Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16920 del 21/01/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16920 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sui ricorso proposti nell’interesse di

CIMINO MARIO, nato a Crotone il 30/11/1983,
CIMINO SEBASTIANO, nato a Crotone il 23/12/1971

avverso la sentenza n. 648/2008 della CORTE d’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, del 15/10/2013;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. MASSIMO GALLI,
che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi il difensore di Cimino Mario, avv. FABRIZIO SALVIATI del foro
di Crotone, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza
impugnata, ed il difensore di Cimino Sebastiano, avv. FRANCESCO
BRUZZESE, del foro di Roma, che ha chiesto raccoglimento del ricorso
ed ha eccepito la prescrizione del reato di cui al capo b) prima della
sentenza di appello;
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Data Udienza: 21/01/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’8/3/2007 il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava
Cimino Mario e Cimino Sebastiano colpevoli della rapina impropria aggravata
commessa ai danni del bar “Marittima” sito all’interno della stazione FS di Villa
san Giovanni, e Cimino Sebastiano altresì del tentativo di rapina della pistola
d’ordinanza ai danni dell’agente Cardile, in Villa San Giovanni, il 6.1.2002 e,

quattro e mesi sei di reclusione ed euro 1.100,00 di multa, e Cimino Sebastiano
alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
2. Tale pronuncia è stata confermata con sentenza della Corte di Appello di
Reggio Calabria in data 15/10/2013, avverso la quale hanno proposto ricorso per
Cassazione, a mezzo dei loro difensori, entrambi gli imputati.
3. La difesa di Cimino Mario ha sollevato, quali motivi di gravame:
– 3.1. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e
l’illogicità e contraddittorietà della motivazione, assumendosi che la violenza
attribuita al ricorrente non sarebbe stata esercitata al fine del conseguimento dei
beni oggetto di furto, giacché la condotta appropriativa era da ritenersi ormai
terminata, come riferito anche dal teste Cardile, e che la sentenza avrebbe
omesso di motivare in ordine al dolo specifico necessario ad integrare il reato;
– 3.2. la violazione di legge, con particolare riferimento agli artt. 192 e 530
cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione in ordine alla valutazione della
prova ed al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 530 comma 2 cod.
proc. pen, non potendosi ritenere univoco il riconoscimento del ricorrente come
autore dei fatti ascrittigli;
– 3.3. la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione
per essersi limitata la Corte territoriale a ricorrere a mere formula di stile che
non rendono comprensibili le ragioni della decisione;
– 3.4. la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen. per
essere stata ritenuta l’ipotesi della rapina impropria, e dell’art. 606 comma 1
lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione,
fondandosi la sentenza su motivi di fatto e di diritto che non corrispondono alla
realtà processuale;

3.5. la violazione di legge penale e processuale, ed il vizio della

motivazione per illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione in
relazione alla ritenuta sussistenza di circostanze aggravanti ed anche al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche, nonché in relazione ai criteri di

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ritenuta la continuazione tra tali reati, condannava Cimino Mario alla pena di anni

commisurazione della pena.
4. La difesa di di Cimino Sebastiano ha dedotto, quali motivi di gravame:
– 4.1. la violazione di legge, la carenza, l’illogicità e la contraddittorietà della
motivazione, ex artt. 526 e 192 cod. proc. pen., per avere il Tribunale, a seguito
di mutata composizione del collegio, acquisito agli atti e ritenuto utilizzabili le
dichiarazioni testimoniali già rese dinanzi al primo collegio, mediante lettura delle
dichiarazioni testimoniali, poi procedendo all’escussione di tutti i testi già sentiti
prima della rinnovazione del dibattimento, ma fondando il suo convincimento

