Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16868 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16868 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
REJEB ALAEDDINE nato il 17/05/1996 a CARINI
avverso l’ordinanza del 09/01/2018 della CORTE APPELLO di PALERMO

sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;
sentite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore PAOLO CANEVELLI, che ha
chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore

RITENUTO IN FATTO

1.

Con istanza depositata il 19.01.2018, il difensore di fiducia di Alaeddine

REJEB formalizzava istanza di riesame avverso il provvedimento del precedente
9 gennaio, con cui il consigliere delegato dal presidente della Corte d’appello di
Palermo aveva convalidato l’arresto del prevenuto, eseguito dalla p.g. in quanto
destinatario di m.a.e. emesso dalla competente A.G. tedesca, per il reato di furto
con strappo. All’esito dell’udienza conseguentemente fissata, il Tribunale
distrettuale della cautela dichiarava la propria incompetenza, atteso che “unico

Ì1/4c
,

Data Udienza: 20/03/2018

rimedio proponibile avverso i provvedimenti relativi a misure cautelari personali
emesse per l’esecuzione di un mandato di arresto europeo è il ricorso per
cassazione”, trasmettendo quindi gli atti relativi a questa Corte.

2.

Fermo quanto sopra, va dato atto che, con l’istanza anzidetta, il difensore

ricorrente si limitava, in primo luogo, ad eccepire la “violazione del combinato
disposto degli artt. 10 e 13 della legge 22 aprile 2005 n. 69” e,
secondariamente, a dedurre la pretesa “insussistenza delle esigenze cautelari ex

2.1 Successivamente, con memoria depositata il 26.01.2018 e qualificata come
“motivi aggiunti”, il difensore medesimo esplicitava le ragioni a fondamento delle
proprie doglianze, in precedenza oggetto di mera enunciazione, così
rappresentate ed integrate:
a) l’audizione del REJEB, pur tempestivamente avvenuta 1’8 gennaio c.a. ad ore
16.00, avuto riguardo alla data del suo arresto, eseguito il giorno precedente alle
ore 15.30, non sarebbe stata tuttavia preceduta da notifica entro le 24 ore
precedenti, così come prescritto dall’art. 10 co. 2 L. n. 69/2005, poiché
effettuata alle ore 11.18 dello stesso 8 gennaio, con conseguente violazione del
diritto di difesa, anche in rapporto alla possibilità di documentare adeguatamente
le condizioni di salute del ricorrente, asseritamente incompatibili con il regime
carcerario;
b) il provvedimento impugnato sarebbe comunque divenuto inefficace, a mente
dell’art. 13 co. 3 della stessa legge, per via del mancato inoltro del m.a.e. da
parte dell’Autorità richiedente, non potendosi riconoscere valore equipollente alla
segnalazione del ricercato inserita nel S.I.S., per via della sua incompletezza;
c) quanto precede sarebbe altresì di ostacolo all’effettivo apprezzamento della
esatta tipologia del reato commesso, in funzione della valutazione circa la
ricorrenza dei “requisiti di pena edittale per procedere ad una misura custodiale
così grave”. In ogni caso, “il pericolo di fuga poteva prevenirsi con misure
alternative”, non avendo alcun rilievo la circostanza che il REJEB, cittadino
italiano con residenza nel comune di Carini, sia stato tratto in arresto al rientro
dalla Tunisia, atteso che il dato avrebbe potuto essere correttamente valorizzato
in chiave cautelare ove il prevenuto fosse stato in procinto di espatriare.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

La complessiva infondatezza del ricorso proposto ne comporta il rigetto.

c

art. 274 c.p.p. e adeguatezza di altre misure cautelari meno gravi”.

2.

Si premette che, giusta il consolidato insegnamento della giurisprudenza di

legittimità, “In tema di mandato di arresto europeo, in virtù del rinvio recettizio
operato dall’art. 9, settimo comma, L. n. 69 del 2005 all’art. 719 cod. proc. pen.,
unico rimedio proponibile avverso i provvedimenti relativi a misure caute/ari
personali emesse per l’esecuzione di un mandato di arresto europeo è il ricorso
per cassazione” (così, da ultimo, Sez. 6, sent. n. 24891 dell’11.06.2015, Rv.
263816), che – come recita la norma testé richiamata – può essere formalizzato

3.

