Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16911 del 21/12/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16911 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: RENOLDI CARLO

Data Udienza: 21/12/2017

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Fabiano Giuseppe, nato a San Severo il 22/06/1964,
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Venezia in data 19/04/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del sostituto
Procuratore generale, dott. Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo la
declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del Direttore della Casa di reclusione di Padova in data
14/03/2016, era stata rigettata l’istanza di declassificazione formulata Giuseppe
Fabiano, detenuto assegnato al circuito penitenziario della cd. “Alta sicurezza 3”.
1.1. Fabiano aveva, quindi, presentato reclamo al Magistrato di sorveglianza
di Padova, allo scopo di ottenere una declaratoria di illegittimità di detto
provvedimento con conseguente assegnazione al circuito della cd. “media
sicurezza”. A sostegno della sua richiesta egli aveva dedotto che il mantenimento
nel circuito “Alta sicurezza 3” fosse per lui pregiudizievole, considerato che nella
Casa di reclusione di Padova era stata chiusa la relativa sezione, originariamente
destinata alla allocazione di tale categoria di detenuti, sicché era imminente il
suo trasferimento ad altro istituto. Ed effettivamente, per effetto della mancata

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declassificazione, nelle more del procedimento per reclamo, il detenuto era stato
trasferito presso la Casa di reclusione di Spoleto.
Il detenuto, inoltre, aveva successivamente dedotto, con una memoria, che
in seguito al trasferimento aveva perso il lavoro che svolgeva presso l’istituto
penitenziario di Padova, in relazione al quale avrebbe percepito uno stipendio di
900 euro mensili e che i colloqui con i propri familiari erano diminuiti. Nel corso
dell’istruttoria era, poi, emerso che la Direzione della Casa di reclusione di
Spoleto aveva riferito che, successivamente al suo trasferimento, Fabiano
accedeva alla biblioteca interna secondo la normale programmazione e che egli

Il Magistrato di sorveglianza di Padova, con ordinanza del 6/10/2016, aveva
però respinto la richiesta del detenuto. Pur dovendo ammettersi, in linea di
principio, che il provvedimento in materia di declassificazione potesse essere
impugnato, nondimeno nel caso in questione, la decisione dell’Amministrazione
penitenziaria doveva ritenersi legittima in quanto sorretta da idonea motivazione
in relazione al profilo della pericolosità del ristretto, evidenziata nel
provvedimento 2/03/2016 della Direzione Generale detenuti e trattamento del
Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, il quale aveva a sua volta
richiamato la nota informativa del Comando Provinciale dei Carabinieri di Foggia
in data 29/05/2015 e il parere della Direzione distrettuale Antimafia di Bari del
14/04/2015, ove si riferiva che Fabiano sarebbe stato “al vertice dell’omonimo
clan

mafioso attualmente attivo sul territorio”, sicché doveva ritenersi

“inopportuno che il detenuto” potesse “essere assegnato nei circuiti comuni, ove
il rischio di sopraffazione e proselitismo risulta quanto mai grave”.
1.2. Avverso la predetta ordinanza, Fabiano aveva proposto reclamo al
Tribunale di sorveglianza di Venezia, lamentando, da un lato, la preternnissione
delle informazioni contenute nella nota della Questura di Foggia in data
3/03/2014 nonché nelle relazioni di sintesi degli istituti in cui era stato ristretto
negli ultimi 9 anni, da cui sarebbe emerso il riconoscimento della sua
collaborazione con la giustizia e del parere favorevole inizialmente reso dalla
stessa equipe penitenziaria della Casa di reclusione di Padova, tenuto conto
dell’avvenuta espiazione di tutti i reati “ostativi” e del positivo percorso
intramurario; e, dall’altro lato, la circostanza che, per effetto del trasferimento
presso la Casa di reclusione di Spoleto, nel frattempo disposto, egli avesse
perduto alcune opportunità trattamentali, tra cui quelle di studio e lavoro presso
il cali center della