Corte territoriale omesso di provvedere sullo specifico motivo di gravame
concernente l’utilizzabilità di tali atti.
– 4.2. la violazione degli artt. 187 e 192 cod. proc. pen. e la carenza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato
contestato al primo capo della rubrica, relativo alla rapina impropria, senza
considerare le dichiarazioni della cassiera Barillà in ordine al comportamento
corretto del tifoso Cimino all’interno del locale ove si sono svolti i fatti, e senza
considerare che comunque i generi alimentari, laddove sottratti, erano comunque
rimasti sotto il controllo di personale della Polfer. Contesta inoltre il ricorrente
che sia stata attribuita pubblica fede fino a querela di falso anche alle
dichiarazioni dei pubblici ufficiali, e non già agli atti da loro redatti, senza
spiegare perché tali dichiarazioni siano state ritenute credibili e siano state
ritenute invece inverosimili le dichiarazioni dei testi Barillà e Bellantoni Teresa,
null’altro essendo emerso a carico di Cimino Sebastiano, al di fuori della sua
mera qualità di capo ultras della tifoseria calcistica di ritorno da una partita di
calcio; deduce altresì l’inammissibilità del concorso tra il reato di rapina
impropria ed il tentativo di rapina propria, stante la contestualità delle condotte;
attribuisce, infine, alla relazione di sevizio e non già alle deposizioni testimoniali
degli operanti l’assunto secondo cui “il gruppo era capeggiato dagli odierni
imputati, ritenuti i più esagitati”, e lamenta l’irritualità dell’identificazione degli
imputati e l’insussistenza dell’aggravante delle più persone riunite, a seguito
dell’assoluzione degli altri arrestati;
– 4.3. la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al secondo
capo della rubrica, per aver seguito il giudice dell’appello con motivazione illogica
il quadro accusatorio sposando la tesi del pubblico ufficiale, senza argomentare
sulla diversa ricostruzione offerta dagli imputati e dai testimoni a vario titolo
presenti, ritenendo attendibili solo le dichiarazioni dell’operante Cardile, benché
reticente ed impreciso, ed attribuendo all’operante Cavallo una conferma del

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anche sulle dichiarazioni rese prima del mutamento del collegio, e per avere la

tentativo di sottrazione dell’arma al Cardile, mentre il predetto Cavallo aveva
dichiarato di nulla poter riferire sul punto, perché impegnato a soccorrere altro
collega immobilizzato per terra; il tutto senza considerare che, a tutto concedere,
la Corte avrebbe potuto riconoscere la desistenza volontaria ex art. 56 cod. pen.
Per tali motivi è stato chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
4.4. La difesa di Cimino Sebastiano, infine, nell’udienza pubblica dinanzi a
questa Corte ha eccepito altresì essere maturata la prescrizione del reato dì cui

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. I motivi di impugnazione proposti con i due ricorsi sono tutti
inammissibili.
5.1. Giova premettere che tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche
quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente
ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della
decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono a base
delle sue lagnanze. Nel caso di specie il terzo motivo del ricorso proposto da
Cimino Mario è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581
comma 1, lett. c) cod. proc. pen., lamentando il ricorrente l’asserito “ricorso a
mere formule di stile”, non meglio specificate, da parte della Corte Territoriale,
con conseguenti illogicità della motivazione, anch’esse non individuate nel
ricorso: si tratta di doglianza che, a fronte di una motivazione della sentenza
impugnata esauriente e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono
alla base della censura formulata, non consentendo così al giudice
dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
5.2. Gli altri motivi proposti nell’interesse di Cimino Mario, così come quelli
proposti da Cimino Sebastiano, sono inammissibili, in parte perché anch’essi
generici, e soprattutto perché attengono a valutazioni di merito che sono
insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle
prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi
logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv.
214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del
24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
5.3. La sentenza impugnata, invero, descrive in maniera esaustiva gli
elementi che hanno indotto a ricostruire l’episodio verificatosi il 6/1/2002 presso
la Stazione di Villa San Giovanni, dove alcune persone si erano staccate dalla
comitiva dei tifosi della squadra di calcio del Crotone, che proveniente da

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al capo b) già prima della pronunzia della sentenza del giudizio di appello.

Messina avrebbe dovuto prendere il treno per il rientro e, dopo aver spintonato
gli agenti che scortavano il rientro dei tifosi, erano entrate in un bar dove
avevano arraffato senza pagare generi alimentari, poi distribuiti da Cimino Mario
ai compagni: un gruppo di più facinorosi, poi, avevano aggredito con spintoni,
pugni e calci l’agente della P.S. Cardile che, tra i suoi aggressori, riconosceva
Cimino Sebastiano come colui che aveva tentato di asportargli la pistola di
ordinanza, mentre l’agente si copriva il volto con le mani per difendersi dai colpi.
Il Cardile, dopo aver recuperato la sua pistola, era stato colpito con l’asta di una

