Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16851 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16851 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: COSTANTINI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CUPELLI TEONILDE nato il 10/01/1945 a RAPINO

avverso la sentenza del 10/11/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Antonio Costantini

Udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi i difensori:
– l’avv. Ciotti Luigi, difensore di parte civile non ricorrente Mancini Stefano, si
associa alle conclusioni del PG e deposita nota spese e conclusioni;

l’avv. Rocca Alberto, difensore di fiducia di Cupelli Teonilde, chiede

l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 27/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Cupelli Teonilde, per mezzo del proprio difensore, impugna la sentenza
della Corte d’Appello di Ancona che, in riforma di quella di assoluzione emessa
dal G.u.p. di Fermo, ha condannato l’imputata alla pena di un anno, mesi due e
giorni venti di reclusione, in ordine al delitto di cui all’art. 314 cod. pen., per
essersi appropriata, quale tutore dell’interdetto legale Stefano Mancini, della

conto corrente.

2. Il ricorrente deduce i motivi di cui appresso.
2.1. Con il primo motivo prospetta la violazione dell’art. 591, lett. c) con rif.
all’art. 585 cod. proc. pen. rilevando come l’appello del Procuratore della
Repubblica avverso la sentenza di assoluzione del G.u.p. di Fermo sia avvenuto
oltre i 45 giorni previsti dall’art. 585, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., ed in
particolare il quarantaseiesimo giorno dal termine entro il quale avrebbe dovuto
depositare la sentenza. Tanto, anche a mente dell’art. 591, comma 4, cod. proc.
pen., è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
2.2. Si deduce, inoltre, la violazione dell’art. 533 cod. proc. pen. ed
illogicità della motivazione.
Si osserva come, a fronte di una sentenza di primo grado che era stata
attenta nella valutazione della ricostruzione degli eventi ed aveva assegnato la
giusta valenza a quanto avvenuto successivamente al prelievo della somma dal
conto corrente del Mancini al fine di concludere per la carenza del necessario
elemento soggettivo, la sentenza d’appello era stata apodittica.
Non può certamente ritenersi la motivazione in essa contenuta, alla stregua
di quanto in più occasioni affermato da questa Corte circa la necessità di una
motivazione rafforzata in caso di riforma di sentenza assolutoria, idonea a
scalfire quella di primo grado.
È stato illogico ed errato anticipare la rilevanza penale della condotta
facendola retroagire alla fase contestuale e prossima al prelievo della somma
poiché tale opzione non era stata fatta propria dall’accusa che nell’imputazione
aveva attribuito ad un momento successivo la consumazione in corrispondenza
con la mancata restituzione della somma.
La operata inversione prospettica ha condotto la Corte distrettuale ad
assegnare rilevanza al momento del prelievo, il cui ammontare è stato ritenuto
non ordinario, per poi anticipare anche la avvenuta appropriazione in

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somma di denaro approssimativamente ammontante ad euro 6.800 prelevata dal

corrispondenza della consegna della sola somma di 800 euro al Mancini ed il
trattenimento della restante somma.
Egualmente illogica è l’affermazione secondo cui la condotta della ricorrente
sarebbe stata ispirata dalla consapevole decisione di agire in autonomia ed al di
fuori dei controlli degli organi giudiziari, circostanza che, alla luce delle
informazioni ad essi fornite dalla Cupelli, non costituiscono prova di tali intenti.
Il ritardo nella riconsegna della somma non può essere assimilato all’omessa
restituzione, condotta adeguatamente valutata dal primo giudice che la sentenza

rilevanti le intenzioni e le finalità della condotta, non valorizzando quanto
necessario per la sussistenza del dolo.
Anche il riferimento alla condotta successiva al provvedimento giudiziale del
26 novembre 2011 che aveva disposto l’immediata restituzione della somma e
che aveva subordinato le questioni connesse alle deducibilità degli importi a
ulteriori decisioni del giudice tutelare, era stato adeguatamente vagliato e
ritenuto ininfluente dal giudice di primo grado alla luce dell’atteggiamento di
attesa di provvedimenti giudiziali da parte della Cupelli.
A fronte, quindi, di logiche, persuasive e complete valutazioni del primo
giudice, la Corte distrettuale non ha fornito risposte idonee a rovesciare il
costrutto della prima sentenza, certamente non sufficienti per il rispetto del
canone dell’«oltre ragionevole dubbio».
2.3. Con l’ultimo motivo contesta l’ammontare della somma riconosciuta alla
parte civile, quantificata in euro 4.500. La Corte territoriale, valutata la somma
mai restituita di euro 2.168 e la restante somma fino a quella di euro 4.500,
quale danno morale, non ha motivato in ordine alla sua quantificazione,
contrariamente da quanto effettuato dal G.u.p. che aveva ritenuto ragionevoli le
spese affrontate dalla Cupelli per euro 2.968,16.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile poiché manifestamente infondato.

2. Quanto al primo motivo con il quale si deduce la tardività dell’appello, si
osserva che i quarantacinque giorni entro i quali proporre l’appello, a mente
dell’art. 585, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., sono decorsi dalla data
corrispondente a quella fissata al momento della decisione e segnatamente il 20
gennaio 2014 e, in conseguenza, termine ultimo entro il quale impugnare la
decisione risulta essere quello del 7 marzo successivo, data in cui
tempestivamente è stato depositato l’appello del P.M. e ciò in quanto, la

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impugnata non supera con l’affermazione secondo cui non sarebbero state

decorrenza dal giorno 20 gennaio del termine, come desunto dall’art. 585,
comma 2, lett. c) cod. proc. pen., contrariamente a quanto erroneamente
sostenuto dal ricorrente, indica la decorrenza del calcolo dei 45 giorni che,
quindi, scade nella data indicata.

