Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16857 del 06/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16857 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: AGLIASTRO MIRELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE D1 BRESCIA
nel procedimento a carico di:
GENTILE YAHRI nato il 27/05/1983 a DESENZANO DEL GARDA
avverso l’ordinanza del 17/10/2017 del TRIBUNALE per IL RIESAME di BRESCIA’ )
sentita la relazione svolta dal Consigliere MIRELLA AGLIASTRO;
sentito il Procuratore Generale dott. SIMONE PERELLI, il quale ha concluso per
l’inammissibilita’ del ricorso;
udito l’avv. Giuseppe GARZO del foro di CROTONE, difensore di ufficio di
GENTILE YAHRI, il quale si è riportato alla memoria depositata.

Data Udienza: 06/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 17/10/2017, il Tribunale del riesame di Brescia in
riforma dell’ordinanza di rigetto del Tribunale di Brescia in ordine alla
applicazione della misura custodiale nei confronti di Gentile Yahri, applicava allo
stesso, per il reato di evasione, la misura degli arresti domiciliari presso
l’abitazione del padre, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della
Repubblica di Brescia, all’esito dell’udienza di convalida, a conclusione della quale

Il provvedimento del Tribunale del riesame rilevava che in data 22/9/2017,
militari della Stazione di Desenzano si recavano presso l’abitazione di Gentile
Yahri dove lo stesso era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per il
reato di evasione per notificargli un’ordinanza di aggravamento disposta dal
giudice per le indagini preliminari di Brescia in data 21/10/2017.
Il Gentile non veniva trovato in casa perché si era allontanato in compagnia
di una ragazza e solo dopo un po’ di tempo era tornato presso l’abitazione in cui i
Carabinieri tornavano per arrestarlo, in esecuzione dell’ordinanza di
aggravamento citata. Nello stesso tempo il Gentile veniva arrestato per la
flagranza del reato di evasione.
Dopo la convalida dell’arresto, il Tribunale non applicava alcuna misura
ritenendo che l’intervenuto provvedimento di carcerazione, in aggravamento,
rendesse inutile un ulteriore provvedimento analogo.
Il Pubblico Ministero proponeva appello, evidenziando il pericolo di
recidivanza, che imponeva l’applicazione di una misura cautelare, avuto riguardo
all’autonomia dei due procedimenti che si erano sovrapposti.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto la ricorrenza di gravi indizi del reato di
evasione nella flagranza constatata dai militari, rivelatrice della non episodicità
della condotta illecita e del pericolo concreto e attuale di reiterazione delle
condotte.
Quanto alla scelta della misura da adottare, il Tribunale del riesame, avuto
riguardo alla tipologia del reato commesso, all’esistenza di precedenti condotte
analoghe ravvicinate nel tempo ed alle condanne già riportate, si determinava
alla adozione della misura degli arresti domiciliari, idonea a fronteggiare il
pericolo di reiterazione di condotte analoghe. Richiamava al riguardo l’art. 275
comma 2 bis cod. proc. pen. ed i limiti edittali del reato in oggetto che non
rendevano ragionevolmente ipotizzabile una condanna a pena detentiva
superiore a tre anni di reclusione.
2. Ricorre per cassazione il Pubblico Ministero per inosservanza ed erronea
applicazione dell’art. 391 comma 5 cod. proc. pen. e dell’art. 275 comma 3 cod.

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non aveva adottato nessuna misura restrittiva.

proc. pen., nonché per contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
L’assunto del Pubblico Ministero si fonda sull’art. 391 comma 5 secondo
periodo cod. proc. pen., ritenuto di portata speciale rispetto all’art. 275 comma 2
bis cod. proc. pen.: l’art. 391 comma 1, in deroga alla disciplina generale dettata
dall’art. 275 comma 2 bis, attribuisce al giudice, in sede di convalida, il potere di
applicare misure cautelari, compresa quella custodiale, anche al di fuori dei limiti
di pena previsti dagli artt. 274 comma 1 lett. c) e 280 cod. proc. pen. in caso di

