elementi dei quali è
stata in quella sede evidenziata l’irrilevanza ai fini, rispettivamente, del giudizio
di attendibilità dei collaboratori e della persistenza del vincolo associativo;
mentre devono ritenersi superati, nel complesso argonnentativo della sentenza
impugnata, gli ulteriori rilievi del ricorrente in ordine ai riflessi dell’assoluzione in
altro procedimento di Carmelo Giuffrida, Salvatore Recupero e Giuseppe Strano
sulla credibilità dei collaboratori Toscano e Palermo, in questa occasione valutata
con riferimento ai citati riscontri ed alla concordanza delle dichiarazioni dei
collaboratori di cui sopra con quelle degli altri dichiaranti menzionati, ed alle
lamentate incongruenze delle dichiarazioni del Palermo. Infondata è ancora la
censura di violazione della contestazione con riguardo ai riferimenti della
sentenza impugnata ad accadimenti successivi alla data fino alla quale la
condotta è addebitata nell’imputazione, nel momento in cui tali accadimenti
venivano chiaramente valutati dai giudici di merito in prospettiva probatoria
rispetto al fatto contestato, e non ai fini di un ampliamento temporale di
quest’ultimo; né questa ottica valutativa presta il fianco ai rilievi di illogicità
proposti nel ricorso. Quanto infine alla prova della prosecuzione della condotta in
epoca successiva a quella coperta dal giudicato della precedente sentenza della
Corte d’Appello di Catania, non possono in primo luogo che richiamarsi anche a
questo proposito le conclusioni esposte al punto 1.1.3. sulla persistenza del
vincolo associativo in assenza di elementi di segno contrario, nella specie non
dedotti. A parte questo, lo stesso ricorrente dà atto di come la sentenza
impugnata abbia individuato elementi provenienti dalle hiarazioni dei
15

La pluralità e la convergenza dei riscontri indicati sull’inserimento

collaboratori e dai risultati delle indagini indicati a riscontro delle stesse, con
particolare riguardo ai contenuti delle intercettazioni, dimostrativi di una
partecipazione associativa dello Spalletta protrattasi oltre il periodo considerato
nella decisione precedente; ed a questi argomenti oppone mere valutazioni
alternative sulla significatività probatoria degli elementi stessi, inidonee ad
evidenziare vizi rilevanti in sede di legittimità.
1.6. L’affermazione di responsabilità dell’Alosi era motivata in base alle
dichiarazioni dei collaboratori Toscano, Palermo, Ruccella e Pantellaro, che

primi tre, del gruppo diretto dal Valenti; aggiungendo il Toscano che l’Afosi era
presente, armato, allorchè i fratelli Valenti intervenivano con lo stesso Toscano
in favore di Alessandro Ferraro, vittima di un’estorsione alla Bmw, e presente
altresì, come riferito anche dal Ruccella, ad un tenutosi successivamente al
pestaggio del Tropea, il Palermo che l’imputato partecipava con il Valenti ad una
lite con Francesco Fontanarosa, ed il Ruccella che si occupava nell’associazione di
estorsioni e usura.
Posto che il riscontro alle dichiarazione dei collaboratori può senz’altro
essere individuato nella convergenza delle stesse sui fatti narrati (Sez. 2, n.
13473 del 04/03/2008, Lucchese, Rv. 239744), e che tale convergenza non
richiede necessariamente la sovrapponibilità dei fatti stessi, ove le informazioni
attengano a vicende riferibili allo stesso contesto associativo e siano idonee a
ricollegare l’indagato alla condotta ipotizzata a carico dello stesso con riguardo al
descritto contesto (Sez. 1, n. 31695 del 23/06/2010, Calabresi, Rv. 248013),
non è ravvisabile la dedotta illogicità nella valutazione della Corte territoriale, per
la quale nella specie una concordanza quale quella descritta si realizzava per
l’appunto sull’inserimento del’imputato nell’associazione in esame. Non senza
considerare che, come si è visto, nella ricostruzione posta a sostegno delle
proprie conclusioni i giudici di merito ponevano in rilievo, con particolare
riguardo alle dichiarazioni del Toscano, del Palermo e del Ruccella, specifiche
manifestazioni dell’adesione al contesto associativo, il che sottrae
l’argomentazione della sentenza impugnata alle censure di genericità del
ricorrente. E costituiscono oggetto di mere valutazioni alternative di
quest’ultimo, inidonee a configurare il lamentato vizio di mancanza di
motivazione su elementi decisivi, i rilievi sulla significatività di singole discrasie
segnalate nei racconti del Toscano e di altri collaboratori, a fronte della valenza
coerentemente assegnata ad una convergenza ritenuta determinante, in quanto
relativa ad aspetti essenziali del fatto contestato.
1.7. L’affermazione di responsabilità del Bonfiglio era motivata in base alle
dichiarazioni dei collaboratori Toscano, Palermo, Russo, Pa_
16