malmenato con calci al ginocchio, spintonato e buttato per terra da Cimino
Mario, che aveva anche inseguito l’agente Cardile, mentre questi tentava di
sfuggire alla furia del gruppo, colpendolo al volto con un pugno. Nel riferire tale
ricostruzione dei fatti, la sentenza impugnata ha rilevato che alla duplice
aggressione ha assistito anche l’agente Cavallo, che ha confermato il tentativo di
sottrazione dell’arma, così come tutti gli operanti si sono mostrati concordi
nell’indicare nei due odierni ricorrenti “i più esagitati” tra i facinorosi, tanto che
era stata aggredita anche un’agente donna, Arcidiacono, presa a pugni e
spintonata da uno dei Cimino fino a che uno dei tifosi l’aveva dissuaso “perché è
una signora”, e lo stesso tifoso aveva poi aiutato l’agente ad alzarsi da terra.
A fronte di tale ricostruzione dei fatti, di nessun rilievo appare l’assunto
secondo cui la violenza esercitata da Cimino Mario “non rappresentava il mezzo
per il conseguimento dei beni oggetto di furto né poteva rilevare ai fini
dell’impunità in quanto è del tutto evidente che le due azioni fossero del tutto
scollegate”: la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito evidenzia,
invece, una violenza esercitata sugli agenti immediatamente dopo
l’impossessamento di beni dal bar, ed evidenzia anche come tale violenza fosse
palesemente finalizzata al conseguimento dell’impunità, tanto che la stessa
descrizione del fatto operata in sentenza evidenzia l’intenzionalità della condotta
criminosa dei ricorrenti, sicché nessun vizio di motivazione può riconoscersi a tal
riguardo, né può porsi in dubbio in questa sede la ricostruzione operata in fatto
dalla sentenza impugnata, giacché la valutazione degli elementi posti a base
della decisione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di diverse valutazioni delle
risultanze processuali, ritenute più adeguate dal ricorrente (Sez. Un. n. 6402 del
30/4/1997, Rv. 207944; sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003 Rv. 229369).
Debbono, pertanto, essere riconosciute inammissibili le censure con le quali
il primo, il secondo ed il quarto motivo dell’impugnazione proposta da Cimino

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bandiera ed anche l’agente Caracciolo, intervenuto in suo soccorso, era stato

Mario, e poi anche il secondo ed il terzo motivo proposto da Cimino Sebastiano,
attraverso diverse letture delle risultanze processuali, tendono a contestare la
configurazione del reato di rapina impropria e ad invocare diverse valutazioni
degli elementi di prova rispetto a quella operata dal giudice di merito, soprattutto
in ordine all’attendibilità delle deposizioni testimoniali degli operanti e
dall’identificazione, ad opera di questi, degli odierni r-icorrenti, peraltro senza
nemmeno considerare che la sentenza impugnata ha anche rilevato come le
dichiarazioni degli agenti operanti risultano confortate anche “dalle dichiarazioni

gratuitamente aggredita”, mentre la versione dei fatti prospettata dai ricorrenti è
stata ritenuta del tutto inattendibile e “smentita dai certificati medici in atti, che
attestano le lesioni subìte dalle vittime”.
5.4. Quanto alle predette censure proposte da Cimino Sebastiano avverso la
ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale, deve anche rilevarsi la
manifesta infondatezza dell’assunto secondo cui non sarebbe ammissibile il
concorso del reato di rapina impropria con il tentativo di rapina propria,
risultando i due reati avere ad oggetto beni diversi: l’uno generi alimentari
sottratti ad un esercizio commerciale, ed il secondo la pistola di uno degli agenti
intervenuti. Del pari inammissibili, perché manifestamente infondate, sono anche
le doglianze volte a sostenere l’illogicità della motivazione in ordine al
riconoscimento dell’aggravante di cui al comma 3 dell’art. 628 cod. pen. con una
pronunzia di responsabilità penale soltanto nei confronti dei due ricorrenti, non
solo perché la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata riconosce
la presenza di una ben più vasta pluralità di aggressori, pur se tra costoro
soltanto i due ricorrenti sono stati riconosciuti, ma anche perché è principio
consolidato e pacifico che, in tema di rapina, ricorre la circostanza aggravante
delle più persone riunite anche con la simultanea presenza di due persone nel
luogo e nel momento del fatto, per il maggior effetto di intimidazione che la
presenza di queste esercita sulla vittima (sez. 2, 12/3/2008 n. 15416, rv.
240011).
5.6. Anche la doglianza secondo cui la corte territoriale avrebbe dovuto
riconoscere la desistenza dall’azione criminosa da parte di Cimino Sebastiano è
inammissibile, atteso che non risulta essere stata previamente dedotta come
motivo di appello secondo quanto prescritto a pena di inammissibilità dall’art.
606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince anche dall’atto di appello, e
peraltro si tratta anche di censura manifestamente infondata, atteso che, nel
caso di concorso di persone nel reato, il semplice abbandono o l’interruzione

