Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16948 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16948 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

DE ROSA Raffaele nato a Napoli il 14/10/1987
AMBROSINO Francesco nato a Napoli il 03/06/1985

avverso la sentenza emessa in data 02/03/2015 della Corte di Appello di Napoli
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di entrambi i ricorsi;
udito il difensore del ricorrente De Rosa, avv. Enrico Coppola del foro di Napoli
che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 02/03/2015 la Corte di Appello di Napoli, in riforma della
sentenza emessa il 25/02/2014 dal giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Nola, appellata da De Rosa Raffaele e Ambrosino Francesco,
riduceva la pena inflitta all’Ambrosino nella misura di tre anni di reclusione ed C
800,00 di multa e confermava nel resto.
La conferma si riferiva all’accertamento di responsabilità per il reato di rapina
aggravata in concorso, in danno di Sapuppo Giuseppe, conseguente alla
sottrazione di una collanina d’oro, con violenza consistita nel percuotere con
forza la vittima che opponeva resistenza; la rimodulazione della pena riguardava

Data Udienza: 20/04/2016

altresì solo l’Ambrosino in ragione del comportamento processuale di piena
ammissione degli addebiti, nella permanenza del diniego delle attenuanti per il
ruolo prevalente di autore materiale della rapina, e non il De Rosa, condannato previo riconoscimento di circostanze attenuanti equivalenti alle contestate
aggravanti – alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed C 400,00 di multa.
La Corte rigettava infine il motivo di appello relativo alla richiesta di applicazione
dell’art. 62 comma 1 n. 4 cod. pen. ritenendo che la riparazione del danno,

risarcimento, non fosse stata integrale.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli
imputati.
De Rosa Raffaele per far valere: a) la nullità della sentenza per violazione del
diritto di difesa in relazione all’ordinanza del 02/03/2015 con la quale la corte di
appello aveva rigetta l’eccezione basata sull’omessa notifica al co-difensore del
decreto di citazione; b) la mancanza / carenza di motivazione in ordine alla
qualificazione del reato come rapina anziché furto con strappo ex art. 624 bis
cod. pen. a fronte dei rilievi dell’appellante circa le discrasie riscontrate fra le
dichiarazioni della parte lesa e le immagini estrapolate dal sistema di
videosorveglianza alle quali si faceva riferimento in sentenza.
Ambrosino Francesco per lamentare il vizio di legge e di motivazione ex art. 606
lett. b) ed e) in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche,
in ragione anche della disparità di trattamento con l’altro imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Il primo motivo di impugnazione del De Rosa – con il quale si prospetta la
nullità

del

giudizio

perché

il

decreto

di

citazione

per

il

dibattimento d’appello è stato notificato ad uno solo dei difensori di fiducia e non
anche all’altro – non tiene conto dei principi più volte espressi a riguardo da
questa Corte, anche a sezioni unite.
Secondo quanto affermato da Cass., sez. un.
n.

39060,

rv.

16 luglio 2009,

244187, il difensore presente, tra due nominati

dall’imputato, è soggetto necessario e sufficiente per
costituire la parte. E deve eccepire la nullità – da considerarsi di
ordine generale a regime intermedio – per il caso di mancato avviso
all’altro difensore, al più tardi immediatamente dopo gli atti

2

L

mediante versamento alla vittima della somma di C 400,00 a titolo di

preliminari,

prima

delle

conclusioni

qualora

il

procedimento

non

importi altri atti, perché il suo svolgersi presume la rinuncia all’eccezione o
l’avvalersi delle facoltà di parte che hanno sanato la stessa
nullità.
La nozione di “parte interessata” di cui al primo comma dell’art. 184 cod. proc.
pen. va infatti interpretata riferendola al collegio difensivo e
non separatamente al singolo difensore che, anzi, deve tutelare

superiore interesse del suo ministero. In altri termini, per “parte”
deve intendersi, nel rapporto esterno con altri soggetti, il
complesso delle persone accomunate da uno stesso interesse.
Dal tenore delle norme processuali così come interpretate dalla Suprema Corte
emergono pertanto i seguenti principi di diritto: 1) l’omessa notificazione
dell’avviso per il giudizio all’unico difensore, di fiducia o d’ufficio che sia,
quando ne determini l’assenza, integra una nullità di ordine
generale ed assoluta, ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. che può quindi essere
dedotta, nonostante sia intervenuta prima
del giudizio, anche con l’impugnazione della sentenza che ha concluso
la successiva fase processuale; 2) qualora vi siano, invece,
due difensori di fiducia, è sufficiente ad evitare che si verifichi
la nullità assoluta di cui sopra la circostanza che almeno uno
dei due sia stato regolarmente avvisato dell’udienza, configurandosi in tal caso
una nullità a regime intermedio che deve essere
eccepita in udienza dal difensore presente, sia questo di fiducia o
d’ufficio.
Il

