Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16859 del 07/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16859 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gagliostro Santo, nato a Palmi il 06/05/1983

avverso la ordinanza del 24/04/2017 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Alfredo Pompeo Viola, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia
rigettato;
udito il difensore, avv. Giovanni Greco, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
dei motivi di ricorso, facendo presente che vi è stata sentenza di annullamento
da parte di questa Sezione, per fatti analoghi, emessa in data 23/11/2017 a
carico di Polifroni Vincenzo e Polifroni Bruno.

RITENUTO IN FATTO

1. Santo Gagliostro ricorre avverso l’ordinanza indicata in epigrafe con cui è
stato confermato il decreto del Giudice per le indagini preliminari del medesimo

Data Udienza: 07/02/2018

Tribunale che aveva disposto il sequestro preventivo delle quote sociali e del
patrimonio aziendale della società Costruedil di Gagliostro & C. s.n.c.
Il ricorrente risultava titolare del 50% delle quote societarie e soggetto
indagato per la partecipazione, attraverso la suddetta società, ad una turbativa
di una gara, aggravata dalla finalità dell’agevolazione dell’attività della cosca dei
Piromalli.

2. Deduce il ricorrente:

pen., per omessa motivazione.
Il Tribunale, attribuendo peraltro al ricorrente il ruolo di indagato, non
avrebbe risposto alle precise eccezioni sollevate dalla difesa ed in particolare
avrebbe rigettato la questione circa la apparenza della motivazione adottata dal
Giudice per le indagini preliminari nel convalidare il sequestro d’urgenza del P.M.,
ritenendo assolto da parte del giudice l’obbligo di autonoma valutazione dei
presupposti del sequestro.
La difesa aveva tuttavia avanzato una diversa eccezione ovvero che il
rinvio operato dal Giudice per i gravi indizi a carico di chi era stato raggiunto
dalla misura reale era riferito al provvedimento di fermo riferito ad altri indagati,
non conosciuto né conoscibile dal ricorrente.
In ogni caso, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari può
ritenersi assolto

“per relationem”,

mediante il mero rinvio ad altri atti del

procedimento, quando questi abbiano un contenuto essenzialmente descrittivo o
ricostruttivo della realtà oggetto di condivisione, ma non anche quando si faccia
rinvio a documenti complessi e contenenti aspetti valutativi.
– assenza di motivazione in ordine all’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203
del 1991.
Il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine al profilo
dell’agevolazione mafiosa per il fatto attribuito in sede cautelare al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La censura in ordine alla violazione dell’obbligo di autonoma valutazione
da parte del Giudice per le indagini preliminari è formulata genericamente, non
essendo state illustrate con la specificità richiesta in questa sede perché,
contrariamente all’avviso del Tribunale del riesame, il primo giudice abbia
motivato in modo apparente.

2

– violazione di legge per inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc.

Invero, la prescrizione della necessaria autonoma valutazione degli elementi
che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché di quelli forniti dalla
difesa, non esclude che il giudice della cautela, nel motivare i provvedimenti
cautelari reali, possa anche eventualmente ricorrere ad una motivazione “per
relationem” (tra tante, Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, Elezi, Rv. 268113),
purché dia conto delle ragioni per cui ritenga gli elementi illustrati nell’atto,
oggetto del rinvio o dell’incorporazione, idonei a supportare l’applicazione della
misura.

sia meramente descrittivo o sia invece un documento complesso, avente
contenuto valutativo (il principio richiamato dal ricorrente riguardava il caso
diverso in cui il giudice di merito aveva ritenuto assolto l’obbligo motivazionale
con il mero rinvio ad atti di indagine contenenti aspetti valutativi, Sez. 6, n.
46080 del 29/10/2015, Talbi Nejib, Rv. 265338).
Quanto alla questione del rinvio ad atto non conosciuto né conoscibile, il
ricorrente non si confronta con la ordinanza impugnata che sul punto evidenzia
che tutto il materiale richiamato dal decreto di sequestro era stato messo a
disposizione degli interessati così da essere in grado di difendersi.
Va ribadito al riguardo che la motivazione

“per relationem”

di un

provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia
riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento,
la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria
del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha
preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di
riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto
di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da
motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al
momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica
ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo
della valutazione o dell’impugnazione (per tutte, Sez. 6, n. 53420 del
04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839).

3. Quanto alla circostanza aggravante, la censura è priva di interesse.
L’interesse all’impugnazione di provvedimenti cautelari (personali o reali),
richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., deve essere, secondo i principi
generali, concreto ed attuale e deve risolversi necessariamente nel concetto di
idoneità dell’impugnazione a rimuovere una situazione pregiudizievole per la
parte, che si ponga in relazione causale con il provvedimento che l’ha
determinata.

3

In tale prospettiva, è pertanto irrilevante se l’atto preso in considerazione

L’interesse ad impugnare deve essere in definitiva commisurato al
pregiudizio che il provvedimento è “attualmente” idoneo a determinare
nell’ambito della sfera giuridica di chi “comunque” ne subisce gli effetti,
dovendosi escludere in via di principio che il detto interesse possa essere
commisurato all’esito del giudizio che la stessa parte può avere interesse ad
ottenere in relazione all’accertamento della legittimità del provvedimento di cui
chiede l’ablazione o quanto meno la modifica sostanziale.
L’interesse dell’indagato all’impugnazione non può quindi essere inteso

tecnicamente corretto, ma deve essere anche caratterizzato dalla possibilità di
conseguire un risultato che presenti i requisiti della concretezza e della attualità.
In applicazione di questo principio, si è più volte affermato, in tema di
impugnazioni avverso misure cautelari, che vi è carenza di interesse sia al
riesame sia al ricorso per cassazione quando con essi l’indagato tenda ad
ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, salvo che da tale esclusione
derivi, per lui, una concreta utilità (tra tante, Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013,
Fabricino, Rv. 258502).
Nel caso di specie, tale utilità non è stata allegata.

3. L’inammissibilità del ricorso rende irrilevante la questione dell’intervenuto
annullamento ad opera di questa Sezione di altra misura reale adottata nello
stesso procedimento (non risultandone viepiù neppure note al momento le
ragioni).
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed
al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di
sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo
quantificare nella misura di euro 2.000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle
ammende,
Così deciso il 07/02/2018.

soltanto come quello volto esclusivamente ad ottenere un provvedimento

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