Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16991 del 14/12/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16991 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
AWANI RACHID nato il 01/01/1980

avverso la sentenza del 20/04/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere EMILIA ANNA GIORDANO;

Data Udienza: 14/12/2017

FATTO E DIRITTO

1.

Awani Rachid impugna la sentenza indicata in epigrafe che ne ha

confermato la condanna alla pena di anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro
11.476,00 di multa per il reato previsto dall’articolo 73, comma 1, d.p.r. 9 ottobre 1990,
n. 309 per avere detenuto, al fine di cessione, sostanza stupefacente tipo cocaina, del
peso lordo di gr. 21,40, in Milano il 4 agosto 2016.

2.

L’imputato propone un unico ed articolato motivo di ricorso lamentando

qualificazione giuridica della fattispecie violata poiché, nel caso di specie, sussistevano
tutti i presupposti per l’applicazione del fatto di lieve entità di cui all’articolo 73, comma 5,
d.p.r. n. 309 del 1990 che la Corte territoriale ha erroneamente escluso valorizzando il
dato quantitativo dello stupefacente detenuto.

3. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza e per la genericità dei
motivi dedotti.
La Corte territoriale, nel respingere l’analogo motivo di appello pressoché
strutturato negli stessi termini, ha affermato che il fatto di lieve entità non poteva essere
riconosciuto tenuto conto dell’elevatissimo numero di dosi medie droganti ricavabili dalla
sostanza stupefacente detenuta che presentava un elevato grado di principio attivo e dei
connotati dell’attività di spaccio svolta dall’imputato, affatto occasionale o episodica bensì
continuativa e organizzata, come era dato di evincere dal rinvenimento di due telefoni
cellulari, uno dei quali dedicato proprio a mantenere i contatti con la persona alla quale
avrebbe dovuto consegnare lo stupefacente. Nel pervenire a tale conclusione la Corte
d’appello si è attenuta al principio di diritto, confermato dalle Sezioni Unite, secondo il
quale il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 può
essere riconosciuto solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile
sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla
disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno
degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911),
principio da confermare anche a seguito della modifica legislativa che ha configurato la
fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come ipotesi autonoma di reato
piuttosto che circostanziale del reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4 d.P.R. cit..

4. Naturalmente il giudizio sulla natura negativamente assorbente di uno dei
parametri normativi declinati dall’articolo 73, comma 5, d.p.r. n. 309 del 1990 va eseguito
non in senso assoluto, astraendo il dato di riferimento dal contesto nel quale esso si
inserisce, bensì in relazione a tutte le circostanze del caso specifico le quali possono far
ritenere che un parametro, apparentemente negativo, svolga una funzione neutra ai fini
dell’offensività della condotta, la cui tenuità risulta invece convalidata, senza riserve, dai
restanti parametri.

vizio di violazione di legge e vizio di illogicità della motivazione circa la esatta

5. L’accertamento, in ordine alla ridotta offensività della condotta di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, si risolve comunque in un giudizio di fatto che compete
al giudice di merito e che se, come nella specie, adeguatamente e logicamente motivato,
si sottrae al sindacato di legittimità.

6. Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo dedotto avuto riguardo alla
concreto percorso motivazionale della sentenza impugnata che non si è sottratta alla
specifica valutazione della concreta offensività della condotta e del criterio di
ragionevolezza che impone la proporzione tra quantità e qualità dell’offesa e offensività

di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990.

7. All’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende,
che si considera conforme a giustizia fissare in euro3.000,00 O(i.emila), considerato che
non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità ( cfr. art. 616 cod. proc. pen. e sentenza
Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di 3.000,00 euro alla cassa delle ammende.
Così deciso il g. 14 dicembre 2017

del fatto esaminando la componente oggettiva e soggettiva del reato ritenuto e di quello

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