, Di Raimondo,

indicavano l’imputato quale componente dell’associazione e, come specificato da

Roccella, Laudani e Sturiale, i quali indicavano l’imputato come inserito
nell’associazione e addetto al traffico di stupefacente e alle estorsioni,
ulteriormente descrivendolo il Toscano come operante nel gruppo di Riccardo Di
Mauro e Nuccio Ieni, partecipante al pestaggio del Tropea e ad una successiva
riunione in cui si era discusso di come fronteggiare la ritorsione dei Santapaola,
incaricato in un’occasione di collocare una bottiglia incendiaria presso un bar e
possessore di due pistole; il Palermo come incaricato anche della gestione dì una
sala biliardo e più recentemente nel recupero di crediti, e partecipante, oltre che

del cugino di tale Cicírello, che aveva speso il nome dell’associazione in un
episodio di usura, e ad un incontro in cui si parlava dell’attività usuraria alla
quale era presente lo stesso Palermo, che in altra occasione dava al Bonfiglio
una pistola; il Di Raimondo, appartenente all’associazione Santapaola, come
soggetto che gli veniva segnalato dal Pillera come facente come facente parte del
gruppo del Borgo; ed il Ruccella come componente di quest’ultimo gruppo,
presente a riunioni, in una occasione armato e nella disponibilità di proventi delle
attività estorsive che gli avevano consentito di aprire un negozio di profumeria
alla figlia.
Anche in questo caso, è sufficiente richiamare quanto rilevato al punto 1.1.2
sull’infondatezza della censura relativa all’incidenza, sul giudizio di attendibilità
dei dichiaranti, della sentenza di annullamento con rinvio della condanna nei
confronti del Puglisi e di altri. Così come non decisivo, a fronte della pluralità di
contributi dichiarativi e dei riscontri che si vedrà essere posti a supporto della
decisione impugnata, è il riferimento del ricorrente alle valutazioni
sull’attendibilità dei collaboratori espresse nella sentenza relativa al diverso
procedimento nei confronti di Silvio Battaglia ed altri; in particolare risultando
superato il richiamo alla natura indiretta delle conoscenze dei collaboratori,
individuata in quella sede, rispetto agli accenni di diversi dei dichiaranti sopra
ìndicati ad episodi direttamente constatati, con la conseguente insussistenza del
lamentato vizio di motivazione su elementi decisivi.
Generica è poi la doglianza di violazione di legge per la dedotta carenza di
riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori; riscontri viceversa specificamente
individuati dalla Corte territoriale, oltre che nell’implicito riferimento alla
convergenza di numerose dichiarazioni accusatorie, nelle ininterrotte
frequentazioni del Bonfiglio con altri associati, osservate e videoriprese dalla
polizia giudiziaria. Gli stessi elementi superano la censura di mancanza di
motivazione su dati dimostrativi del protrarsi della condotta associativa oltre il
periodo valutato nella precedente sentenza del Tribunale di Catania; avendo i
giudici i merito evidenziato in questa prospettiva come gli a
17

9ertamenti della

al rammentato pestaggio del Tropea, ad altra spedizione punitiva nei confronti

polizia giudiziaria avessero documentato una continuità di contatti con i
coassociati fino al novembre del 2006, allorché il Bonfiglio veniva ripreso con lo
Spalletta ed il Pappalardo. Il dedotto vizio di travisamento delle dichiarazioni
dell’imputato sulla partecipazione al pestaggio in danno del Tropea cade infine su
un dato privo di decisività, nel momento in cui tale partecipazione, peraltro
costituente solo una delle circostanze evidenziate quali specificamente espressive
dell’inserimento dell’imputato nell’associazione, veniva ritenuta provata nella
sentenza impugnata alla luce delle convergenti dichiarazioni del Toscano e del