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rese a supporto dalla commessa del bar danneggiato e dalla ragazza

dell’azione criminosa da parte di uno dei compartecipi non è sufficiente a
integrare la desistenza, ma è necessario un “quid pluris” che consiste
nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva, in modo che
esso non possa essere più efficace per la prosecuzione del reato, con
eliminazione delle conseguenze fino a quel momento prodotte (sez. 6, 7/4/1999
rv. 214747), eliminazione nemmeno ipotizzabile alla luce dei referti medici
attestanti le lesioni subite dalle persone offese.
5.7. Inammissibile è anche la censura relativa alla mancata concessione

fondata sull’indole particolarmente aggressiva e violenta, in particolare nei
confronti dei tutori dell’ordine, palesata dai ricorrenti: si tratta di motivazione
esente da manifesta illogicità che, pertanto, è insindacabile in cassazione (sez. 6
n. 42688 del 24/9/2008 rv. 242419), anche considerato il principio affermato da
questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare
il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
me è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (sez. 2,
n. 3609 del 18/1/2011, rv. 249163; sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, rv.
248244).
5.8. Inammissibile è anche la doglianza con la quale Cimino Sebastiano
lamenta che i giudici di merito avrebbero fondato il loro convincimento anche
sulle dichiarazioni testimoniali rese nel giudizio di primo grado prima della
rinnovazione del dibattimento: in primo luogo si tratta di censura generica,
perché non risulta specificato quale dichiarazione, resa dinanzi al Tribunale prima
del mutamento della composizione di questo, sarebbe stata ritenuta attendibile
benché non ripetuta dinanzi al collegio nella nuova composizione. Peraltro, per
completezza di esposizione, va anche comunque rilevata la manifesta
infondatezza della censura, essendosi proceduto alla rinnovazione del
dibattimento ed all’esame dei testi già sentiti prima di questa, sicché nessun
limite vi era all’utilizzazione delle dichiarazioni rese prima del mutamento del
collegio. Nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della
persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale,
infatti, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la
decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l’esame del dichiarante,
quando questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti (Sez.
Un. 15/1/1999 n. 2, rv. 212395; Sez. 5 n. 3613 del 7/11/2006 rv. 236044) ma,

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delle circostanze attenuanti generiche, che è stata giustificata da motivazione

una volta procedutosi all’esame del dichiarante, nessun limite vi è
all’utilizzazione delle dichiarazioni legittimamente acquisite.
5.9. All’inammissibilità dei ricorsi consegue anche l’inammissibilità
dell’eccezione, formulata solo all’udienza pubblica dinanzi a questa Corte,
inerente la prescrizione del reato di cui al capo b), asseritamente maturata già
prima della pronunzia della sentenza del giudizio di appello, ma in quella sede
non dedotta, secondo quanto prescritto invece a pena di inammissibilità dall’art.
606 comma 3 cod. proc. pen.

poteri decisori del giudice il quale, al di là dell’accertamento di tale profilo
processuale, non è abilitato a occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’aert.
129 cod. proc. pen., cause di non punibilità, quale l’estinzione del reato per
prescrizione, sia se maturata successivamente alla sentenza impugnata sia se
verificatasi in precedenza, nel corso cioè del giudizio definito con tale sentenza,
destinata a rimanere immodificabile, proprio perché contrastata da una
impugnazione inammissibile. Diversamente opinando, si verificherebbe una
impropria “sanatoria” delle situazioni di inammissibilità e risulterebbe
arbitrariamente alterato il fisiologico svolgimento dell’iter processuale.
Conseguentemente, questa Corte di legittimità, a sezioni unite, ha anche
recentemente ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la
possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc.
pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla
pronunzia della sentenza d’appello, ma non eccepita nel grado di merito, né
rilevata da quel giudice e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Sez. un.
17/12/2015 n. 12602/2016, Ricci).
La stessa pronunzia ha anche rilevato che nel diverso caso in cui, invece,
con il ricorso in Cassazione sia stata dedotta, sia pure come unica doglianza,
l’estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza di appello, il
ricorso non può ritenersi inammissibile e la causa di non punibilità erroneamente
non dichiarata dal giudice di merito deve essere rilevata e dichiarata, in
accoglimento del proposto motivo, in sede di legittimità.
Pertanto, non essendo stata dedotta da alcuno dei ricorrenti nemmeno con i
motivi del ricorso per cassazione – ma soltanto eccepita in udienza – l’estinzione
del reato per prescrizione maturata prima della sentenza d’appello e non
eccepita dalla parte interessata nel grado di merito né rilevata da quel giudice, a
causa dell’inammissibilità del ricorso la stessa prescrizione non può essere
rilevata da questa Corte.

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L’inammissibilità dell’impugnazione, infatti, paralizza, sin dal suo insorgere, i

6. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto
dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1000,00.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento

della Cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 21 gennaio 2016

delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 in favore

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