Sotto un altro profilo osserva il Pubblico Ministero che “la dinamica dei fatti
denota la presenza di un pericolo concreto ed attuale di reiterazione di condotte
analoghe e cioè di condotte di evasione, con implicito riconoscimento di
inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari e però contraddittoriamente
viene applicata la misura predetta, violando il disposto dell’art. 275 comma 3
primo inciso cod. proc. pen.” che consente al giudice di “prescindere dai limiti di
applicabilità della custodia cautelare in carcere prevista dall’art. 275 comma 2
bis, come introdotto dall’art. 8 comma 1 dl 26/6/2014 n. 92 convertito con mod.
nella legge 11/8/2014 n. 117, quando ai sensi del successivo comma 3 prima
parte, ritenga inadeguata ogni misura cautelare meno afflittiva a soddisfare le
esigenze cautelari”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato e va rigettato.
2.

La giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, sentenza n. 32498 del

05/07/2016, Rv. 267985; Sez. 6, sentenza n. 31583 del 23/06/2016, Rv.
267681) ha affermato che, in tema di convalida dell’arresto per uno dei delitti
per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza (nella specie, si trattava
di evasione dalla detenzione domiciliare), il giudice, ove ne ricorrano i
presupposti e taluna delle esigenze cautelari, può disporre la misura della
custodia cautelare in carcere solo se ritiene che all’esito del giudizio sarà irrogata
una pena detentiva superiore ai tre anni, atteso che la deroga ai limiti di pena di
cui agli artt. 274, comma primo, lett. c) e 280 cod. proc. pen., prevista dall’art.
391, comma quinto, cod. proc. pen., non può essere estesa anche al limite
imposto dall’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., trattandosi di
un’interpretazione analogica “in malam partem”.
Con l’entrata in vigore del d.l. n. 92/2014, convertito in legge n. 117/2014 è
stato riformulato l’art. 275 co. 2 bis del codice di rito, con l’introduzione di
un’ulteriore soglia di sbarramento, in aggiunta a quella preesistente legata alla

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arresto per delitti per i quali esso è consentito anche fuori dai casi di flagranza.

prevedibile sospensione condizionale della pena da irrogarsi, stabilendo il divieto
di adozione della più gravosa misura consentita dall’ordinamento qualora si
ritenga che la pena detentiva da infliggersi non sia superiore ad anni tre di
reclusione (in evidente correlazione con quanto stabilito dall’art. 656 dello stesso
codice, a proposito della sospensione dell’esecuzione della pena da scontare che
non ecceda, appunto, gli anni tre di reclusione, in ragione della possibilità che il
condannato fruisca di alternative alla detenzione). Ciò, fatte salve (alla stregua
delle modifiche apportate in sede di conversione del succitato decreto legge)

cui, verificata l’inadeguatezza di ogni altra misura, sia accertata l’inesistenza di
uno dei luoghi di assegnazione agli arresti domiciliari, giusta la previsione
contenuta nell’art. 284 cod. proc. pen., e ferme restando altresì due ipotesi
generali di deroga: l’una disciplinata dall’art. 276 co. 1 ter dello stesso codice,
che stabilisce l’automatica adozione della custodia carceraria ove sia constatata
l’inottemperanza alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanamento da
parte di chi sia sottoposto ad arresti domiciliari, sempre che si tratti di casi di
non lieve entità; l’altra, ai sensi dell’art. 280 co. 3 cod. proc. pen., relativa alla
trasgressione delle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare.
A detta modifica, peraltro, non ha fatto seguito quella del sopra menzionato
art. 391, onde è rimasta invariata la relativa disciplina quale sopra tratteggiata,
con riferimento all’ipotesi di arresto al di fuori dei casi di flagranza, con
conseguente possibilità di adozione di una misura coercitiva in deroga ai soli
“limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1 lettera c), e 280”. Logico
corollario di quanto precede è che la normativa del più volte citato art. 391, co.
5, del codice di rito deve essere letta e coordinata con il disposto dell’art. 275,
comma 2 bis dello stesso codice, da cui la necessità – per quanto qui interessa della ragionevole previsione di una pena superiore a tre anni, ove si ritenga di
adottare la misura della custodia in carcere, sempre che non ricorrano le
eccezioni e le riserve stabilite dallo stesso comma del succitato articolo. Ciò
comporta che, in presenza di evasione dagli arresti domiciliari, scatterà la deroga
(automatica) di cui all’art. 276 co. 1 ter cod. proc. pen., ove si tratti di un fatto
di non minimale rilievo, e, comunque, quella (discrezionale) di cui all’art. 280,
co. 3, dello stesso codice.
In senso contrario, non è sostenibile che l’art. 391 co. 5 cod. proc. pen.
possa essere interpretato in maniera estensiva, ritenendo che la deroga che esso
contempla alle “soglie di sbarramento” di cui agli artt. 274, co. 1 lett. c), e 280
debba abbracciare anche quella di più recente introduzione, ai sensi dell’art. 275,
co. 2 bis cod. proc. pen. Il primo ed assorbente ostacolo che si frappone ad una
siffatta lettura della norma è costituito dal carattere derogatorio

