Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17027 del 12/01/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17027 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LUALDI RANI nato il 15/09/1963
avverso la sentenza del 29/03/2017 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;
Data Udienza: 12/01/2018
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Busto Arsizio ha applicato a
Lualdi Rani, su sua richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi sei di
reclusione ed euro 200,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 2 I. n. 638 del 1983
(ascrittole per avere omesso di versare le ritenute operate sulle retribuzioni dei propri
dipendenti, per complessivi euro 22.705,82).
Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione,
denunciando violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e vizio della motivazione, per
dato atto nella determinazione della pena, omettendo, tuttavia, erroneamente, di rilevare
la sua incapacità di intendere e di volere derivante da tali condizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l’obbligo
della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc.
pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il
compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le
parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione.
Nel caso di specie tale obbligo risulta essere stato adeguatamente assolto, anche
per quanto riguarda le condizioni di salute della ricorrente, che il Tribunale ha dato atto di
aver considerato, sia nella determinazione della pena, sia nella formulazione di una
prognosi di non recidivanza, alla quale il Tribunale è pervenuto proprio considerando le
gravi condizioni di salute della imputata, quali emergenti, tra l’altro, dalla perizia
neurologica disposta nel corso del giudizio, con la conseguenza che risultano essere stati
considerati gli elementi disponibili per valutare la capacità di stare in giudizio della
ricorrente, implicitamente ravvisata dal Tribunale, che dunque ha esaminato l’aspetto
della capacità della imputata, ritenendola sussistente con motivazione idonea.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza della doglianza cui è stato affidato.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che non vi sono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
1
l’insufficiente considerazione delle proprie condizioni di salute, di cui il Tribunale aveva
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2018
Il Presidente
Il Consigliere estensore