Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16900 del 11/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16900 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: SIANI VINCENZO

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sul ricorso proposto da:
FLORIO GIUSEPPE nato il 06/07/1965 a TARANTO

avverso l’ordinanza del 05/12/2016 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO STANI;
lettekoaRtite le conclusioni del PG
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Data Udienza: 11/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1 Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 5 – 15 dicembre 2016, la Corte di
appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice
dell’esecuzione, ha accolto la richiesta, avanzata dal Procuratore generale presso
quella Corte, di revoca dell’indulto applicato con l’ordinanza del Tribunale di
Taranto in data 19 novembre 2007, relativo alla pena di mesi sei di arresto inflitta
a Giuseppe Florio con sentenza dello stesso Tribunale emessa il 14 febbraio 2007,

inosservanza di deposito della cauzione di cui all’art. 3-bis legge n. 575 del 1965,
commesso in Taranto, il 24 gennaio 2003.
Il giudice dell’esecuzione ha contestualmente rigettato la domanda proposta
con il coevo incidente di esecuzione introdotto dal Florio ed avente ad oggetto la
declaratoria di nullità del provvedimento emesso dal Procuratore generale presso
la suddetta Corte territoriale in data 8 settembre 2016, considerato come revoca
diretta e de plano dell’indulto emessa da quell’Autorità.

2. Il giudice dell’esecuzione ha considerato sussistenti i presupposti che
imponevano la revoca dell’indulto della pena sopra indicata, perché il Florio, con la
sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in
data 5 febbraio 2015, irrevocabile il 7 giugno 2016, aveva riportato la condanna a
pena superiore ad anni due di reclusione per delitti commessi entro cinque anni
dalla data di entrata in vigore della legge n. 241 del 2006: accertamento che era
ritenuto assorbente rispetto alla questione relativa alla prospettata carenza di
potere del P.m. di emettere l’ordine di esecuzione comprendente la pena per cui
ancora doveva essere emessa la revoca dell’indulto.
Né, per la Corte di merito, poteva rilevare il fatto che il Florio avesse chiesto
alla Corte EDU la riparazione pecuniaria per la mancanza di pubblicità ed
imparzialità del giudice nel processo dal cui esito era sortita la condanna alle pena
oggetto di revoca dell’indulto, giacché tale azione non avrebbe potuto condurre
alla rinnovazione del processo.
Pertanto – rettificati i computi inizialmente esposti dal Procuratore generale,
tenuto conto della revoca dell’indulto della pena di mesi sei di arresto e
considerata anche la liberazione anticipata di giorni quarantacinque stabilita in
favore del Florio dal Magistrato di sorveglianza di Taranto con provvedimento del
19 ottobre 2016 – il giudice dell’esecuzione ha concluso che la pena residua da
espiare risultava comunque superiore ad anni tre, sicché ha disatteso il diverso
computo prospettato dal Florio, essendo da escludere che il procedimento in corso
per la riduzione della pena da espiare ex art.

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35-ter Ord. pen. potesse avere

irrevocabile il 26 gennaio 2012, che lo aveva ritenuto colpevole del reato di

effet- to go%pengivo dell’esecuziane della pena delentiva, gtanta la rego!.
dall’art. 666, comma 7, cod. proc. pen., non equiparabile alla disciplina, inerente
alle impugnazioni, di cui all’art. 588, comma 1, cod. proc. pen.

3.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso il Florio chiedendone

l’annullamento e adducendo a sostegno un unico, articolato motivo con cui
denuncia la violazione di legge anche processuale e l’illogicità e carenza della
motivazione in relazione all’art. 674 cod. proc. pen. ed all’art. 6 CEDU.

emettere l’ordine di esecuzione contemplando la pena già oggetto di indulto in
relazione a cui il provvedimento di revoca non era stato ancora reso dal giudice
dell’esecuzione, sul solo presupposto della relativa richiesta, in considerazione
della natura obbligatoria della revoca: così argomentando, il giudice
dell’esecuzione aveva privilegiato un’interpretazione abrogante dell’art. 674,
comma 1, cod. proc. pen. e concretante violazione del principio di terzietà
dell’organo giudicante garantito dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6, § 1, CEDU.
Invece occorreva ribadire il principio secondo cui spettava soltanto al giudice
dell’esecuzione la decisione in ordine alla revoca dell’indulto in precedenza
concesso ed era illegittimo il provvedimento del pubblico ministero che ordinasse
la carcerazione computando la pena indultata in assenza del formale
provvedimento di revoca. Questo orientamento, senz’altro più conforme ai principi
rispetto a quello esposto dal provvedimento impugnato, si coniugava in modo
coerente con il rilievo che, mentre per la concessione dell’indulto era previsto il
procedimento de plano, per la revoca dell’indulto era invece necessario il regolare
procedimento di esecuzione da espletarsi in contraddittorio, secondo la disciplina
dettata dall’art. 666 cod. proc. pen. D’altro canto, in sede di revoca dell’indulto,
potevano essere configurate molteplici questioni, sicché l’automatismo era
solamente apparente.
Quanto al fatto che innanzi alla Corte EDU non poteva che essere richiesto il
risarcimento a seguito della violazione dell’art. 6, § 1, CEDU, avrebbe dovuto,
però, considerarsi che la sentenza di quella Corte – in ipotesi di accoglimento
dell’istanza formulata dal ricorrente, resa probabile dal fatto che il Governo
italiano aveva nella sua memoria riconosciuto la violazione del diritto alla
pubblicità dell’udienza – avrebbe dovuto trovare esecuzione ai sensi dell’art. 46
della Convenzione: sicché, sul punto, l’ordinanza impugnata risultava priva di
motivazione.

4. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, aderendo
all’orientamento secondo cui il pubblico ministero ha titolo a mettere in esecuzione

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La Corte territoriale aveva errato nel ritenere che il pubblico ministero potesse

la pena oggetto di indulto da revocarsi in via obbligatorio ed automatica, dato che
la pronuncia giudiziale, pur necessaria, ha caràttere dichiarativo della già
maturata causa di revoca, mentre per quanto concerne l’avvenuta proposizione
del ricorso innanzi alla Corte EDU, si indica come assorbente la costatazione che
nella specie manca ancora ogni decisione della Corte adita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Giova premettere che il giudice dell’esecuzione ha rilevato la sussistenza
della condizioni che impongono la revoca dell’indulto della pena suindicata in
ragione della commissione da parte del Florio di delitto non colposo nel
quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge n. 241 del 2006, avendo
subìto condanna alla pena di anni otto, mesi sette di reclusione ed euro 2.000,00
di multa, in forza della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione
distaccata di Taranto, in data 5 febbraio 2015, irrevocabile il 7 giugno 2016, che
l’ha ritenuto responsabile di una serie di delitti non colposi commessi nel
quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge suddetta.
Sul tema relativo all’omessa declaratoria di nullità di quella che il Florio ha
reputato una revoca dell’indulto disposta direttamente dal Procuratore generale
territoriale in data 8 settembre 2016, il giudice dell’esecuzione ha considerato che,
quando la revoca di un beneficio sia prevista dalla legge come obbligatoria ed
automatica, il pubblico ministero è legittimato a porre direttamente in esecuzione
la pena coperta dalla misura di favore caducata se richieda al competente giudice
dell’esecuzione, nel contempo, la declaratoria prevista dall’art. 674 cod. proc. pen.
In ordine poi al fatto che, con riferimento al processo all’esito del quale era
stata emessa la condanna alla pena di mesi sei di arresto, fosse stata aperta
controversia innanzi alla Corte EDU per la mancanza di pubblicità e imparzialità
del giudice, si è osservato che il giudizio era stato instaurato per ottenere la
riparazione di tipo pecuniario, non la rinnovazione del processo, sicché l’esito di
esso non era idoneo ad incidere sull’entità della pena posta in esecuzione.

3. Posto ciò, va in primo luogo constatato che sull’oggettiva evenienza dei
presupposti per la revoca dell’indulto stabiliti dall’art. 1, comma 3, legge n. 241
del 2006 il ricorrente non ha sviluppato contestazioni specifiche.
3.1. Il Florio ha invece censurato l’omessa declaratoria di nullità del
provvedimento del P.m. in data 8 settembre 2016 di esecuzione di pene
concorrenti persistendo nell’equiparazione dello • stesso ad una diretta revoca

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1. L’impugnazione appare infondata e va, pertanto, rigettata.

dell’indulto, che oltretutto sarebbe stata emessa indebitamente

de plano, per

essere stata inglobata in esso come pena da eseguirsi anche quella indultata
prima dell’emissione da parte della Corte di appello dell’effettivo provvedimento di
revoca, che è poi stato emesso, in data successiva, il 5 – 15 dicembre 2016.
Il Collegio non condivide la premessa da cui muove il ricorrente.
Invero, è principio già affermato – e che merita di essere qui ribadito – quello
secondo cui, quando la revoca di un beneficio è prevista ex lege come obbligatoria
ed automatica, il pubblico ministero è legittimato a porre direttamente in

