Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16957 del 21/01/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16957 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
TARQUINI ROBERTO, nato a Roma il 03/06/1968,
avverso la sentenza n. 11828/15 del TRIBUNALE di ROMA,
del 07/07/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI
lette le conclusioni del RG. Dott. Gioacchino Izzo, che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso, con le ulteriori statuizioni di legge

1

Data Udienza: 21/01/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 07/07/2015 il Tribunale di Roma, in composizione
monocratica, su concorde richiesta delle parti, applicava ex artt. 444 e ss. cod.
proc. pen. a Tarquini Roberto la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed
euro 400,00 di multa per il reato di cui all’art. 628 comma 2 cod. pen. commesso

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato,
sollevando, quale unico motivo di gravame, la mancanza di motivazione in ordine
alle ragioni in base alle quali escludere la ricorrenza delle ipotesi di
proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen., essendo state queste escluse
con mere formule di stile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile. Con il motivo proposto, infatti, non vengono
indicate le specifiche ragioni per le quali avrebbe dovuto essere pronunziata
sentenza di proscioglimento: secondo l’orientamento di questa Corte, che il
collegio condivide, invece, nell’ipotesi di impugnazione di una decisione assunta
in conformità alla richiesta formulata dalla parte secondo lo schema
procedimentale previsto dall’art. 444 cod. proc. pen., l’esigenza di specificità
delle censure deve ritenersi addirittura “rafforzata” rispetto ad un’ipotesi di
diversa conclusione del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia
accolto la domanda dell’imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto,
proprio quanto dalla stessa parte richiesto (Sez. U. n. 25939 del 28/02/2013, Rv.
255348; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247841).
Per altro verso, deve anche rilevarsi che l’obbligo della motivazione, imposto
al giudice dall’art. 111 Cost. e dall’art. 125, comma terzo, cod. proc. pen. per
tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su
richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato
alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla
quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice
presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative
della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con
cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una

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in Roma in data 01/07/2015.

delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle
parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 (Sez. U. n. 10372 del
27/9/1995, rv. 202270; Sez. 1, n. 4688 del 10/1/2007, rv 236622).

richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento di
cui all’art. 129 cod. proc. pen., può essere oggetto di controllo di legittimità,
sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza
impugnata appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità di cui
all’art. 129 succitato. (Sez. 3, n. 2309 del 18/6/1999, rv 215071). Nel caso di
specie, invece, dal testo della sentenza non emergono in alcun modo cause di
non punibilità, invece esplicitamente ritenute insussistenti dal giudice di merito
anche alla luce della “sostanziale ammissione dell’imputato”.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 2000,00.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 21 gennaio 2016

re estensore

Il Consi
Dott.

cia

Imperiali

Il Presi
Dott. A to

ipino

In ogni caso, la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su

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