1.8. L’affermazione di responsabilità del Fontanarosa era motivata sulla base
delle dichiarazioni dei collaboratori Toscano, che attribuiva all’imputato un sia
pur limitato ruolo associativo, prevalentemente svolto occupandosi di rapine alle
dipendenze del fratello Francesco, accompagnandolo in una occasione ad una
riunione in cui quest’ultimo veniva incaricato di sistemare una vicenda estorsiva
in atto nei confronti dell’imprenditore Privitera, amico dello Strano Stellario, e in
altra ricevendo dal fratello l’incarico di intervenire presso il gestore di un locale
che non aveva consegnato all’associazione i proventi di macchine da gioco;
Palermo, che indicava l’imputato come persona non facente parte del gruppo, ma
a disposizione dell’associazione nella prevalente attività dei furti di autovetture,
commessi con Giovanni Di Grazia; Roccella, che descriveva il Fontanarosa come
vicino al gruppo ed incaricato di curare i contatti del fratello con l’esterno quando
lo stesso era detenuto, ed autore del furto di un’autovettura con il Di Grazia,
della partecipazione ad azioni intimidatorie in due locali e dell’intervento presso
Salvatore Fichera, gestore del bar Dalia e sottoposto ad un’estorsione condotta
da Francesco Fontanarosa, al fine di ripristinare i pagamenti dopo che il predetto
veniva arrestato; Salvatore Russo, che indicava l’imputato come partecipante a
due rapine e ad un viaggio per l’acquisto di cocaina, possessore di armi,
portavoce del fratello quando lo stesso era detenuto e percettore in quel periodo
dei proventi dell’estorsione in danno del bar Dalia, precisando che Michele
Fontanarosa, pur non facendo parte dell’associazione, era presente alle riunioni e
riceveva una quota dei profitti delle rapine; Giuseppe Russo, che confermava la
partecipazione dell’imputato al gruppo operativo che realizzava le rapine, e lo
indicava in particolare come incaricato di consegnare agli affiliati una quota del
provento delle stesse; Laudani e Sturiale, i quali riferivano che l’imputato era
affiliato all’associazione con un ruolo precisato dallo Sturiale nel furto delle
autovetture. Riscontri a tali dichiarazioni erano poi individuati nei controlli di
polizia giudiziaria che sorprendevano in due occasioni l’imputato insieme a
Giovanni Di Grazia, nella perquisizione effettuata 1’08/03/2006 presso
l’abitazione dei genitori dei Fontanarosa, all’esito della quale – V
18

ano rinvenute

Palermo.

