Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16913 del 24/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16913 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GENCHI VITO N. IL 23/04/1970
LEONETTI GIUSEPPE N. IL 01/06/1983
LEONETTI FRANCESCO N. IL 04/10/1966
avverso la sentenza n. 3421/2015 GIP TRIBUNALE di BARI, del
11/09/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 24/03/2016

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Bari applicava
a GENCHI Vito, LEONETTI Giuseppe e LEONETTI Francesco, a norma degli artt. 444 e 448
C.P.P., la pena concordata con il Pubblico Ministero in ordine ai delitti di furto pluriaggravato e
tentato furto aggravato in luogo di privata dimora in concorso, commessi il 18 febbraio 2015.
Propongono distinti ricorsi per cassazione gli imputati: il primo lamenta, quanto al furto in abitazione, che si tratterebbe di delitto impossibile non essendosi trovato alcunché nell’interno
dell’abitazione preventivamente vuotata dai proprietari avvertiti di un possibile furto; LEONETTI Giuseppe si duole del trattamento sanzionatorio e LEONETTI Francesco lamenta difetto di
motivazione circa la sua partecipazione al fatto.
Osserva il Collegio che i ricorsi sono destituiti di specificità e comunque manifestamente infondati, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto
contenuto nell’accordo tra le parti, e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art.
129 C.P.P., facendo diffuso riferimento al contenuto degli atti delle indagini preliminari.
E tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., u.p.
27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina). Né all’imputato che abbia patteggiato la pena è consentito porre in discussione gli estremi fattuali di un’imputazione del tutto congrua rispetto alla narrativa del fatto
contenuta nella rubrica e sulla quale ha effettuato la propria scelta di accedere ai benefici del rito
premiale.
Quanto al trattamento sanzionatorio i ricorsi sono manifestamente infondati, atteso che il Tribunale, nell’applicare la pena concordata, non è incorso in alcuna violazione della legge in punto di
determinazione della pena (cfr. Sez. un., c.c. 24 marzo 1990, Borzaghini), conformandosi del resto interamente al trattamento sanzionatorio condiviso dalle parti, del quale ha espressamente riconosciuto la congruità. Mentre l’imputato che abbia chiesto l’applicazione di una determinata
pena non può dolersi della entità della pena da esso stesso sollecitata né della complessiva adeguatezza del trattamento concordato evocando apprezzamenti di fatto non suscettibili di autonoma considerazione in sede di legittimità.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.500,00# per ognuno.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di €. 1.500,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 marzo 2016.

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