stesso tempo, richieda al competente giudice dell’esecuzione di pronunciare, nelle
forme previste, la declaratoria di cui all’art. 674 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 55795
del 02/02/2017, Palau Giovannetti, n. m.; Sez. 1, n. 23419 del 09/04/2015,
Attanasio, Rv. 263966, in termini, per fattispecie relativa a revoca dell’indulto in
conseguenza della commissione da parte del beneficiario di reati nel quinquennio
successivo alla data di entrata in vigore della legge n. 241 del 2006; Sez. 1, n.
23457 del 24/01/2011, Ianni, Rv. 250419; Sez. 1, n. 8670 del 17/02/2006, Urso,
Rv. 233584; Sez. 1, n. 7338 del 03/12/2001, dep. 2002, Liguori, Rv. 221106).
Questo orientamento è prevalente, sebbene non unanime (v. in senso diverso
Sez. 1, n. 8756 del 02/12/2010, dep. 2011, Bellinati, Rv. 249600, secondo cui
spetta soltanto al giudice la decisione in ordine alla revoca dell’indulto in
precedenza concesso, con conseguente illegittimità dell’ordine di carcerazione del
P.m. che, in assenza di un formale provvedimento di revoca, abbia a computare
nel cumulo la relativa pena, arresto riferito, peraltro, a caso in cui non si esplicita
l’avvenuta coeva richiesta di emissione del provvedimento di cui all’art. 674 cod.
proc. pen.; Sez. 1, n. 6444 del 16/12/1998, dep. 1999, Pelle, Rv. 212452, ha
ritenuto che, pur se i provvedimenti di revoca ex lege di benefici a suo tempo
concessi hanno natura ricognitiva e non costitutiva, essi vadano comunque
pronunciati in concreto e all’esito di un procedimento in contraddittorio delle parti
e che, fin quando essi non sono stati in concreto deliberati, le relative pene non
siano espiabili e, pertanto, non possano costituire oggetto di ordini di esecuzione;
Sez. 6, n. 3022 del 09/07/1997, Mangione, Rv. 208847, per sovrapponibile
ragionamento in tema di revoca della sospensione condizionale della pena).
Tuttavia, il primo indirizzo è da ritenersi più persuasivo, siccome si fonda sul
rilievo (di cui si rinviene un preciso richiamo anche nella motivazione di Sez. U, n.
2 del 30/10/2014, dep. 2015, Maiorella, Rv. 261399) che il pubblico ministero ha
il potere ed anzi il dovere, al lume del disposto dell’art. 655 cod. proc. pen., di
porre immediatamente in esecuzione la pena: anche quella derivante
dall’avveramento della condizione risolutiva del concesso beneficio, evento che lo
stesso organo titolare deputato alla cura della sua esecuzione può rilevare,

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esecuzione la pena coperta dalla misura di favore caducata, sempre che, nello

trattandosi di un’operazione ordinariamente non esigente una valutazione
articolata, ma di un mero recepimento di una sentenza irrevocabile di condanna,
sempre però contemporaneamente chiedendo al giudice dell’esecuzione di
procedere, ex art. 674 cod. proc. pen., alla dichiarazione di natura ricognitiva
della revoca del beneficio.
La condizione per l’emissione immediata dell’ordine di esecuzione
comprensivo della pena per la quale il provvedimento accertativo della revoca del
beneficio sia ancora da emettere – condizione costituita dal contestuale inizio del

il controllo del giudice dell’esecuzione sugli effetti anticipatori perseguiti dal P.m.
con l’emesso ordine di esecuzione sia immediato: sicché compete al giudice
dell’esecuzione, nell’ambito del procedimento ex art. 674 cod. proc. pen., porre
rimedio ad eventuali errori in cui sia incorso l’organo titolare della cura
dell’esecuzione, tenendo ovviamente conto delle deduzioni del condannato,
destinatario dell’ordine di esecuzione, nei cui confronti il rito contempla
l’instaurazione del contraddittorio.
Per altro verso, a parte quello che si va ad aggiungere quanto alla vertenza
dedotta come iniziata dal Florio innanzi alla Corte EDU, deve ribadirsi che nel caso
di specie il ricorrente si è limitato a dedurre l’illegittimità del provvedimento di
cumulo del P.m. nella parte in cui ha disposto l’anticipazione degli effetti della
decisione del giudice dell’esecuzione in ordine alla declaratoria di revoca del
beneficio dell’indulto, ma con l’impugnazione non ha contestato la legittimità della
revoca dell’indulto: di conseguenza, essendo stata, la revoca – obbligatoria dell’indulto, disposta dalla Corte di appello a seguito della contestuale richiesta del
P.m., l’ordine di carcerazione deve ritenersi pienamente valido ed efficace fin dalla
sua emissione, in quanto la caducazione dell’indulto deve ritenersi operante ex
tunc.
3.2. In ordine, poi, alla questione relativa alla prospettata pendenza della
controversia instaurata dal Florio innanzi alla Corte EDU per la mancanza di
pubblicità e imparzialità del giudice nel processo il cui esito decisorio ha
determinato l’irrogazione della pena oggetto dell’indulto poi revocato, il mezzo
non merita di essere accolto, non contestando lo stesso ricorrente che non è stata
ancora resa dalla Corte sovranazionale decisione alcuna.
In questa situazione, in disparte il punto di contrasto fra le riflessioni
sviluppate dall’ordinanza impugnata e quelle che sostanziano il ricorso in merito
alla natura degli effetti che la sentenza della Corte EDU potrebbe determinare,
occorre rilevare – in tal senso dando continuità a principio già affermato – che la
sola pendenza di un ricorso individuale innanzi alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo per asserita violazione dei principi in tema di giusto processo non