Cooperativa Giotto,

fruite presso l’istituto di originaria

assegnazione.
1.3. Con ordinanza emessa in data 19/04/2017, il Tribunale di sorveglianza
di Venezia rigettò, nondimeno, il reclamo proposto dal detenuto, ai sensi dell’art.
69 n. 6 lett. b), ord. penit., rilevando che il provvedimento impugnato aveva
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partecipava alle ordinarie attività di reparto.

motivatamente escluso la declassificazione in ragione del giudizio di pericolosità
sociale del ristretto, suscitato dalle “circostanziate informazioni sull’esistenza del
rischio di sopraffazione e proselitismo in carcere di Fabiano”.
2. Avverso il predetto provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione lo
stesso Fabiano a mezzo del difensore fiduciario, avv. Anselmo De Cataldo,
deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.,
l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza e
contraddittorietà della motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.

come la decisione abbia inciso sul diritto al trattamento del detenuto,
determinando una illegittima regressione del percorso rieducativo conseguente al
trasferimento in altro istituto e alla perdita di opportunità trattamentali. Sotto
altro profilo, l’ordinanza impugnata avrebbe omesso di considerare, come già
avvenuto per il provvedimento del magistrato di sorveglianza e per quello della
direzione di istituto, le positive informazioni contenute nella nota della Questura
di Foggia del 2010 e il parere favorevole alla declassificazione

dell’equipe

penitenziaria della Casa di reclusione di Padova, finendo per valorizzare
oltremodo un ormai risalente episodio di rilevanza penale, legato a violazioni
della legge sugli stupefacenti, nonché indimostrate informazioni di polizia circa
un presunto ruolo apicale del detenuto all’interno di un

clan, recante il nome

dello stesso Fabiano, la cui esistenza non sarebbe mai stata provata.
3. In data 27/09/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha
depositato in Cancelleria la propria requisitoria scritta con la quale ha chiesto la
declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
2. Oggetto del presente giudizio è la legittimità del provvedimento con il
quale il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha rigettato il reclamo avverso
l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Padova con il quale è stato a sua
volta respinto il reclamo avverso il provvedimento con cui la Direzione della Casa
di reclusione di Padova ha rigettato, su conforme parere della Direzione Generale
detenuti e trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria,
l’istanza di declassificazione dal circuito AS3 avanzata da Giuseppe Fabiano.
Pronuncia, quest’ultima, alla quale ha fatto seguito il provvedimento di
trasferimento del detenuto in altro istituto, con conseguente asserita regressione
del percorso trattamentale dello stesso Fabiano, il quale avrebbe perduto
l’originario

lavoro

ed

avrebbe

dovuto

affrontare

maggiori

difficoltà

nell’espletamento dei colloqui con i familiari. E a seguito di tali vicende, il

3

proc. pen., in relazione alla mancata declassificazione. In particolare, si osserva

detenuto ha proposto reclamo giurisdizionale al Magistrato di sorveglianza ai
sensi degli artt. 69, comma 6, lett. b) e 35-bis ord. penit., ravvisando nella
decisione di non declassificarlo taluni profili di violazione di legge e il verificarsi di
un pregiudizio “grave ed attuale” all’esercizio di un “diritto”.
3. La prima questione che viene, dunque, in rilievo, concerne la possibilità di
configurare, in corrispondenza della scelta dell’Amministrazione penitenziaria in
ordine alla classificazione di un detenuto, una posizione qualificabile come
“diritto”, cui sia correlata la facoltà di impugnare la relativa determinazione
amministrativa attraverso lo strumento del ricorso giurisdizionale davanti al

