Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1703 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1703 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) GRECO RAFFAELE N. IL 25/07/1971
avverso la sentenza n. 1886/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del
09/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ’92,A a 5gPmv” -L
che ha concluso per 12
,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/12/2012

c)

,

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 9.12.2011 la Corte d’Appello di Genova ha confermato la pronuncia del
Tribunale di Chiavari che aveva ritenuto Greco Raffaele colpevole della violazione dell’art. 2 del
DIvo n. 74/2000 con riferimento alla indicazione di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni
annuali delle imposte relative al 2004, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse
dalle ditte Tecnoedil Costruzioni srl (reato sub 1) e Morello Mauro (reato sub 2) e lo aveva

anni uno di reclusione con le pene accessorie di legge.
2. Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cessazione con
due motivi, denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione osservando che la Corte
di Appello si era limitata a far proprie le argomentazioni del primo giudice senza prendere in
considerazione gli argomenti difensivi e inoltre aveva applicato una pena superiore a quella che
il suo comportamento processuale e lo stato di incensuratezza avrebbe giustificato senza
peraltro motivarne le ragioni richiamandosi a tutti o ad alcuni dei parametri di cui all’art. 133
Cp.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente, mentre riconosce la propria responsabilità in ordine alle fatture di cui al reato
sub 1, rimprovera alla Corte d’Appello di avere fatto proprie le conclusioni della Guardia di
Finanza, e passa a contestarne il contenuto con riferimento alle voci indicate nelle fatture e alla
effettività delle operazioni svolte, rilevando che eventuali omissioni fiscali della ditta Morello
non potevano farsi ricadere su di lui.
Osserva la Corte che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene
alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico
argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei
fatti (tra le varie, cfr. cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; cass. 6.6.06 n. 23528).
L’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché
siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza
n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cessazione Sezioni Unite n. 24/1999,
24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Il giudice di merito, nel caso di specie, ha dato conto delle ragioni che lo hanno indotto a
ritenere la sussistenza del reato anche con riferimento alle fatture emesse dalla ditta Morello
(che invece, a dire della difesa, non sono fittizie, ma si riferiscono a prestazioni realmente

condannato, concesse le attenuanti generiche e la diminuente del rito abbreviato, alla pena di

d

I

I.

svolte), richiamando la relazione dell’Agenzia delle entrate e le indagini della Guardia di
Finanza e in particolare, l’assenza di tracce nella contabilità della ditta Morello, l’assenza di
tracce di pagamento tramite istituti di credito (nonostante l’elevato importo delle somme, pari
a circa C. 200.000), l’elevatezza del costo orario delle prestazioni indicato nelle fatture,
l’assenza di operai della ditta Morello nei cantieri della società del Greco, e ancora il
comportamento omissivo di quest’ultimo che, benché invitato non si è presentato a fornire
documentazione giustificativa presso l’Agenzia delle Entrate.
invece le critiche mosse dal ricorrente si risolvono in una richiesta di rivalutazione del materiale
probatorio, che però esule dal giudizio di legittimità.
2. Stessa sorte merita il secondo motivo con cui si denuncia la violazione dell’art. 133 cpc
e il vizio di motivazione sulla determinazione della pena.
Nella determinazione della pena il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 cod.
pen., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a
quale di esso ha inteso fare riferimento.
Nel caso di specie, al Greco è stata inflitta una pena di anni uno di reclusione (con le
generiche e la diminuente del rito abbreviato), quindi sicuramente una pena contenuta anche
se non pari al minimo edittale (considerato che per il reato di cui all’art. 2 del D.Lvo n.
74/2000 la pena va da un anno uno e mesi a sei anni di reclusione).
Ebbene, la Corte di merito, nel motivare la sua scelta, ha considerato la confessione
dell’imputato in ordine al reato sub 1 ai fini della concessione delle attenuanti generiche,
mentre ha ritenuto giustificata l’entità della pena inflitta, che non può essere ricompresa nei
minimi edittali, considerato l’elemento assolutamente elevato delle passività fittiziamente
denunciate (C. 141.360 non contestati ed C. 208650 oggetto del giudizio) e ha reputato privo
di rilievo lo stato di incensuratezza dell’imputato.
Così operando, la Corte di merito ha considerato la gravità del reato desumendola dalla
gravità del danno e quindi ha richiamato almeno uno dei parametri di cui all’art. 133 cp anche
se non ha citato testualmente la norma: l’obbligo di motivazione risulta ampiamente assolto e
nessuna violazione di legge sussiste.
L’inammissibilità del ricorso per cessazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi
non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la
possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (cass.
sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. dep. 10/11/2009; cass. Sez. 4, Sentenza n.
18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22/04/2004; sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc.
(dep. 21/12/2000): pertanto, la questione della prescrizione del reato non può essere
affrontata.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle

Trattasi come si vede di un percorso argomentativo logicamente ineccepibile, mentre

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spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi
dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12.12.2012.

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