3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Il ricorrente, sulla base della pedissequa enunciazione di alcuni
passaggi della motivazione della Corte distrettuale, ponendo gli stessi in

attraverso generiche contestazioni, essere condivisibile quanto affermato dal
G.i.p. ed illogico e assunto sulla base del travisamento del fatto e delle prove
quanto affermato dalla Corte territoriale, deducendo l’assenza di valorizzazione
degli elementi che, secondo il giudice di primo grado, erano stati presi in
considerazione al fine di ritenere insussistente l’elemento soggettivo connesso al
dolo del reato contestato.
3.2. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la ricostruzione della
vicenda processuale in sede civile ha consentito alla Corte distrettuale, anche
alla luce della semplicità della condotta di peculato consistita nell’essersi
appropriata della somma che giaceva sul conto corrente del pupillo che, solo in
piccola parte, era stata consegnata, di esaminare in maniera completa e priva di
aporie il fatto contestato, ricostruito nella sua materialità con l’integrale
valutazione degli elementi precedenti, contestuali e successivi alla
appropriazione che hanno condotto i giudici di merito a ritenere integrato il reato
per come contestato, previa valorizzazione della condotta ai fini della sussistenza
del necessario elemento soggettivo.
3.3. Nessuna illogicità o carenza argomentativa si scorge nella motivazione
della sentenza impugnata che ha attentamente vagliato la condotta della Cupelli,
nominata tutore dell’interdetto legale Mancini, detenuto per l’omicidio dei
genitori, rilevando l’anomalia della condotta tesa al prelievo di una somma
ingente dal conto corrente, condotta che per importi notevolmente inferiori
avevano necessitato dell’autorizzazione del giudice tutelare e mai in precedenza
assunta rispetto al Mancini.
3.4. Anche il tenore della corrispondenza con ii Mancino immediatamente
successiva al prelievo della somma di oltre 7.000 euro in cui si prospettava la
necessità di presunti investimenti futuri, la asserita opportunità di una nomina di
un legale, la richiesta di una procura per affittare un immobile (tutte attività mai
autorizzate e inconferenti anche alla luce della assenza di immobili nel
patrimonio dell’interdetto), la consegna di appena 800 euro a fronte dell’ingente
somma prelevata, la mancata consegna della somma anche a seguito di sollecito

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correlazione con quanto affermato dal giudice di primo grado, afferma,

da parte del giudice e del nuovo tutore dopo la revoca, la contestuale richiesta di
presunti compensi – a fronte della gratuità dell’incarico e della impossibilità di
detenere in compensazione quanto asseritamente spettantele – da scomputare
alla somma da restituire, la iniziale parziale restituzione dell’importo di cui si era
ormai appropriata solo a seguito della denuncia dopo almeno 4 o 5 mesi dal
prelievo, e solo dopo la denuncia del Mancini, erano elementi valutati quale
logicamente idonei a far ritenere la volontà della Cupelli di appropriarsi della
somma e che ne evidenziavano il dolo della appropriazione.

non hanno consentito di minare una complessiva e logica valutazione in termini
di consapevolezza e preordinazione della condotta.

4. Manifestamente infondato risulta anche il motivo che censura quanto
disposto in ordine alla quantificazione del danno morale.
4.1. Questa Corte ha avuto modo di affermare che la liquidazione del danno
morale è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di
merito (Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli e altro, Rv. 263450), che
costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da
congrua motivazione (Sez. 6, Sentenza n. 48461 del 28/11/2013, PG, Fontana
ed altri, Rv. 258170).
4.2. La Corte d’appello al riguardo, premessa la mancata restituzione
dell’importo di euro 2.168, ha rettamente apprezzato che la somma di euro
4.500, comprensiva di detto importo, fosse da ritenersi adeguata sulla base di
quanto patito dal Mancini a cagione del danno morale conseguente all’incertezza
per la sorte del denaro di sua proprietà.
La motivazione risulta conforme ai richiamati principi, anche alla luce del
non notevole importo liquidato, per la cui liquidazione non sono necessarie
particolari ulteriori precisazioni oltre a quelle enunciate.
Non è stato ritenuto conferente, come dedotto dal ricorrente, che il giudice
di primo grado avesse valutato congrue le spettanze per l’esecuzione dell’incarico
in favore della ricorrente la cui sentenza è stata riformata, e ciò anche alla luce
della gratuità del munus pubblico conferito dall’autorità giudiziaria.

5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese di rappresentanza in favore della parte civile a mente
dell’art. 592, comma 1, cod. proc. pen., nonché al pagamento delle spese
processuali e della somma, che si stima adeguata, di euro duemila in favore della
cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod.
proc. pen

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Le giustificazioni addotte dall’imputata, ritenute generiche e non credibili,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza in giudizio
in questo grado della parte civile Stefano Mancini, come rappresentato per legge,

15%, IVA e CPA.

Così deciso il 27/03/2018.

Il Consigliere estensore
Antonio Costantini

Il Presidente
/Arma Petruzzellis
i

che si liquidano in complessivi euro 2.700 oltre spese generali nella misura del

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