In argomento, giova in primo luogo ricordare che il fondamento normativo
della previsione, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, dei circuiti detentivi
è rinvenibile, da un lato, nell’art. 14 ord. penit., secondo cui il raggruppamento
dei detenuti nelle sezioni è stabilito in relazione alla possibilità di procedere ad
un “trattamento rieducativo comune” e all’esigenza di evitare “influenze nocive
reciproche”; e, dall’altro, nell’art. 32 reg. che prevede l’assegnazione ad appositi
istituti o sezioni dove sia “più agevole” adottare le cautele per quei detenuti che,
con i loro comportamenti, facciano temere per l’incolumità propria o dei
compagni, a tutela “da possibili aggressioni o sopraffazioni”.
Attraverso la previsione di un regime differenziato, dunque, il sistema
penitenziario consente, in vista della tutela delle esigenze di ordine e di
sicurezza, la realizzazione di percorsi trattamentali necessariamente meno
completi, attesa l’inevitabile compressione che si determina ad esempio sul
versante dei contatti con l’ambiente esterno, particolarmente qualificanti ai sensi
dell’art. 1, comma 6, ord. penit. nel processo di recupero sociale cui il
trattamento è rivolto, come attestato anche dal riconoscimento, seppur
tendenziale, del principio di territorialità ex art. 42, comma 2 ord. penit.. E in
questo modo, pacificamente, si incide anche sui principi posti dall’art. 13 ord.
penit., secondo cui il trattamento penitenziario deve essere individualizzato e
deve “rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto”.
3.1. Tanto premesso, è opportuno rilevare come la giurisprudenza di questa
Corte abbia a lungo escluso la possibilità di impugnare il provvedimento di
assegnazione del detenuto al circuito penitenziario, essendo esso espressione del
potere discrezionale, riservato all’Amministrazione, di organizzare e regolare la
vita all’interno degli istituti tenendo conto della pericolosità dei detenuti e della
necessità di assicurare l’ordinato svolgimento della vita intramuraria, come tale
non suscettibile di sindacato da parte della magistratura di sorveglianza (Sez. 1,
n. 29 del 06/11/2008, dep. 2/01/2009, Musumeci, Rv. 242380; Sez. 1, n. 47423
del 28/11/2007, dep. 20/12/2007, Barreca, Rv. 238173, relative
all’assegnazione al circuito di elevato indice di vigilanza), potendo al più
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magistrato di sorveglianza.

configurarsi un potere di verifica da parte dell’organo giudiziario sulle “singole
disposizioni che lo accompagnano o lo seguono” o sugli “atti esecutivi che siano
in concreto lesivi di diritti” (così Sez. 1, n. 31807 del 10/06/2009, dep.
3/08/2009, Cavallo, Rv. 244830; in termini Sez. 1, n. 14487 del 3/02/2004,
dep. 24/03/2004, Pazienza, Rv. 228836; Sez. 1, n. 46269 del 24/10/2007, dep.
12/12/2007, Musumeci, Rv. 238842; Sez. 1, n. 49988 del 24/11/2009, dep.
30/12/2009, Lo Piccolo, Rv. 245969 e, più recentemente, Sez. 1, n. 6737 del
30/01/2014, dep. 12/02/2014, Pangallo, Rv. 259175).
3.1. Nondimeno, deve osservarsi che la copiosa giurisprudenza di legittimità
consolidatasi sull’argomento si è prevalentemente sviluppata prima della