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procedimento finalizzato alla revoca stessa – garantisce peraltro che, in ogni caso,

legittima il giudice dell’esecuzione a disporre la sospensione dell’esecuzione della
pena, perché tale possibilità è subordinata all’accoglimento del ricorso in sede
sovranazionale ed alla successiva attivazione, da parte del condannato, della
procedura di revisione introdotta a seguito della sentenza additiva della Corte
Costituzionale n.113 del 2011 (Sez. 1, n. 41307 del 06/05/2015, Palau
Giovannetti, Rv. 264955).
In tale situazione, infatti, non è dato individuare un concreto aggancio
normativo che legittimi il giudice della esecuzione a sospendere gli effetti del titolo

riguardante la decisione su cui il titolo si fonda per addotta violazione del diritto al
giusto processo ex art. 6 CEDU. In carenza di norma specifica, occorre attenersi al
rilievo che il titolo, derivante dalla formazione del giudicato, non può contemplare
la sua verifica e, se del caso, la paralisi dei suoi effetti in sede esecutiva in ordine
alle modalità della sua formazione, se non nei casi espressamente previsti dalla
legge.
Risulta chiarito, in tale prospettiva, che anche la nuova ipotesi di revisione,
introdotta a seguito dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del
2011, presuppone come condizione ineliminabile che sia intervenuta una sentenza
definitiva della Corte EDU sulla medesima vicenda oggetto del processo alla quale
sia necessario conformarsi (Sez. 2, n. 40889 del 20/06/2017, Cariolo, Rv.
271198; Sez. 6, n. 46067 del 23/09/2014, Scandurra, Rv. 261689).
L’assetto così disegnato non si profila poter mutare in ragione della semplice
pendenza del ricorso avente ad oggetto la verifica della violazione di una delle
norme di procedura stabilite dalla CEDU, come del resto confermano le
considerazioni svolte dal Giudice delle leggi nella succitata decisione (sentlit n. 113
del 2011), avendo esse evidenziato che è necessario conformarsi ad una sentenza
della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che sia definitiva, poiché questa decisione
implica l’accertamento con natura oggettiva della violazione della “non equità”
rispetto ai precetti convenzionali del processo a cui è stato sottoposto il ricorrente
e si caratterizza per la motivazione in larga misura basata anche
sull’individuazione dello strumento processuale con cui si può assicurare
l’applicazione dell’art. 46 della Convenzione Europea, recante l’obbligo delle parti
contraenti di conformarsi alle sentenze definitive della Corte (ai sensi del
precedente art. 34), garantendone l’esecuzione.
Questo essendo l’accertamento da compiersi da parte della Corte
sovranazionale, fin quando esso non sia avvenuto, non appare possibile – dopo
che si è formato il giudicato, per normativa processuale interna, sul titolo su cui si
fonda l’esecuzione – delibarsi, anche in via interinale, in sede diversa dalla sede
propria, ossia innanzi alla Corte Europea, la questione oggetto del ricorso

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esecutivo per il solo fatto che pende ricorso proposto in sede sovranazionale

proposto in quella sede per violazione dell’art. 6 CEDU, o di altro parametro
convenzionale.
Pertanto, sia quando lo strumento per determinare l’adeguamento alla
pronuncia definitiva emessa dalla Corte di Strasburgo si identifichi nell’istituto
della revisione, come additivamente modellato da Corte cost. n. 113 del 2011, sia
quando si individuino, ove del caso, altri strumenti per realizzare l’adeguamento
suddetto, resta il dato ineludibile che l’intervento, ove possibile anche cautelare
(così ex art. 635 cod. proc. pen., in ipotesi di revisione), del giudice interno

del processo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con decisione
definitiva. Soltanto dopo tale approdo potranno aversi la susseguente
proposizione della congrua istanza innanzi al giudice interno e la delibazione da
parte di quest’ultimo, anche alla luce della decisione sovranazionale, delle
condizioni dell’azione ulteriormente proposta.
In questo quadro, mancando il cennato presupposto, la corrispondente
censura va necessariamente disattesa.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in data 11 ottobre 2017

Il Presidente

Il Cons’ liere Estensore
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CORTE SUPREMA DI CASSONE

Prima Sezione Penale
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Depositata in Cancelleria
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Roma, It h PL2511-

Angela Tardio

implica innanzi tutto l’accoglimento del ricorso in tema di violazione della equità

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