delle munizioni, e nelle dichiarazioni testimoniali della parte offesa Fichera, il
quale ammetteva di aver conosciuto l’imputato come fratello di Francesco
Fontana rosa .
Il riferimento di taluni dei collaboratori ad una posizione dell’imputato quale
«avvicinato» all’associazione, piuttosto che affiliato alla stessa, posto a
fondamento di una delle censure di illogicità proposte dal ricorrente, veniva
debitamente considerato dalla Corte territoriale; la quale osservava
correttamente che l’affiliazione di un soggetto ad un’associazione mafiosa può
essere desunta da indicatori fattuali che si rivelino logicamente idonei a provare
l’esistenza del legame con il sodalizio (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005,
Mannino, Rv. 231670; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007 (11/01/2008), Addante,
Rv. 238839), quali quelli rappresentati nella loro oggettività dai collaboratori,
senza che le definizioni date dagli stessi al rapporto dell’accusato con
l’associazione vincolino la valutazione del giudice. In questa prospettiva, i giudici
di merito traevano dagli elementi di fatto forniti dai collaboratori, senza incorrere
in vizi logici, la conclusione per la quale Michele Fontanarosa era un soggetto a
disposizione dell’associazione, sia pure in una condizione di subordine rispetto al
fratello; condizione peraltro non incompatibile con la partecipazione ad un reato
associativo, che può manifestarsi anche in ruoli meramente esecutivi, purché
stabili e funzionati all’attività associativa (Sez. 2, n. 4976 del 17/01/1997,
Accardo, Rv. 207845; Sez. 5, n. 18061 del 13/03/2002, Bagarella, Rv. 221913).
Nessuna illogicità è altresì ravvisabile nell’individuazione di un rilevante
contributo dell’imputato all’associazione nel furto di autovetture. Nel richiamo
alle dichiarazioni dei collaboratori, la sentenza impugnata evidenziava altre
manifestazioni della generale disponibilità dell’imputato verso il sodalizio, quali,
come si è visto, la tenuta dei contatti fra il fratello detenuto e gli altri associati, il
procacciamento di stupefacente e la raccolta e la distribuzione di denaro
proveniente dalle operazioni illecite. Ma a parte questo, e contrariamente a
quanto sostenuto dal ricorrente, le dichiarazioni riportate dalla Corte d’Appello
evidenziavano come la sottrazione delle autovetture non costituisse un’attività
autonomamente svolta dall’imputato, ma fosse concretamente funzionale
all’operatività dell’associazione; riferendo il Palermo che i veicoli, ove necessari,
erano posti a disposizione degli associati in casi come quello di un conflitto con
altri gruppi criminosi, ed il Ruccella, inoltre, che i mezzi costituivano anche
oggetto di ulteriori condotte estorsive, realizzate mediane la richiesta di riscatti
per la riconsegna delle autovetture. Non illogicamente, infine, i giudici di merito
valorizzavano, a completamento di questa ricostruzione, la partecipazione
dell’imputato al conseguimento del profitto dell’estorsione in danno del bar Dalia,
a prescindere dalla omessa valutazione della circostanza qusMe concorso in quello
19

v

specifico reato, nell’ottica del diverso titolo di responsabilità per il reato
associativo; nonché, in quanto coerente con gli altri elementi a prescindere
dall’intrinseca valenza criminosa, il sequestro delle munizioni presso l’abitazione
dei genitori dell’imputato.
Non va peraltro sottaciuto che l’indicazione di un soggetto come
«avvicinato», in quanto espressiva dell’essersi il soggetto posto sostanzialmente
a disposizione dell’associazione, assume anche di per sé il significato
dell’attribuzione di un ruolo associativo (Sez. 1, n. 1737 del 21/03/1995,
Caldarera, Rv. 201361; Sez. 1, n. 9091 del 18/02/2010, Di Gati, Rv. 246493); o
comunque integra un indizio valutabile unitamente ad altri, come nella specie
avvenuto, ai fini della prova della partecipazione al reato (Sez. 1, n. 1770 del
23/03/1995, Stracquadaini, Rv. 201362).
A fronte della complessivamente coerente ricostruzione della sentenza
impugnata, risultano logicamente incompatibili e privi di decisività gli argomenti
del ricorrente sull’incensuratezza e l’età avanzata dell’imputato e sulla mancata
menzione dello stesso in altre sentenze riguardanti la stessa associazione,
derivandone l’implicita reiezione degli stessi e l’infondatezza del lamentato vizio
di carenza motivazionale.
1.9. Come si è anticipato, il motivo proposto dal ricorrente Ruccella
sull’affermazione di responsabilità è inammissibile.
Le censure del ricorrente sono infatti generiche nel lamentare mancanza di
motivazione sul contributo dell’imputato all’estorsione in danno del bar Dalia,
viceversa chiaramente indicato dai giudici di merito, sulla base delle stesse
ammissioni del Ruccella, nell’aver prelevato in una occasione la somma pagata
dalla persona offesa a Francesco Fontanarosa, e in altre occasioni analoghe
somme poi consegnate, stante lo stato di detenzione del Fontanaosa, alla moglie
di questi; e sono altresì manifestamente infondate nel denunciare l’inesistente
contraddittorietà di tali elementi con la mera assenza di riferimenti all’imputato
nelle dichiarazioni della parte offesa e di Salvatore Russo.