introduzione del rimedio giurisdizionale previsto dagli artt. 35-bis e 69, comma
6, n. 2 ord. penit., che consente la tutela davanti al magistrato di sorveglianza
delle posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di “diritto”, incise da
condotte dell’Amministrazione di inosservanza di disposizioni previste dalla legge
penitenziaria e dal relativo regolamento, dalle quali “derivi al detenuto o
all’internato un attuale e grave pregiudizio”. Ne consegue che la necessità di
attualizzare la riflessione sui possibili rimedi giurisdizionali rispetto al
provvedimento di assegnazione ad un istituto in conseguenza della
classificazione del detenuto in un determinato circuito penitenziario e,
corrispondentemente, rispetto all’eventuale rigetto dell’istanza di
declassificazione.
Ora, presupposto essenziale per l’attivazione del rimedio risarcitorio è in
primo luogo rinvenibile nella possibilità di configurare, in capo al detenuto, una
posizione giuridica soggettiva qualificata come “diritto”.
L’espresso riferimento a tale nozione, invero, parrebbe superare la risalente
elaborazione compiuta dalle fondamentali pronunce della Corte costituzionale n.
26/99 e 266/09 e delle Sezioni Unite di questa Corte (in riferimento è alla
sentenza n. 25079 del 26/02/2003, dep. 10/06/2003, Gianni), che, al contrario,
avevano inteso superare, con riferimento alle posizioni soggettive dei detenuti
suscettibili di tutela, la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi.
Ora, va però osservato che le norme penitenziarie prima richiamate, quali gli
artt. 13 e 14 ord. penit. e l’art. 32 del reg. esec., pur conferendo
all’Amministrazione il potere di dar vita a regimi penitenziari differenziati
corrispondenti ai vari circuiti, configurano il regime differenziato in termini di
eccezione rispetto a quello “comune”, caratterizzato dall’applicazione del
trattamento ordinario, secondo una scelta che è avallata anche dalla
Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (cd.
Regole penitenziarie europee), secondo cui: le restrizioni imposte alla persone
private della libertà devono essere limitate allo stretto necessario e devono
essere proporzionate agli obiettivi legittimi per i quali sono state imposte, sicché:

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A

ogni detenuto deve essere sottoposto ad un regime di sicurezza corrispondente
al livello di rischio evidenziato; il livello di sicurezza necessario deve essere
rivalutato a cadenze regolari durante la detenzione dell’interessato. E più
recentemente, la Raccomandazione CM/REC(2014)3 del Comitato dei Ministri agli
Stati Membri relativa ai delinquenti “pericolosi” ha stabilito, nella stessa
prospettiva, che ogni decisione che rischia di risultare in una privazione o
restrizione della libertà di un delinquente pericoloso dovrebbe essere adottata o
avallata dall’autorità giudiziaria; e che le prassi di valutazione dovrebbero tenere
conto del fatto che il rischio posto dalla condotta delinquente di un individuo

3.2. Sulla base delle considerazioni che precedono, può legittimamente
affermarsi che l’ordinamento riconosca al detenuto un generale diritto a un
trattamento penitenziario “non differenziato”, salva la possibilità per
l’Amministrazione, in presenza di situazioni di pericolosità del ristretto che
impongano di attuare misure volte ad assicurare la sicurezza interna ed esterna,
di sottoporlo ad un regime differenziato; sottoposizione che può anche derivare,
come del resto avviene nel nostro sistema penitenziario, dalla previsione, in via
generale ed astratta, di determinate condizioni soggettive, fondate su massime
di comune esperienza legittimamente codificate dall’Amministrazione, ad
esempio in funzione del titolo di reato commesso, idoneo a fondare una
ragionevole pericolosità del detenuto de quo.
In tali evenienze, dunque, pur a fronte della configurabilità, in capo a
ciascuno detenuto, di un diritto al trattamento comune (ovvero non
differenziato), l’Amministrazione penitenziaria può pacificamente adottare,
nell’esercizio di potestà organizzative alla stessa riconosciute, misure che, ove
legittimamente adottate, incidono sulla originaria posizione soggettiva,
degradandola a interesse legittimo.
Tuttavia, configurandosi, alla base, una situazione di diritto soggettivo, il
detenuto può certamente investire, attraverso lo strumento del reclamo
giurisdizionale, il magistrato di sorveglianza, impugnando non tanto la
previsione, generale e astratta, che, nel prevedere il circuito penitenziario,
definisca le condizioni per la sua assegnazione, quanto piuttosto il
provvedimento di assegnazione, in ipotesi adottato in assenza dei requisiti,
ovvero, per quanto di interesse in questa sede, il provvedimento con il quale, pur
venendo meno i presupposti per l’assegnazione a un determinato circuito,
l’amministrazione abbia negato la declassificazione. Fermo restando che un
siffatto sindacato deve essere circoscritto al solo profilo dei vizi di legittimità
dell’atto amministrativo, non potendo impingere sul piano del merito, rimesso
esclusivamente alla valutazione dell’Amministrazione penitenziaria.