Venendo quindi ai motivi sopra illustrati, sub a) e b) – tenuto conto, a

fronte di un possibile rilievo di assoluta genericità delle censure elevate ai sensi
degli artt. 10 e 13 della legge n. 69/2005, prima dell’esplicitazione di cui alla
memoria del 26.01.2018, che la loro intelligibilità è assicurata dalla circostanza
che esse erano state già prospettate in sede di convalida dell’arresto, risultando
quindi debitamente affrontate dal provvedimento impugnato – è agevole
osservare quanto segue.

4.

Insussistente è la dedotta violazione del diritto di difesa, per via

dell’avvenuta notifica al difensore del provvedimento di fissazione della data
della convalida dell’arresto, in difetto del rispetto del termine di 24 ore di cui
all’art. 10 co. 2 L. n. 69/2005: ciò per la semplice e decisiva ragione
dell’estraneità della norma richiamata alla sub-procedura di cui trattasi.
Il provvedimento impugnato è esplicito nel significare l’inapplicabilità della
disposizione anzidetta alla fattispecie in esame e tale affermazione, in quanto
corretta in diritto, non può che essere tenuta ferma in questa sede, al di là
dell’opportunità di chiarirne le ragioni alla base.
L’art. 10 co. 2 L. n. 69/2005 inerisce all’ipotesi specifica in cui sia stata la
stessa Corte d’appello competente, ricevuto per il tramite del Ministro della
giustizia il m.a.e. emesso dall’A.G. dello Stato membro, ad adottare la misura
coercitiva ritenuta confacente al caso: ciò che comporta la necessità di far luogo
all’audizione del consegnando entro cinque giorni dall’esecuzione della misura,
previo avviso al difensore – appunto, almeno entro le 24 ore precedenti – della
data fissata per l’anzidetto adempimento. E’, dunque, di immediata evidenza che
l’ipotesi testé descritta differisce radicalmente da quella disciplinata dagli artt. da
11 a 13 della legge medesima, di arresto effettuato ad iniziativa della polizia
giudiziaria: in tale evenienza, infatti – così come stabilisce con chiarezza l’art. 13
co. 1 appena menzionato – il presidente della Corte d’appello (ovvero il
magistrato da lui delegato) deve provvedere a far luogo all’audizione del
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solo per violazione di legge.

soggetto entro 48 ore dalla ricezione del verbale d’arresto, termine che,

per

giurisprudenza del tutto consolidata, segna ad un tempo il limite entro cui deve
intervenire la convalida dell’arresto medesimo (cfr., per tutte, Sez. 6, sent. n.
27357 del 19.06.2013, Rv. 256567).
Consegue che l’esistenza di specifiche indicazioni in ordine

all’iter

procedurale da seguire, in uno con la scansione temporale particolarmente
serrata che ne scandisce le cadenze – assai più ristrette rispetto all’ipotesi di cui
agli artt. 9 e 10 della stessa legge n. 69/2005, in cui l’adempimento qui invocato

