Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1700 del 25/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1700 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Rubino Antonio, nato a Martina Franca 1’8.7.1960, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto,
il 18.10.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’annullamento
senza rinvio dell’impugnata sentenza perché il fatto non costituisce
reato;
udito per il ricorrente il difensore di fiducia, avv. Donato Antonio Muzio
Schiavone, del Foro di Taranto, che ha concluso riportandosi ai motivi di
ricorso ed associandosi alla richiesta del pubblico ministero.

Data Udienza: 25/09/2013

FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza pronunciata il 18.10.2012 la corte di appello di Lecce,
sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza con cui
il tribunale di Taranto in composizione monocratica, sezione distaccata di

Antonio, imputato dei reati di cui agli artt. 110, 81, cpv., 640 bis, c.p.
(capo A), 483, 61, n. 2, c.p. (capo B) e 483, c.p. (capo C), assolveva il
suddetto Rubíno dal reato di cui al capo A), perché il fatto non sussiste
ed escludeva, quanto al capo B), la ritenuta circostanza aggravante
teleologica, con conseguente rideterminazione del trattamento
sanzionatorio in senso favorevole al reo, confermando nel resto la
decisione di primo grado.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione il Rubino a mezzo dei suoi difensori di fiducia,
Donato Antonio Muschio-Schiavone ed avv. Domenico Di Terlizzi, che
hanno presentato distinti atti di impugnazione, corredati di autonomi
motivi.
3. L’avv. Muschio-Schiavone lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione, con riferimento all’art. 483, c.p., in relazione all’art. 316
ter, c.p., in quanto il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche
assorbe in sé quello di falso ideologico, per cui, avendo la corte
territoriale affermato l’insussistenza del delitto ex art. 316 ter, c.p., non
poteva essere mantenuta la condanna per il delitto di cui all’art. 483,
c. p.
4. L’avv. Di Terlizzi, invece, lamenta violazione di legge in relazione agli
artt. 483, c.p., 47 e 76, d.p.r. n. 445 del 2000, in quanto le dichiarazioni
pacificamente false presentate dal Rubino per ottenere dagli enti pubblici
indicati nel capo A) dell’imputazione i finanziamenti erogati in suo favore
a titolo di rimborso delle spese sostenute per l’allestimento della
manifestazione “Portici d’Estate” e del “Concorso nazionale giovani

. . .7

stilisti – città di Martina Franca”, destinato a svolgersi nell’ambito della

suddetta manifestazione, non hanno concorso a formare in alcun modo 4

2

Martina Franca, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia Rubino

la volontà dell’ente pubblico erogatore, dovendosi ritenere delle mere
attestazioni false fornite dal privato in un atto che resta
inequivocabilmente privato, con conseguente impossibilità di ricondurre
tale condotta al paradigma normativo dell’art. 483, c.p.
5. Il ricorso va accolto.

Schiavone.
Ed invero la corte territoriale, nel qualificare correttamente la condotta
contestata al Rubino nel capo A) dell’imputazione in termini di indebita
percezione di erogazioni a danno di enti pubblici, giusta la previsione
dell’art. 316 ter, c.p., escludendone, tuttavia, la sussistenza in concreto
alla luce del dato fattuale che i costi effettivi e reali della manifestazione
organizzata dall’imputato sono stati di gran lunga superiori alla misura
del contributo erogato, per cui ciascuna erogazione risulta
sufficientemente coperta da idonei titoli giustificativi (cfr. p. 14 della
sentenza impugnata), ha, tuttavia, errato, nel ritenere i reati di falso
ideologico in atto pubblico commesso dal privato, contestati nei capi B) e
C) non assorbiti nel reato di cui all’art. 316 ter, c.p., senza, peraltro,
nemmeno indicare le ragioni della sua decisione al riguardo.
Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimità nella sua
espressione più autorevole, il reato di falso di cui all’art. 483, c.p., resta
assorbito in quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello
Stato in tutti i casi in cui, come nella fattispecie in esame, l’uso o la
presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elementi
essenziali di quest’ultimo, pur quando la somma indebitamente
percepita o non pagata dal privato, non superando la soglia minima di
erogazione – euro 3.999,96 -, dia luogo a una mera violazione
amministrativa.
La fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o
di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie complessa, ex
art. 84 c.p., che contiene tutti gli elementi costitutivi del reato di falso
ideologico.

3

6. Fondato, in particolare, è il motivo prospettato dall’avv. Muschio-

Né può attribuirsi rilevo alla diversità del bene giuridico tutelato dalle
due norme, considerato che in ogni reato complesso si ha, per
definizione, pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla
collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice (cfr. Cass., sez.
u., 16.12.2010, n. 7537, P., rv. 249105; Cass., sez. II, 24.1.2013, n.
19.4.2007, n. 16568, C.).
Ne consegue che una volta risolto, sul piano della norma astrattamente
applicabile, il conflitto tra disposizioni penali concorrenti, in favore della
fattispecie di cui all’art. 316 ter, c.p., in applicazione del principio di
specialità di cui all’art. 15, c.p., alla pronuncia di assoluzione per
insussistenza del fatto-reato così qualificato dalla corte territoriale non
può “sopravvivere” il diverso delitto di cui all’art. 483, c.p., la cui
autonoma esistenza giuridica deve ritenersi esclusa dall’assorbimento
nella diversa fattispecie di cui all’art. 316 ter, c.p.
7. Sulla base delle svolte considerazioni, che rendono irrilevanti ogni
ulteriore doglianza difensiva, la sentenza impugnata va, pertanto,
annullata senza rinvio, per insussistenza del fatto di cui all’art. 483, c.p.,
contestato nei capi B) e C) dell’imputazione.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma il 25.9.2013

173300, C., rv. 255195, nonché, nello stesso senso Cass., sez. u.,

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