2. Il motivo proposto dal ricorrente Spalletta sulla ritenuta aggravante del
carattere armato dell’associazione è infondato.
Premesso che la Corte territoriale motivava le proprie conclusioni sulla
disponibilità di armi da parte dell’associazione in base alle dichiarazioni del
Toscano, che precisava come le armi fossero custodite in una rimessa di tale
Giuseppe Saitta e in uso al gruppo del Borgo in quanto componente armata
dell’associazione, ed al riscontro delle stesse nelle dichiarazioni del Palermo e nei
sequestri di armi in possesso dello stesso Toscano, del Puglisi, e della famiglia
Nizza, nella sentenza si faceva corretto riferimerktolla nara oggettiva
20

à

dell’aggravante, in quanto tale configurabile a carico dell’imputato che sia
consapevole del possesso delle armi da parte dell’associazione (Sez. 1, n. 9958
del 27/10/1997, Carelli, Rv. 208936; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, Anaclerio,
Rv. 229769; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, Ganci, Rv. 244904); e tale
consapevolezza era altresì congruamente motivata in base all’appartenenza dello
Spalletta al nominato gruppo del Borgo, nella disponibilità del quale le armi si
trovavano.

sono infondati.
Il riconoscimento della recidiva non è in primo luogo incompatibile, come
correttamente osservato nella sentenza impugnata, con la ritenuta continuazione
fra i fatti ai quali la recidiva attiene e quelli oggetto della precedente condanna
che ne costituisce il presupposto (Sez. U, n. 9148 del 17/04/1996, Zucca, Rv.
205543; Sez. 1, n. 14937 del 13/03/2008, Caradonna, Rv. 240144; Sez. 6, n.
19541 del 24/11/2011 (23/05/2012), Bisesi, Rv. 252847).
L’ipotesi della recidiva qualificata, ai sensi dell’art. 99, comma quinto, cod.
pen., dalla commissione di uno dei reati di cui all’art. 407, comma secondo, lett.
A cod. proc. pen., non costituisce poi una forma autonoma di recidiva, ma solo
una particolare manifestazione delle fattispecie di cui ai precedenti commi del
citato art. 99, la cui previsione normativa ha l’unica funzione di rendere
obbligatorio l’aumento di pena che nei casi previsti da detti commi è facoltativo
(Sez. 5, n. 48655 del 15/11/2012, Amato, Rv. 254560). Contrariamente a
quanto sostenuto dal ricorrente, non è pertanto necessaria, perché tale
previsione esplichi tale effetto, la specifica contestazione dell’ipotesi in esame
nell’imputazione; la cui assenza, oggetto nella specie della censura proposta,
non fa di conseguenza venir meno l’obbligatorietà dell’aumento di pena per la
recidiva, ed esclude in conclusione il lamentato vizio di mancanza della specifica
motivazione dovuta in caso di facoltatività dell’aumento (Sez. 5, n. 46452 del
21/10/2008, Tegzesiu, Rv. 242601).
Non è infine deducibile in sede di legittimità la contraddittorietà della
motivazione con il contenuto di un provvedimento diverso da quello impugnato,
oggetto di una differente valutazione di merito (Sez. 5, n. 34643
dell’08/05/2008, De Carlo, Rv. 240996; Sez. 3, n. 15987 del 06/03/2013, Parisi,
Rv. 255417). E’ pertanto inammissibile, in quanto non consentita, la censura
sulla mancata applicazione dell’aumento della recidiva nei__cofronti del
coimputato Pappalardo, separatamente giudicato.

21

3. I motivi proposti dal ricorrente Spalletta sull’applicazione della recidiva

4.

Il motivo proposto dal ricorrente Strano Stellario sul diniego della

continuazione è fondato.
Nonostante la richiesta di riconoscimento della continuazione fra i fatti di cui
al presente procedimento e quelli oggetto della sentenza della Corte d’Assise
d’Appello di Catania del 21/12/1999 fosse oggetto di uno specifico motivo di
appello, detta richiesta non risulta infatti esaminata con la sentenza impugnata;
la quale deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte

5. Il motivo proposto dal ricorrente Ruccella sulla quantificazione della
diminuzione della pena per l’attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del 1991 è
inammissibile per manifesta infondatezza.
Le pena infitta al Ruccella per i fatti qui giudicati veniva infatti determinata
nella misura di mesi otto di reclusione quale aumento per la ritenuta
continuazione fra i fatti stessi e quelli, valutati come più gravi, di cui alla
sentenza della Corte d’Appello di Catania del 30/03/2009. Per il reato oggetto del
presente procedimento, in quanto satellite nell’ambito della riconosciuta
continuazione, le contestate circostanze, fra le quali l’attenuante in esame,
divengono pertanto inefficaci, salva una limitata funzione nel concorrere alla
determinazione della misura del relativo aumento della pena ai sensi dell’art. 81
cod. pen. (Sez. 1, n. 13006 del 22/09/1998, Tornatore, Rv. 212985; Sez. 1, n.
33758 del 10/08/2001, Cardamone, Rv. 219893); inconferente è pertanto il
riferimento, sul quale si fondano le censure del ricorrente, ai limiti edittali
previsti in linea generale per la diminuzione dovuta in relazione all’attenuante in
parola.

