Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16932 del 14/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16932 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZINGARELLO UMBERTO nato il 07/06/1965 a LECCE

avverso l’ordinanza del 06/06/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MQ_NI .CA BONI;

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lette/serrtitele conclusioni del PG
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Data Udienza: 14/02/2018

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 6 giugno 2017 il Tribunale di sorveglianza
dell’Aquila rigettava la richiesta, proposta dal detenuto Umberto Zingarello,
volta ad ottenere l’accertamento della collaborazione impossibile in relazione ai
delitti di omicidio premeditato, distruzione di cadavere e violazione della legge

Corte di Assise di appello di Bari dell’11/1/2007, irrevocabile il 4/9/2008.
1.1A fondamento della decisione il Tribunale di sorveglianza rilevava che,
in riferimento all’omicidio in danno di Raffaele Riezzo ed ai connessi reati, pur
essendo state acclarate tutte le circostanze relative, non era stata dimostrata
l’altra condizione indefettibile, richiesta per legge, dell’assenza di collegamenti
con la criminalità organizzata del condannato, che aveva un nutrito curriculum
criminale, maturato nell’ambito della sua militanza nella Sacra Corona Unita ed
aveva tenuto un atteggiamento durante la carcerazione, pur corretto, ma tale
da non rivelare una effettiva rivisitazione critica delle passate esperienze
devianti e la presa di distanza dall’organizzazione mafiosa di riferimento.
1.2 Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del
difensore per chiederne l’annullamento per :
a)

violazione di legge quanto agli artt.

4-bis, 58-ter ord. pen. in tema di

competenza a decidere sulle condizioni per l’accesso ai benefici penitenziari. Il
provvedimento si pone in contrasto con il principio stabilito dalla sentenza della
Corte di cassazione sez. 1 n 26567 del 2017, per la quale l’accertamento
dell’ulteriore presupposto della rescissione dei collegamenti con la criminalità
organizzata spetta all’organo investito della richiesta di concessione del
beneficio penitenziario, che nel caso è rappresentato dal magistrato di
sorveglianza.
b) Violazione di legge quanto agli artt. 4-bis, 58-ter ord. pen. in ordine al
giudizio di insussistenza di elementi per ritenere venuti meno i collegamenti
con la criminalità organizzata. Le notizie valorizzate nell’ordinanza impugnata,
ossia la mancata revisione critica, la mancata dissociazione e lo spirito
contestativo, non si traducono necessariamente nella dimostrazione positiva
del mantenimento di contatti con l’organizzazione criminosa di appartenenza,
potendo dipendere da difficoltà di ordine psicologico che non implicano la
persistenza di vincoli con formazioni criminose organizzate.
c) Violazione di legge e vizio di motivazione quanto agli artt. 4-bis e 58-ter ord.
pen. in ordine al giudizio di insussistenza di elementi per ritenere venuti meno i

1

sulle armi, giudicati con la sentenza di condanna all’ergastolo, emessa dalla

collegamenti con la criminalità organizzata. Nell’interpretazione offerta dalla
Corte di cassazione (sez. 1, n. 19673 del 2017), l’attualità dei collegamenti
deve essere accertata in concreto e sulla base di specifici elementi sintomatici,
indicativi di perdurante e qualificata pericolosità del detenuto. L’ordinanza non
si è attenuta a tali principi ed è carente di motivazione per avere solo riportato
la biografia giudiziaria del ricorrente e gli scarsi rilievi contenuti nelle
informative di polizia, articolate su mere presunzioni in assenza di autonomo

prodotto dalla difesa, relativo all’accertamento della cessata pericolosità sociale
ex art. 208 cod. pen. intervenuto sin dal settembre 2004, momento successivo
alla commissione del reato per il quale è stata pronunciata condanna.
Infine, come stabilito dalla sentenza sez. 1 n. 26567 del 2017, l’indagine
per accertare la collaborazione impossibile o inesigibile, deve avvenire
mediante il C.P.O.S.P. come previsto dal secondo comma dell’art.

4-bis ord.

pen., atto istruttorio non acquisito, e deve estendersi anche al tenore di vita
dei familiari del detenuto per verificare se essi beneficino di sovvenzioni da
parte dei sodali ancora liberi.
1.3 Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di
cassazione, dr.ssa Felicetta Marinelli, ha chiesto l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e va accolto.
1.L’art. 4-bis, comma 1-bis ord. pen. prevede che coloro, condannati per i
reati preclusivi ivi elencati, che siano nella concreta impossibilità di collaborare con
la giustizia possono essere ammessi ai benefici penitenziari “purchè siano acquisiti
elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata”:
in altri termini, per i citati condannati non è possibile che residui alcun dubbio sui
legami con le forme di criminalità organizzata, ma vi debbono essere elementi
positivi dimostrativi della recisione di ogni possibile legame di tal fatta.
Pur nel silenzio della norma, l’identità di

ratio

induce a ritenere che

l’accertamento della cd. collaborazione impossibile, specularmente a quanto
previsto per la collaborazione attiva, competa al tribunale di sorveglianza ex art.
58-ter, comma 2, direttamente per le materie rientranti nelle sue attribuzioni e
incidentalmente per quelle del magistrato di sorveglianza.
2. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte di cassazione, cui
questo Collegio intende aderire, in tema di ordinamento penitenziario, la qualità di