rinvio ai succitati artt. 9 e 10, che pure compare nella parte finale del secondo
comma dell’art. 13 della legge n. 69/2005, debba essere inteso così come
vorrebbe l’odierno ricorrente. Si consideri del resto, a maggior supporto di
quanto precede, che mentre il primo comma dell’art. 13, su cui ci si è soffermati
in precedenza, delinea i semplificati tratti procedurali che devono essere
osservati e di cui si è detto, il secondo comma formula il rinvio che qui interessa
con ben circoscritto riferimento alla pronuncia dell’ordinanza di convalida che il
presidente della Corte d’appello è tenuto ad emettere, una volta escluso che
nell’esecuzione dell’arresto sia stato compiuto un errore di persona, ovvero che
sia stato eseguito al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
Conforta appieno il convincimento del Collegio la precedente giurisprudenza
di questa Corte, che ha appunto chiarito che, “In tema di mandato di arresto
europeo, per la convalida dell’arresto di cui all’art. 11 legge 22 aprile 2005, n.
69, non è imposto alcun termine specifico per procedere ad avvisare il difensore
dell’arrestato della fissazione della relativa udienza” (così Sez. 6, sent. n. 17918
del 28.04.2009, Rv. 243537; cfr. altresì, sia pur sulla scorta di un diverso
approccio sistematico, Sez. F., sent. n. 34958 del 04.09.2008, Rv. 240718).
E’ appena il caso di osservare, da ultimo, che le considerazioni svolte
rivestono valenza assorbente rispetto alla generica enunciazione di una
conseguente pretesa impossibilità di documentare l’incompatibilità dello stato di
salute del REJEB (per ragioni imprecisate) con la detenzione inframuraria, come
pure riguardo alla parimenti asserita impossibilità della verifica della tipologia di
reato, l’una e l’altra per di più del tutto estranee ai termini dell’originario ricorso.

5.

Non ha alcun pregio neppure l’ulteriore violazione di legge eccepita, ai

sensi dell’art. 13 co. 3 della legge n. 69/2005, in ragione della mancata
trasmissione del mandato di arresto europeo entro il termine di dieci giorni, a tal
fine previsto dalla medesima disposizione ora citata.

si rapporta ad un termine di cinque giorni – vale ad escludere con certezza che il

Il provvedimento impugnato ha puntualmente osservato che lo stesso art.
13, cui il difensore qui si richiama, sancisce l’equipollenza al mandato
dell’inserimento della relativa segnalazione nel S.I.S., così come avvenuto nel
caso in esame. E se è vero che detta equipollenza richiede che la segnalazione
contenga le indicazioni di cui all’art. 6 della legge n. 69/2005, è altrettanto vero
che qui il ricorrente si è limitato genericamente ad enunciare l’assenza “delle
allegazioni previste dai commi 3, 4 e 7 del medesimo articolo”, senza alcuna
specificazione ulteriore.

titolo proprio dell’ordinamento interno dello Stato richiedente, posto a
fondamento del m.a.e.; la relazione sui fatti addebitati; le indicazioni complete
circa le disposizioni di legge applicabili da parte dell’A.G. emittente; i dati
segnaletici e le informazioni concernenti l’identità e la nazionalità del
consegnando; il tutto corredato di traduzione in lingua italiana. Ciò che il
provvedimento impugnato attesta di fatto esistente, là dove rileva con chiarezza
che “la segnalazione risulta effettuata nelle forme richieste”, peraltro dando atto
delle generalità dell’odierno ricorrente, con esclusione di errori di persona,
nonché del reato dallo stesso commesso nella Repubblica Federale di Germania,
con la precisazione della pena massima astrattamente irrogabile ai sensi delle
disposizioni ivi vigenti.
Tanto premesso, non è poi inutile ricordare essere del tutto consolidato,
nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui eventuali difetti di
allegazione, ex art. 6 cit., sono irrilevanti ove la documentazione trasmessa
valga comunque a consentire il controllo dell’A.G. italiana, nei ristretti termini in
cui lo stesso deve essere circoscritto: il che viepiù fa risaltare la già rilevata
genericità della doglianza difensiva.

6.

Quanto al motivo residuo, in tema di adeguatezza di meno gravi misure

cautelari, esso, oltre ad essere connotato dalla chiara assenza di un reale
confronto con le ragioni in proposito rappresentate dal provvedimento
impugnato, è da ritenersi inammissibile alla luce della radicale genericità già
ravvisabile a monte, per via della mancata formulazione delle ragioni alla base
della doglianza, esplicitate solo con la già citata memoria e che l’ordinanza
impugnata non consente di affermare che fossero state avanzate già in sede di
convalida, come nel caso delle censure di rito di cui sopra.

7.

All’anticipato rigetto segue la statuizione di legge, in punto di spese del

grado.

Osserva al riguardo il Collegio che dette allegazioni concernono la copia del

P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1

ter, disp. att.

cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2018
Il Pres e te(

Il Consigl . e est.

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