6. I motivi proposti dai ricorrenti Alosi, Bonfiglio, Spalletta, Ruccella e Russo
sul diniego delle attenuanti generiche sono infondati.
Nessuna illogicità è in primo luogo ravvisabile rispetto al riconoscimento, in
favore del Ruccella e del Russo, dell’attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del
1991. Posto che quest’ultima attenuante e quella di cui all’art. 62 bis cod. pen.

hanno presupposti diversi, da individuarsi rispettivamente nel contributo
dell’imputato alle indagini e in una valutazione di contro globale di circostanze
che evidenzino l’opportunità di un adeguamento della pena all’entità del fatto, e
che pertanto la ritenuta ricorrenza della prima non esclude, ma neppure implica
quella della seconda (Sez. 1, n. 2137 del 05/11/1998 (19/02/1999, Favaloro, Rv.
212531; Sez. 1, n. 14527 del 03/02/2006, Cariolo, Rv. 233938; Sez. 6, n.
20145 del 15/04/2010, Cantiello, Rv. 247387), coerentemente la considerazione
dell’atteggiamento collaborativo del Ruccella, evidenziato daí —rkorrente,yeniva
22

d’Appello di Catania per le necessarie valutazioni sul punto.

ritenuta assorbita nella valutazione sulla ravvisabilità dell’attenuante speciale; e
con pari coerenza i giudici di merito escludevano che il radicale mutamento di
vita del Russo, richiamato nel ricorso, esprimesse significato diverso ed ulteriore
rispetto a quello della collaborazione valutata anche per tale imputato ai fini
dell’attenuante di cui sopra.
L’ulteriore richiamo del Russo al riconoscimento delle attenuanti generiche
con la sentenza rispetto alla quale veniva riconosciuta la continuazione incontra
considerazioni di irrilevanza analoghe a quelle già esposte al punto 3 con

rispetto a valutazioni di merito formulate in procedimenti diversi. Quanto alle
posizioni dell’Alosi, del Bonfiglio e dello Spalletta, il riferimento motivazionale
della sentenza impugnata alla mancanza di elementi idonei a sostenere il
riconoscimento delle attenuanti generiche costituiva implicita e congrua
valutazione di irrilevanza a tal fine delle argomentazioni oggi proposte dall’Alosi
con riguardo all’asserita limitazione della condotta all’anno 2003, che si è visto
essere superata in linea generale, come precisato al punto 1.1.3, dalla mancata
deduzione di elementi indicativi della dissociazione dell’imputato dal sodalizio, ed
al carattere risalente dei precedenti penali; e dallo Spalletta nel riferimento alla
detenzione subita, della quale pure è stata evidenziata l’inidoneità ad incidere in
quanto tale sulla consistenza del vincolo associativo. Ed a maggior ragione la
motivazione deve ritenersi congrua per il Bonfiglio, che non indica nel ricorso
specifici elementi favorevoli; non senza considerare che per detto imputato la
Corte territoriale poneva in risalto l’ulteriore dato della presenza di gravi
precedenti penali.

7. I motivi proposti dai ricorrenti Pillera, Strano Stellario, Sapienza,
Spalletta, Alosi e Fontanarosa sulla determinazione della pena sono infondati.
7.1. Sull’argomento proposto dai ricorrenti in ordine alla sostanziale
cessazione della condotta in epoca anteriore all’introduzione legislativa
dell’attuale e più grave cornice edittale del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.,
non possono che richiamarsi le considerazioni già svolte al punto 1.1.3 sulla
persistenza del vincolo associativo in assenza di condotte o circostanze di
univoco significato contrario; fra le quali non può includersi, per quanto pure
osservato nella sede richiamata, la restrizione carceraria dell’imputato in quanto
tale. Tanto premesso, nessuno dei ricorrenti deduce elementi che rispondano a
tali requisiti. Oltre a quanto già osservato nell’esame dei singoli motivi di ricorso
sull’affermazione di responsabilità degli imputati, il richiamo del ricorrente
Sapienza all’allontanamento dello stesso dal gruppo, dopo l’arresto del Toscano
nell’estate del 2005, è infatti generico e non tale da integrare una chiara
23