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evolve nel corso del tempo.

Nel caso di specie, dunque, può legittimamente configurarsi, in termini di
astratta legittimazione, un diritto alla assegnazione ad una sezione “comune”,
quale corollario del diritto al trattamento individualizzato previsto dalla legge
penitenziaria dagli articoli 1, comma 6, 13 e 14, comma 2 ord. penit..
3.3. Nessun dubbio può poi avanzarsi, sempre sul versante della astratta
legittimazione al ricorso, in ordine al pregiudizio, grave e attuale, che potrebbe
derivare, all’esercizio del diritto del detenuto, dal mantenimento
dell’assegnazione nel circuito differenziato, avuto riguardo alle regole
trattamentali stabilite per i detenuti in “alta sicurezza” dalle circolari del DAP:

meno rigide (circolare 25/11/2011 n. 3594-6044), alle disposizioni
sull’ampliamento degli spazi utilizzabili dai detenuti e sul tempo di permanenza
all’esterno, al fine di incentivare le iniziative trattamentali e i rapporti con la
comunità esterna (circolare 28/05/2012 n. 206745); dalla previsione della cd.
sorveglianza dinamica in tutti gli istituti di “media sicurezza”, con espressa
esclusione dei reparti di alta sicurezza (circolare 18/07/2013 n. 3649/6099), alla
circolare del 23/10/2015 n. 3663/6113, che espressamente esclude le sezioni
dedicate al circuito dell’alta sicurezza dal regime della cd. custodia “aperta”,
caratterizzata dall’apertura delle celle tra le 8 e le 14 ore, dall’apertura delle
porte blindate nel corso di tutto l’anno, dalla possibilità di accesso ai lavori
domestici anche extra-sezione e per conto terzi, dalla possibilità di accesso a
tutte le iniziative scolastico e formative, dall’accesso libero alla socialità in spazi
comuni interni ed esterni alla sezione; dalla possibilità di accedere al passeggio
per sei ore al giorno, con accesso diretto e vigilanza indiretta.
Ed ancor più ove si consideri il detrimento patito, in termini di offerta
trattamentale, per effetto del trasferimento dello stesso Fabiano in altro istituto,
secondo quanto più sopra osservato.
Una esposizione, quella che precede, che pone in luce, in maniera plastica,
come la previsione di modalità trattamentali differenziate in funzione del circuito
penitenziario di assegnazione finisca per incidere significativamente (con
conseguente configurazione anche della “gravità” del pregiudizio) con il diritto
del detenuto ad una offerta trattamentale individualizzata, finalizzata al suo
reinserimento sociale, in un quadro di interventi conformi al principio di
umanizzazione della pena, anche alla stregua del parametro costituzionale
dell’art. 27 Cost..
4. Tanto premesso in tema di legittimazione del detenuto all’esperimento del
rimedio giurisdizionale, giova, quindi, soffermarsi sulle censure attinenti alla
legittimità del provvedimento impugnato.
Si è diffusamente argomentato, nelle pagine che precedono, in ordine alla
legittimità “in sé” di un sistema fondato sull’esistenza di circuiti penitenziari e
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dalla previsione, per i soli detenuti di “media sicurezza”, di modalità custodiali

