Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16945 del 21/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16945 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
TAVIAN Adrian, nato il 16/02/1987;
Avverso l’ordinanza n. 2/2017 del Tribunale di Rovigo in data 29/05/2017;
Visti gli atti e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Luigi Orsi, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza in data 29/05/2017 il Tribunale di Rovigo rigettava la richiesta di
Tavian Andrian di revoca del provvedimento di esecuzione pene concorrenti emesso
dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo n. 149 del 2016. Rilevava
il Tribunale che la richiesta si fondava sull’asserzione della mancata conoscenza del
procedimento sino al momento dell’esecuzione, per cui si chiedeva l’annullamento
della sentenza del Tribunale di Rovigo del 02/11/2011: tuttavia la contumacia era
stata ritualmente dichiarata poiché l’interessato aveva eletto domicilio presso il
difensore di ufficio ed ivi aveva ricevuto tanto l’avviso di fissazione dell’udienza
preliminare quanto il decreto di citazione a giudizio e l’estratto contumaciale, senza

Data Udienza: 21/02/2018

che si rilevassero nullità nelle notifiche; se poi la richiesta andava considerata come
fosse volta alla remissione in termini ex art. 175 cod.proc.pen., allora essa era
tardiva poiché avanzata (il 28/12/2016) oltre i trenta giorni dall’avvenuta conoscenza
del provvedimento (18/10/2016).
Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato personalmente. Con il primo
motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., erronea applicazione
della legge penale: sostiene che non vi era alcuna prova che egli avesse tenuto
contatti con il difensore di ufficio per cui il procedimento si era svolto in contumacia

eletto non equivale ad una notifica personale; inoltre l’impugnazione nei termini
richiede tecnicismo ed egli non era stato in grado di farlo tempestivamente. Con il
secondo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen, manifesta
illogicità di motivazione poiché la decisione negativa era stata illogica ed
ingiustificata, considerata l’istruttoria e la documentazione prodotta. In subordine si
chiedeva alla Corte la remissione in termini.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Le doglianze del ricorrente sono manifestamente infondate.
Il giudice dell’esecuzione ha correttamente rilevato che il ricorrente, contumace,
aveva eletto domicilio presso il difensore di ufficio e che aveva così ricevuto la
notifica dell’avviso di udienza preliminare nonché il decreto di citazione a giudizio e
l’estratto contumaciale della sentenza: il ricorrente non censura affatto questi dati
oggettivi ed allora va preso atto che non si trattava di meri atti di polizia giudiziaria,
ma di atti che fanno conoscere in modo effettivo sia l’esistenza del procedimento che
quella del provvedimento finale. Il ricorrente, per come detto, non contesta questi
aspetti della notifica al domicilio eletto, ma sostiene che non vi era prova di un suo
contatto con il difensore; ma si tratta di una doglianza manifestamente infondata: il
rapporto professionale è perdurato e comunque, in questo ambito, il giudice è
certamente tenuto a verificare la conoscenza del provvedimento, ma altrettanto
certamente deve farlo sulla base di idonee allegazioni dell’interessato che indichino le
ragioni sottese alla mancata conoscenza del provvedimento regolarmente notificato
(Sez. 5, n. 139 del 14/10/2015, Rv. 265678). Al contrario, nella fattispecie, il
ricorrente formula, in modo generico peraltro, mere congetture a contrario.
Quanto al secondo motivo, esso è ancora più generico e, pur denunciando
formalmente vizi di motivazione, non individua singoli aspetti del provvedimento
impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, ma tende in realtà a provocare
una nuova e non consentita valutazione della posizione processuale, la quale, invece,
è stata correttamente determinata.
Quanto precede fa discendere l’inammissibilità della subordinata richiesta di
remissione in termini.

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ed egli non aveva saputo alcunchè di esso, considerato che la notifica ad un domicilio

Il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo
ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende,
determinabile in 2.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

ammende.
Così deciso il 21 febbraio 2018.
Il Consiglier estensore
Antonio M chell

Il Presidente
(Francesco Silvio Maria Bonito)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleyip oggi
Roma, n kii_ APR. culo

processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro alla Cassa delle

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