riguardo all’impossibilità di dedurre in questa sede profili di contraddittorietà

interruzione del legame con l’associazione; altrettanto generico è il riferimento
dello Strano Stellario ad una dissociazione che si è visto peraltro essere stata
motivatamente esclusa dai giudici di merito nel discutere dell’affermazione di
responsabilità dell’imputato; e privo di decisività è l’accenno del Fontanarosa alla
sottoposizione dell’imputato alla misura della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza dal luglio del 2005, il cui effetto materialmente impeditivo della
partecipazione alle rapine veniva ritenuto coerentemente tale da non incidere su
un rapporto con l’associazione che aveva numerose altre forme di

presentare analoga irrilevanza rispetto alla permanenza del vincolo associativo.
7.2. E’ invece fondato il motivo proposto sul punto dal ricorrente Russo.
Posto che, ai fini della determinazione del reato più grave nell’ambito della
continuazione, e conseguentemente della pena-base del relativo trattamento
sanzionatorio, deve aversi riguardo alla pena edittale prevista per ciascuno dei
reati inclusi nella continuazione, pur tenendosi conto delle circostanze
eventualmente ritenute e dell’esito del giudizio di comparazione fra le stesse
(Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti, Rv. 255347), nella sentenza
impugnata veniva invece ritenuto più grave, all’interno della ritenuta
continuazione fra i fatti di cui al presente procedimento e quelli di cui alla
sentenza della Corte d’Appello di Firenze dell’11/03/2008, il reato di rapina
aggravata con quest’ultima giudicato e non il reato di estorsione aggravata
contestato in questa sede, avente indubbiamente più elevata pena edittale,
considerato l’analogo effetto delle aggravanti contestate per i due reati. Inoltre,
dall’ordinanza della Corte di Appello di Ancona del 05/07/2010, allegata al
ricorso, risulta che per i fatti di cui alla sentenza fiorentina, con detto
provvedimento unificati in sede esecutiva ai sensi dell’art. 81 cod. pen. con quelli
di cui alla sentenza della corte d’Appello di Venezia del 20/12/2007, era stato
conseguentemente determinato un aumento a titolo di continuazione nella
misura del triplo di quella inflitta in anni cinque e mesi otto di reclusione ed C.
1.200 di multa con la sentenza veneziana, portando la pena finale ad anni
diciassette di reclusione ed C. 3.600 di multa; il che rendeva impossibile
l’ulteriore aumento applicato a tale titolo con la sentenza impugnata.
Su questi rilievi, proposti con l’atto di appello, nessuna specifica
considerazione veniva svolta, al di là di un generico riferimento alla correttezza
delle determinazione della pena, nella sentenza impugnata; che deve pertanto
essere annullata anche su questo punto, con rinvio ad altra Sezione della Corte
d’Appello di Catania.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dal Ruccella segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
24

manifestazione, e che in quanto meno afflittíva di una carcerazione non può che

favore della Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda
processuale, appare equo determinare in €.1.000. I ricorsi proposti dal Russo e
dallo Strano Stellario devono essere rigettati nei punti diversi da quelli oggetto
delle specifiche pronunce di annullamento con rinvio. All’integrale rigetto dei
ricorsi proposti dal Bonfiglio, dallo Spalletta, dal Sapienza, dal Pillera, dall’Alosì e
dal Fontanarosa segue la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della
Corte d’Appello di Catania limitatamente a Russo Salvatore in ordine al
trattamento sanzionatorio e a Strano Stellario alla richiesta continuazione.
Rigetta nel resto i ricorsi di Russo e Strano Stellario.
Rigetta i ricorsi di Bonfiglio, Spalletta, Sapienza, Pillera, Alosi e Fontanarosa e
condanna ciascun ricorrente a pagare le spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di Ruccella, che condanna al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C. 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 24/10/2013

25

spese processuali.

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