sulla previsione di criteri generali, definiti dall’Amministrazione nell’esercizio delle
potestà organizzatorie che le sono proprie, per la relativa assegnazione dei
detenuti. Ne consegue, dunque, che è pienamente legittimo anche il
provvedimento con il quale la Direzione di istituto, chiamata attualmente a
pronunciarsi sulle istanze di declassificazione, si pronunci per il mantenimento
del detenuto nel circuito di Alta sicurezza, quando tale decisione sia sostenuta da
obiettive ragioni che giustifichino la restrizione del diritto del ristretto ad un
trattamento penitenziario non differenziato.
Nel caso di specie, secondo la valutazione del tribunale di sorveglianza, oggi

adeguatamente motivato in ordine all’esistenza di ragioni idonee ad impedire che
il detenuto potesse influenzare, attraverso il contatto con la popolazione
detenuta “comune”, il percorso di rieducazione degli altri ristretti, promuovendo,
con più o meno efficaci attività di proselitismo, la ricostituzione di gruppi
criminali dediti ad attività delittuose. Una decisione che la direzione di istituto ha
fondato, oltre che sul pesante curriculum criminale del detenuto (condannato,
quale appartenente al clan dei fratelli Di Firmo, per associazione di stampo
mafioso e finalizzata al traffico di stupefacenti, nonché per omicidio consumato e
tentato), sul negativo parere della Direzione distrettuale Antimafia di Bari in data
14/04/2015, ove è stato riferito in ordine alla “estrema pericolosità sociale del
proposto” e alla inopportunità che il detenuto potesse “essere assegnato nei
circuiti comuni, ove il rischio di sopraffazione e proselitismo risulta quanto mai
grave”. E a sostegno di tale lettura degli elementi personologici posti alla base
del giudizio, è stato dal Tribunale posto in luce come, nonostante il giudizio
favorevole

dell’equipe

penitenziaria in ordine all’adesione del detenuto al

trattamento penitenziario, gli esiti dell’osservazione non potessero ritenersi
“ancora rassicuranti”, anche alla luce della condotta penitenziaria, essendosi il
detenuto reso responsabile, pur dopo il riconoscimento dell’attenuante in materia
di collaborazione con la giustizia in relazione ai reati associativi per cui era stato
comunque condannato, di un traffico di circa 5 Kg di eroina, gestito direttamente
dal carcere, con la connivenza del suo legale, grazie agli spazi di libertà
concessigli in occasione dei permessi premio nel comune di Apricena (episodio
per il quale egli era stato condannato dalla Corte d’Appello di Bari in data
12/06/2007).
Tale motivazione, invero, appare pienamente in linea con le ragioni che
stanno alla base, secondo quanto più sopra osservato, della scelta legislativa a
favore della differenziazione dei circuiti detentivi, fondata sull’esigenza di
“evitare influenze nocive reciproche”, secondo quanto stabilito dall’art. 14 ord.
penit..

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impugnata, il provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria ha

Né sono scrutinabili, in questa sede, le deduzioni difensive volte alla
valorizzazione di elementi di segno contrario, quali il parere positivo dell’equipe
penitenziaria e il riconoscimento dello status di collaboratore di giustizia da parte
del Tribunale di sorveglianza di Bologna con ordinanza del 19/06/2001. In
disparte la circostanza che tali elementi sono stati comunque valutati nell’ambito
del giudizio prognostico compiuto dalla direzione di istituto e in occasione del
successivo controllo giurisdizionale, che ha puntualmente spiegato, con
motivazione logicamente congrua, le ragioni a favore del mantenimento
dell’attuale regime differenziato, va ribadito che non può certamente

alla base del giudizio fattuale di attuale pericolosità del detenuto e della correlata
valutazione in ordine alla opportunità di mantenimento del relativo regime
differenziato. Valutazione che appartiene, sul piano del merito,
all’Amministrazione penitenziaria e sulla quale lo stesso strumento del ricorso
giurisdizionale deve limitare il controllo al solo profilo dei vizi di legittimità
dell’atto amministrativo.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 21/12/2017

Il Consi

p

‘ere estensore

Il Presidente

ammettersi, in sede di legittimità, una richiesta di rivalutare gli elementi posti

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