2

apprezzamento. Inoltre, non è stato assegnato alcun rilievo al documento

collaboratore a norma della L. 26 luglio 1975, n. 394, art. 58-ter e succ. modd. non
può formare oggetto di una pronuncia dichiarativa di preventivo riconoscimento di
una condizione assimilabile ad uno “status”, ma deve essere accertata nell’ambito
di un procedimento di merito attivato dalla richiesta di ottenimento di un beneficio
in relazione al quale l’accertamento della condotta collaborativa costituisce
presupposto per superare il divieto altrimenti posto dall’art. 4-bis della medesima
legge. (sez. 1, n. 9301 del 05/02/2014, Miranda Quintero, rv. 259471; sez. 1, n.
1865 del 05/03/1999, Sparta Leonardi, rv. 213066; sez. 1, n. 29195 del

232464; sez. 1, n. 7267 del 31/01/2006, Mazzaferro, rv. 234072).
2.1. Ritiene il Collegio, sulla base di orientamento ormai consolidato e
diversamente da quanto affermato da più risalente sentenza di questa Corte (sez.
1, n. 4473 del 03/07/1996, Brizuela, rv. 205637), aderendo ad autorevole dottrina,
che il provvedimento del tribunale che accerta preventivamente l’eventuale
collaborazione con la giustizia del detenuto, anche in riferimento alla richiesta di
benefici di competenza del magistrato di sorveglianza, sia autonomamente
impugnabile con ricorso per cassazione. Orienta questa conclusione l’inestricabile
situazione che si verrebbe a creare nel caso in cui la Corte di cassazione, adita dal
condannato che si è visto rigettare dal magistrato di sorveglianza la richiesta di un
provvedimento rientrante nella sua competenza, ad esempio un permesso premio o
l’assegnazione al lavoro esterno, per avere il tribunale di sorveglianza escluso
l’impossibilità della collaborazione, dovesse in accoglimento del ricorso ritenere
viziata questa verifica. In questo caso il giudice di legittimità non potrebbe che
annullare il provvedimento di rigetto e restituire gli atti al magistrato di
sorveglianza per un nuovo esame dell’istanza, senza però poter incidere sul
provvedimento negativo del tribunale, in quanto non investito dall’impugnazione.
Esame questo che il magistrato di sorveglianza non potrebbe che compiere sulla
base dello stesso accertamento ritenuto dalla Corte di cassazione viziato.
2.2. Sotto altro aspetto, osserva il Collegio che l’art.

58-ter, comma 2, ord.

pen., nel prevedere che “Le condotte indicate nel comma 1 sono accertate dal
tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico
ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata
la collaborazione”, rimette al giudicante di verificare sulla base degli atti a
disposizione la sussistenza del requisito della impossibilità di qualsiasi attività
collaborativa. La norma, invece, nulla dice sull’accertamento da parte del tribunale
dell’ulteriore presupposto della rottura dei collegamenti con la criminalità
organizzata, che, a sua volta, “è condizione necessaria sia pure non sufficiente, per
valutare il venir meno della pericolosità sociale”. Ed anzi, il riferimento alle
“condotte” quale oggetto dell’accertamento e la mancanza, diversamente da quanto
3

19/06/2003, Zaccaro, rv. 225066; sez. 1, n. 38288 del 06/10/2005, Lauro, rv.

figura nell’art.

4-bis,

comma 2, di uno specifico riferimento agli organi

istituzionalmente preposti a questa verifica, induce a individuare in questa ultima
norma la fonte che disciplina l’accertamento della persistenza dei collegamenti con
la criminalità organizzata. In questo senso, l’art. 4, comma 1-bis nel prevedere che
“I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno
dei delitti ivi previsti, purchè siano stati acquisiti elementi tali da escludere
l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva,

operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile
collaborazione con la giustizia”, va letto nel senso che spetta all’organo investito
della richiesta di un beneficio penitenziario, magistrato di sorveglianza o tribunale di
sorveglianza, procedere all’accertamento sulla esclusione di attualità di
collegamenti con la criminalità organizzata. E la previsione del medesimo art. 4-bis,
comma 2, secondo cui “il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza
decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del
condannato” convalida tale interpretazione, espressamente individuando la
competenza del giudice di sorveglianza investito della richiesta del detenuto ad
attivare l’interpello – obbligatorio seppur non vincolante – del C.P.O.S.P., al fine appunto – dell’accertamento di tali collegamenti.
3. Nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza, dopo aver appurato che tutti
i fatti per cui il ricorrente era stato condannato erano stati integralmente accertati e
tutti i responsabili erano stati individuati, ha rigettato la sua richiesta, ritenendo che
lo stesso non avesse dato prova di avere reciso i rapporti con la criminalità
organizzata, giudizio questo che, per quanto detto, rientrava nella competenza del
magistrato di sorveglianza deputato al rilascio del permesso premio.
L’ordinanza va quindi annullata e gli atti trasmessi al tribunale di sorveglianza
che si atterrà al seguente principio di diritto “Ai fini della concessione di un
permesso premio, la devoluzione al tribunale di sorveglianza dell’accertamento
incidentale della collaborazione impossibile, ai sensi dell’art.

4-bis, comma 1-bis,

ord. pen. non investe la valutazione sull’assenza di attualità di collegamenti con la
criminalità organizzata, costituente concorrente ma autonoma condizione per la
concessione dei benefici, che spetta al giudice di sorveglianza investito della
richiesta del beneficio, al quale spetta altresì svolgere l’indagine tramite il
C.P.O.S.P. prevista dal medesimo art. 4-bis, comma 2”.

P. Q. M.

4

altresì nei casi in cui (….) l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità,

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
sorveglianza dell’Aquila.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2018.

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