Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16950 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16950 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
• Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucca
nei confronti di
LOSSI Luca n. Pietrasanta il 07/02/1974
BARTELLETTI Francesco n. Seravezza il 29/08/1978
GUGLIELMI Emanuele n. Pietrasanta il 09/11/1977
MADAU Giuseppe n. Carbonia il 20/11/1943

avverso la sentenza emessa in data 24/04/2015 del giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Lucca
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24/04/2015 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale
di Lucca disponeva, ex art. 425 c.p.p., comma 3, il non luogo a procedere nei
confronti di LOSSI Luca, BARTELLETTI Francesco, GUGLIELMI Emanuele e
MADAU Giuseppe imputati del reato di estorsione in concorso in danno di Fava
Monica, ritenendo che gli elementi d’indagine non consentissero di sostenere in
giudizio attesa “la grave e vistosa lacuna su un punto centrale della vicenda

Data Udienza: 20/04/2016

ossia il compimento da parte degli imputati di una condotta improntata a
minaccia quale arma per realizzare un ingiusto profitto con altrui danno”
(oggetto del capo d’imputazione era il trasferimento di beni e denaro effettuato
dalla parte lesa in favore della Fortem srl quale condizione per la sua assunzione
a tempo indeterminato presso quella società, della quale il Lossi, il Bartelletti ed
il Guglielmi erano soci; la minaccia veniva ravvisata nel venir meno
dell’opportunità lavorativa in caso di inottemperanza alle richieste e la costrizione

2. Avverso la suddetta sentenza, il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Lucca ha proposto ricorso per cassazione deducendo motivazione
contraddittoria ed illogica nonché erronea applicazione dell’art. 425 c.p.p., in
quanto, nonostante vi fossero sicuri elementi per il rinvio a giudizio, il giudice
dell’udienza preliminare aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere.

RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. In diritto, va premesso, che, in base all’art. 425 c.p.p., comma 3, il giudice
dell’udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a provvedere
quando il materiale probatorio sia assolutamente inidoneo a sostenere l’accusa in
giudizio e cioè quando mancano le condizioni per una prognosi favorevole
all’accusa; il giudizio del giudice dell’udienza preliminare, quindi, dev’essere di
mera valutazione processuale e non un vero e proprio giudizio di merito sulla
colpevolezza dell’imputato, giudizio che compete solo al giudice del dibattimento:
in termini Cass. 22864/2009 rv. 244202 – Cass. 45046/2008 rv. 242222 – Cass.
14034/2008

rv.

239514

Cass.

13163/2008

rv.

239701.

Il giudice dell’udienza preliminare infatti ha una funzione di filtro e, nel rispetto
di tale funzione, gli spetta decidere se il materiale probatorio offerto dall’accusa
sia o meno idoneo a sostenere l’accusa in giudizio: giudizio prognostico che è di
natura processuale e non di merito, sicché dev’essere escluso il proscioglimento
in tutti quei casi in cui le fonti di prova a carico dell’imputato si prestino a
soluzione alternative o aperte o, comunque, possano essere diversamente
rivalutate: in termini, Cass. sez. 2^ 8/10/2008 n 40406 – Cass. 35178/2008 Rv.
242092; Cass. sez. 1, sent. n. 3922/2012.
2. In fatto, va osservato che il P.m. aveva richiesto il rinvio a giudizio
dell’imputato per il seguente capo d’imputazione: “del reato di cui agli artt. 110 e
629 c.p., perché in concorso tra loro, Lossi, Bertelletti e Guglielmi…con minaccia
rivolta a Fava Monica e consistente nel venir meno all’impegno di assumerla alle

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nella forzosa consegna di quanto preteso).

dipendenze della Fortem srl, costringevano la predetta a riconsegnare l’importo
di C 2.500,00 che la stessa aveva dai medesimi percepito quale corrispettivo
della vendita di propri macchinari effettuati a favore della società…”.
Il giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto di pronunciare sentenza di non
luogo a procedere perché, dalla lettura degli atti e, in particolare, delle
dichiarazioni della parte offesa, non si rinverrebbe traccia di minaccia o di
condotta intimidatoria per ottenere la restituzione della somma di C 2.500,00

Il ragionamento seguito dal giudice dell’udienza preliminare deve ritenersi del
tutto corretto perché non consiste in un’anticipazione del giudizio di merito sugli
elementi probatori a base della richiesta di rinvio a giudizio.
Al contrario, dalla lettura della sentenza impugnata si rileva la valutazione
squisitamente processuale del materiale acquisito in fase d’indagine nella
prospettiva del giudizio, in relazione alla possibilità di sostenere l’accusa.
E’ stata così riscontrata l’assenza – evidente – di un elemento costitutivo del
reato di estorsione ossia la minaccia, estranea alle stesse dichiarazioni della
denunciante – così come riportate anche dal PM ricorrente – dal cui tenore si
evince che:

alla Fava fu assicurata l’assunzione a tempo indeterminato in cambio della
vendita di macchinari e della restituzione del prezzo di acquisto versato
(di gran lunga inferiore a quello di mercato);

la denunziante fu posta nell’alternativa di accettare le pretese economiche
degli imputati o di rinunciare all’impiego (“tu mi cedi i macchinari ed io ti
assumo”, secondo la sintesi riportata a pag. 3 del ricorso):;

la denunzia fu conseguenza di un’assunzione a tempo determinato (sei
mesi), retribuita in misura non corrispondente alle ore lavorative.

Emerge quindi dagli elementi di accusa che gli imputati furono determinati nel
pretendere attribuzioni patrimoniali per accettare la richiesta occupazionale e che
poi non rispettarono l’impegno preso.
Orbene, è principio acquisito in giurisprudenza che per la configurabilità del reato
di estorsione non basta l’esercizio di una generica pressione alla persuasione o la
formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma occorre che l’agente si
avvalga di modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo
obbligate, facendo sì che non le venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra

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s.

trattandosi “di semplice richiesta”.

il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e
immediato (ex multis Cass. sez. 2, sent. n. 13043 del 07/11/2000 – dep.
14/12/2000 – Rv. 217508).
Nel caso di specie la denunziante non fa cenno a comportamenti dotati di
concreta forza intimidatrice; ben poteva, anzi, sottrarsi alla richiesta, rinunciando
alla prospettiva lavorativa, senza che tale evenienza potesse considerarsi un
pregiudizio direttamente riconducibile agli imputati che non avevano l’obbligo di

La giurisprudenza citata dalla procura ricorrente non è altresì pertinente facendo
riferimento a fattispecie del tutto diversa, caratterizzata dalla promessa del
datore di lavoro di assumere un lavoratore previa accettazione di condizioni
contrarie alla normative vigente (in materia lavoristica) ed alla contrattazione
collettiva, venendo in tal caso in rilievo la libertà di negoziare e,
successivamente, di agire per far valere la nullità delle clausole contrattuali.
In conclusione la sentenza impugnata è all’evidenza immune da censure, con
conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma il giorno 20 aprile 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

assumerla né volevano imporre la loro volontà in tal senso.

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