Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16855 del 24/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16855 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CONGEDO VINCENZO N. IL 26/01/1956
avverso la sentenza n. 305/2014 CORTE APPELLO di LECCE, del
29/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 24/03/2016

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Lecce, dichiarati estinti per prescrizione e remissione di querela alcuni dei reati contestati con riduzione delle relative pene, ha confermato
nel resto la sentenza emessa in data 2 febbraio 2011 dal locale Tribunale, Sezione distaccata di
Galatina, appellata da CONGEDO Vincenzo, dichiarato responsabile del delitto di violenza privata, commesso il 16 luglio 2008.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità
ritenuta con insufficiente valutazione dell’attendibilità della persona offesa; lamenta poi mancata
applicazione dell’attenuante ex art. 62 n. 6 c.p. e delle attenuanti generiche.
Con memoria aggiunta deduce intervenuta prescrizione del reato, insiste sulla concessione delle
attenuanti generiche e chiede l’applicazione del disposto dell’art. 131 bis c.p.p.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto prospettante due motivi nuovi in relazione al contenuto dell’impugnazione in appello e precisamente il secondo e terzo motivo, le
censure prospettate con il primo motivo di ricorso sono inammissibili, in quanto tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del
materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente
valutati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Nel caso in esame, difatti, entrambe le pronunce hanno ineccepibilmente osservato che la prova
del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità
è adeguatamente argomentata anche con riferimento ai possibili spunti di incertezza.
Ed altrettanto compiutamente e logicamente hanno ritenuto, di contro, non decisive le dichiarazioni dell’imputato sulla disponibilità da parte sua del veicolo con cui sarebbe stato commesso il
fatto, veicolo del quale il ricorrente ben avrebbe potuto conseguire la disponibilità attesa la sua
attività lavorativa.
La sentenza impugnata non è dunque sindacabile in questa sede perché la Corte di cassazione
non deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come
nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in
astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia
logica: insomma, se sia esauriente e plausibile.
Dalla non contestata narrativa della sentenza della Corte d’Appello non risulta fosse stato sviluppato un motivo di appello in tema di attenuanti, né un tale argomento risulta proposto in sede di
conclusioni; pertanto i motivi 2 e 3 devono, per tale loro novità, considerarsi inammissibili.
Peraltro in tema di trattamento sanzionatorio la Corte di merito ha valutato l’adeguatezza del
complesso sanzionatorio della prima sentenza, con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p.,
riferimento tale da comprendere una seppur implicita valutazione di gravità che emerge dalla
narrativa della sentenza, così da giustificare la conferma del trattamento quanto alla pena ed alle
circostanze.
L’inammissibilità del ricorso impedisce ogni valutazione del merito ai fini di valutare
l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,004.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma L24 marzo 2016.

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