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in malam

talune specifiche fattispecie di reato, appositamente elencate, nonché il caso in

partem suo proprio, onde, vertendosi in tema di limitazioni alla libertà personale
e, dunque, ad un bene costituzionalmente garantito, ne discende che tutte le
eccezioni peggiorative all’ordinario regime cautelare non solo non sono
suscettibili di interpretazione analogica, ma non possono che essere suscettibili
di stretta interpretazione letterale, con esclusione di quella estensiva.
D’altro canto, il limite di pena previsto dall’art. 280 cod. proc. pen. non è
affatto omogeneo a quello previsto dall’art. 275 co. 2 bis: il primo, infatti, «si
rapporta alla pena edittale prevista per il reato», al chiaro scopo di introdurre

da maggiore gravità la possibilità che il soggetto che abbia fatto luogo alla loro
violazione sia assoggettato alla più afflittiva misura consentita; il secondo
«concerne la gravità in concreto dell’illecito per cui si procede», quale desumibile
dall’entità della pena che ragionevolmente si prevede che verrà irrogata al
colpevole. E, allo stesso modo, il limite di pena cui ha riguardo l’art. 274 co. 1
lett. c) – che è il medesimo previsto dal succitato art. 280 – si riferisce ad un
peculiare profilo in tema di esigenze cautelari, anche in tal caso richiedendo che,
ove siano ravvisate dal giudice quelle legate al pericolo di concreta ed attuale
reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, debba
trattarsi di reati astrattamente di indubbia significatività, desumibile dal tetto
massimo della pena edittale per essi prevista.
Infine, rileva la Corte che non può indurre a difforme conclusione la clausola
di riserva che costituisce l’incipit del secondo periodo (qui rilevante) del comma 2
bis dell’art. 275 del codice di rito (“Salvo quanto previsto dal comma 3 …”),
posto che la stessa va logicamente riferita alle fattispecie in deroga da esse
previste e non già alla previsione generale con cui si apre il succitato comma 3
(“La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre
misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino
inadeguate”): invero, tenuto conto che il succitato art. 275 co. 2 bis introduce
una ulteriore “soglia di sbarramento”, attraverso la previsione del limite di pena
di cui si è detto, non avrebbe senso, pena lo svilimento della stessa innovativa
disposizione inserita nel sistema, consentirne l’ordinario superamento sulla
scorta di una valutazione discrezionale sempre rimessa al giudice, quale quella
del primo periodo dell’art. 275 co. 3 del codice di rito; laddove la clausola in
questione ha una sua ragion d’essere se rapportata alle ipotesi di cui alla
seconda parte del medesimo comma 3 dell’art. 275, in quanto connotate da una
valutazione, in tutto o in parte “bloccata” — perché eseguita a monte dallo stesso
legislatore – di pericolosità dell’agente e di adeguatezza della massima misura
coercitiva.

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una selezione fra le fattispecie, riservando solo a quelle connotate astrattamente

Facendo applicazione dei principi sopra enunciati al caso di specie e tenendo
conto che il reato di evasione, nella sua forma ordinaria prevede una pena
massima di anni tre di reclusione, è impossibile il rispetto della soglia di
sbarramento di cui all’art. 275 co. 2 bis cod. proc. pen., che importa il rigetto del
ricorso del Pubblico Ministero di Brescia.

P.Q.M.

Così deciso il 06/02/2018.

Rigetta il ricorso.

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