Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16954 del 21/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16954 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

HANGU Horia, nato il 14/01/1979;

Avverso l’ordinanza n. 109/2017 della Corte di Appello di Catania in data 17/05/2017;

Visti gli atti e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Giovanni Di Leo, che
ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato;

1

Data Udienza: 21/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 17/05/2017 la Corte di Appello di Catania rigettava la
richiesta avanzata da Hangu Horia di revoca della sentenza in data 07/04/2015 di
riconoscimento della condanna inflitta all’Hangu medesimo dal Tribunale di Usi
(Romania) per evasione fiscale. Rilevava la Corte di Appello che l’istanza si fondava
sul fatto che l’evasione fiscale di cui alla condanna riguardava la somma pari ad C
5.365,81 quindi inferiore alla soglia di rilevanza penale della legge italiana (pari alla

italiana; ma concludeva il giudice che la legge italiana prevedeva tuttavia quel reato
e non era possibile sindacare la diversa soglia di punibilità di un altro Paese.

2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore
Avv. Matilde Lipari, deducendo erronea applicazione della legge penale: sostiene che
la normativa italiana non considera come reato l’evasione fiscale dell’entità di cui alla
condanna del ricorrente, per cui la sentenza straniera non poteva essere riconosciuta,
difettando un elemento costitutivo del reato.

3. Il PG chiede l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.
Giova precisare che la vicenda processuale de qua si è sviluppata nell’ambito della
procedura volta all’esecuzione di un mandato di arresto europeo.
Il mandato di arresto europeo, previsto dalla decisione quadro 2002/584/GAI del
Consiglio del 13 giugno 2002, costituisce la prima concretizzazione nel settore del
diritto penale del principio di mutuo riconoscimento. La decisione quadro sopra
indicata ha trovato attuazione nell’ordinamento italiano con la legge 69 del 12 aprile
2005, pubblicata in G.U. n. 98 del 29 aprile 2005, ed entrata in vigore, dopo il
periodo ordinario di vacatio legis,

il successivo 14 maggio: è dunque a questa

normativa specifica che occorre fare riferimento.
Il mandato di arresto europeo viene definito come una decisione giudiziaria
emessa da uno Stato membro di emissione in vista dell’arresto o della consegna da
parte di altro Stato membro (di esecuzione) di una persona, al fine dell’esercizio di
funzioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di
sicurezza privative della libertà personale (art. 1, 2° co.).
Quindi tale strumento può essere utilizzato per: 1) l’esecuzione di una misura
cautelare, anche se adottata al fine di consentire la partecipazione al processo
dell’imputato ma non anche per la sola sottoposizione ad atti investigativi (M.a.e. cd.
2

somma di C 50.000,00): pertanto il fatto non era previsto come reato dalla legge

Processuale); 2) l’esecuzione di una pena o misura di sicurezza privative della libertà
personale (M.a.e. cd. Esecutivo).
In questo ambito non può ignorarsi che l’art. 2 della Legge n° 69 del 2005
reintroduce sostanzialmente il principio della “doppia incriminazione”, prevedendo
che l’Italia darà esecuzione al mandato di arresto europeo solo nel caso in cui il fatto
sia previsto come reato anche dalla legge nazionale.
Tuttavia essa introduce alcune deroghe, quali, ad esempio, i reati specificamente
indicati dall’art. 3 della legge medesima, per i quali la consegna è obbligatoria, a

libertà pari o superiore a tre anni.
Parimenti – ed è quanto rilevante per quel che qui occupa – vi è una deroga
espressa per i reati in materia di tasse e imposte che siano assimilabili, per analogia,
a tasse o imposte per le quali la legge italiana prevede, in caso di violazione, la
sanzione della reclusione della durata massima, escluse eventuali aggravanti, pari o
superiore a tre anni.

2. Nella fattispecie, il riconoscimento della sentenza straniera era avvenuto ad
opera della Corte di Appello nel quadro di una ipotesi particolare e cioè quella della
decisione contraria alla consegna del cittadino straniero; trattasi delle ipotesi di
rifiuto specificamente previste dall’art. 18 della Legge menzionata: così, fra le altre
ipotesi, può essere assunta la decisione del rifiuto di consegna del cittadino di un
altro Paese membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia
residenza o dimora nel territorio italiano; ciò, però, ai fini dell’esecuzione della pena
detentiva in Italia conformemente al diritto interno.
Questa è stata appunto la decisione assunta con la sentenza in data 07/04/2015
della Corte di Appello di Catania, che, non procedendo alla consegna del ricorrente
richiesta con il M.a.e., riconosceva la sentenza di condanna rumena, dando così inizio
al rapporto di esecuzione.
Ora il ricorrente sostiene che non poteva esservi riconoscimento della sentenza
straniera poiché, pur se entrambi gli ordinamenti (italiano e rumeno) prevedevano il
reato di evasione fiscale, la normativa italiana richiedeva, per la configurabilità del
reato, una soglia pecuniaria evasa molto più elevata rispetto all’analoga fattispecie
criminosa rumena (soglia che, nella fattispecie, non era stata violata).
Ma questo assunto non è accoglibile: per come visto in precedenza, l’art. 7 della
Legge n. 69 del 2005 consentiva il riconoscimento della sentenza straniera pur in
assenza della c.d. “doppia incriminazione”, in quanto la pronunzia verteva in tema di
reati fiscali per i quali vi era analoga previsione nell’ordinamento italiano e in quello
rumeno e in quanto la corrispondente fattispecie criminosa italiana era punita con
una pena superiore, nel massimo, a quella indicata come parametro dell’art. 7 prima
indicato.

prescindere dalla doppia incriminazione, purché sia prevista una pena privativa della

3.

Dunque il riconoscimento della sentenza straniera era stato effettuato

correttamente: al più, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare all’epoca quella
sentenza di riconoscimento, ma la sentenza citata del 07/04/2015 era divenuta
irrevocabile il 19/04/2015 (come da apposizione sulla copia in atti), per cui è agevole
desumere che essa non era stata impugnata.
Il ricorso va dunque rigettato: al rigetto consegue la condanna del ricorrente al

P.Q.M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21 febbraio 2018.
Il Consiglier estensore
Antonio Nflnchell,)

Il Presidente
(Francesco Silvio Maria Bonito)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Prima Sezione Penale
DlIpOeitate in Cancelleria oggi
Roma, n 2_ 6

APRI_ 2018

•■••■•••■•••••

pagamento delle spese processuali.

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