secondo di

tali

principi

è quello che trova

applicazione

nel

caso di specie. Dalla stessa narrativa del ricorso emerge, infatti,
che il decreto di citazione in appello è stato ricevuto da uno solo dei due
difensori di fiducia dell’imputato; la “parte” che,
come visto, coincide con il collegio difensivo nel suo complesso – ha pertanto
avuto piena e regolare conoscenza della data dell’udienza camerale, con
la conseguenza che la comparizione di un difensore di fiducia senza che questi
abbia tempestivamente eccepito l’omesso avviso all’altro difensore ha avuto
l’effetto di sanare in grado d’appello la relativa nullità intermedia ai sensi
dell’art.184 comma 1 cod. proc. pen. rendendo altresì tardiva la successiva
proposizione dell’eccezione (cfr. sul punto l’ampia motivazione in Cass. sez. 3,
sent. n. 38201 del 12/06/2013 – dep. 17/09/2013 – Rv. 256980).

3

l’intera posizione processuale da lui rappresentata ed assistita nel

Correttamente pertanto la corte territoriale non ha ravvisato la dedotta
violazione del diritto di difesa.
2. E’ inammissibile il secondo motivo di appello del De Rosa relativo al vizio
motivazionale circa la qualificazione del reato traducendosi in una censura in
fatto, non proponibile in sede di legittimità.
Dalla lettura degli atti emerge infatti che:
– la corte territoriale – esaminando il relativo motivo d’impugnazione – ha

integra il reato di furto con strappo la condotta di violenza immediatamente
rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la
detiene, mentre ricorre il delitto di rapina quando la violenza sia stata esercitata
per vincere la resistenza della persona offesa, giacché in tal caso è la violenza
stessa – e non lo strappo – a costituire il mezzo attraverso il quale si realizza la
sottrazione (di recente Cass. sez. 2, sent. n. 2553 del 19/12/2014 – dep.
21/01/2015 – Rv. 262281);
– il racconto della parte lesa ha trovato riscontro nelle immagini registrate dal
sistema di videosorveglianza installato all’esterno del supermercato, acquisite
dagli inquirenti subito dopo la denuncia che mostrano tutte le varie fasi
dell’azione criminosa (pag. 3 della sentenza di primo grado richiamata per
relationem dalla corte di appello);
– nella denuncia, allegata al ricorso, la parte lesa ha riferito di aver cercato di
opporre resistenza per evitare la sottrazione della collanina e “nel frangente è
nata una piccola colluttazione” in quanto “il malvivente continuava a percuotermi
con forza per vincere la mia resistenza”;
– le dichiarazioni della parte offesa – attestante la violenza fisica, esercitata
appunto per vincere la sua resistenza – sono state legittimamente poste a
fondamento dell’affermazione di responsabilità per la rapina, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, tenendosi altresì conto che nella
fattispecie la persona offesa non si è costituita parte civile e che la sua posizione
può quindi parificarsi a quella di qualunque altro dichiarante non coinvolto nel
fatto a ragione della totale assenza di interessi di carattere patrimoniale;
– la corte territoriale ha ritenuto che il protrarsi della violenza, anche se per
pochi secondi, esclude che possa trattarsi “di violenza riflessa ed involontaria”
sulla vittima, ripetutamente strattonata per vincere l’ostacolo frapposto
all’impossessamento della collanina, con una valutazione che – a prescindere
dall’esatta quantificazione dei secondi (dato in sé di secondaria rilevanza) – si

4

richiamato la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui

sottrae a censure motivazionali e, soprattutto, al denunciato vizio di manifesta
illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod.
proc. pen.
3. Il ricorso dell’Ambrosino è manifestamente infondato.
Sostiene il ricorrente la violazione delle norme relative alla determinazione del
trattamento sanzionatorio (artt. 133 e 62 bis cod. pen.) nonché la
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione relativamente al diniego
della circostanze generiche.

condiviso dal Collegio, in tema di attenuanti generiche – posto che la ragion
d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un
adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla
legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto
quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile – la meritevolezza di detto
adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar
luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di
giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è
la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi
l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli
elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso,
adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica
richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi
delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò
comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione
degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. (Cass. Sez. 1^ sent. n.
11361 del 19.10.1992 dep. 25.11.1992 rv 192381).
Nel caso di specie la corte territoriale ha fatto riferimento – ai fini del mancato
riconoscimento delle attenuanti – “al ruolo preminente svolto dallo stesso nella
commissione del reato”, in quanto autore materiale della rapina, richiamando la
gravità della condotta delittuosa, con argomentazione del tutto plausibile.
4. Entrambi i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento e ciascuno al versamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di €
1.500,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

5

Si deve in proposito ribadire che, secondo l’orientamento di questa Corte,

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di C 1.500,00 in favore della
Cassa per le Ammende.

Così deciso in Roma il giorno 20 aprile 2016

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