Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16831 del 22/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16831 Anno 2018
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: RAGO GEPPINO

Data Udienza: 22/03/2018

SENTENZA
sul ricorso proposto da
RINZIVILLO LUIGI, nato il 08/11/1961, contro l’ordinanza del 26/10/2017 del
Tribunale del riesame di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito il difensore, avv. Giacomo Ventura, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Rinzivillo Luigi ha proposto ricorso per cassazione contro l’ordinanza in
epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Caltanissetta aveva confermato
l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti
di cui agli artt. 416 bis cod. pen. e 12 quinquies L. 356/1992 e 7 L. 203/1991,
emessa in data 22/09/2017 dal giudice delle indagini preliminari del medesimo
Tribunale.
La difesa del ricorrente ha dedotto:
1.1. la violazione dell’art. 416 bis cod. pen. (capo sub a) in quanto: a) le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano relative ad un periodo anteriore
(-1

ai 2008 e cioè quel periodo preso in esame in un precedente giudizio che si era
concluso con l’assoluzione del ricorrente dalla medesima imputazione di cui
all’art. 416 bis cod. pen.; b) le captazioni telefoniche ed ambientali erano del
tutto irrilevanti in quanto si trattava di conversazioni aventi ad oggetto “un
semplice interessamento parentale” da parte di Rinzivillo Antonio e Salvatore nei
confronti del ricorrente loro cugino; c) la circostanza che presso l’agenzia di
scommesse gestita dal ricorrente si svolgessero incontri riservati era irrilevante
trattandosi di un esercizio pubblico aperto a tutti «sicchè non può assolutamente

quegli incontri nel locale dove lavorava»; d) irrilevante doveva ritenersi anche la
circostanza secondo la quale Rinzivillo Salvatore avesse usato il telefono cellulare
del ricorrente; e) non esisteva un cenno ad una qualsiasi remunerazione o utilità
che Rinzivillo Luigi riceverebbe dall’appartenenza al sodalizio criminale; f)
l’interessamento del ricorrente all’assunzione lavorativa di Mulè Vincenzo presso
l’impresa di Vasta Filippo era rimasto «virtuale perché risulta che nessun
contatto egli pose in essere con Vasta Filippo», tant’è che lo stesso tribunale
aveva annullato il capi sub i) con il quale era stato contestato al ricorrente il
delitto di cui agli artt. 56/629 cod. pen.;
1.3. la violazione dell’art. 12 quinquies L. 356/1992 e 7 L. 203/1991 (capo
sub b) in quanto: a) essendo stato il ricorrente assolto dal reato associativo nel
2009 «non è dato vedere sul piano della logica come Rinzivillo Luigi potesse
temere l’applicazione di una misura di prevenzione già rigettatagli dodici anni
prima»; b) non era stato provato l’elemento materiale ossia l’intestazione fittizia;
c) insussistente doveva, infine, ritenersi l’aggravante di cui all’art. 7 legge cit.
«se si considera che Rinzivillo Salvatore risiedeva a Roma e si trovava a venire a
Gela per non più di tre o quattro volte all’anno» e che comunque utilizzava la
sala giochi solo come iniziale appuntamento «salvo poi a spostarsi nel magazzino
dei coindagati Giannone o anche a casa sua».

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 416 BIS COD. PEN.

Il ricorrente è indagato di far parte dell’associazione mafiosa facente capo ai
fratelli Salvatore, Crocifisso e Salvatore Rinzivillo, dei quali è cugino, avendo
messo a disposizione della suddetta organizzazione, luoghi nella propria
disponibilità ed offerto ogni altro supporto logistico allo scopo di consentire
l’esplicazione dell’attività mafiosa sul territorio senza la palese esposizione del
Rinzivillo Salvatore (pag. 1 ordinanza impugnata).
Il tribunale ha, innanzitutto, premesso l’antefatto storico-fattuale del
presente procedimento, costituito dalle seguenti pacifiche circostanze: a)

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desumersi alcun “ruolo” dell’odierno ricorrente il quale non poteva che tollerare

l’esistenza e l’operatività del clan mafioso Rinzivillo accertate con sentenze
passate in giudicato; b) al vertice del clan mafioso dei Rinzivillo si trovavano tre
fratelli: Antonio (detenuto in regime di 41 bis ord. pen.); Crocifisso (detenuto); e
Salvatore che, scarcerato nell’agosto del 2013 e nonostante fosse residente a
Roma, aveva ripreso le redini del sodalizio criminoso riannodando i contatti con
storici esponenti mafiosi di diversi ambiti territoriali siciliani (pag. 5 ss
dell’ordinanza); c) il ricorrente era stato assolto con sentenza del 2009
dall’imputazione di cui all’art. 416 bis cod. pen.; d) il presente procedimento
aveva ad oggetto fatti successivi alla suddetta sentenza.

Ora, a parte le dichiarazioni rese dai collaboratori nel processo conclusosi
con l’assoluzione del ricorrente, dichiarazioni che, però, dal tribunale vengono
nuovamente prese in considerazione al solo fine di lumeggiare “il vissuto
giudiziario” del ricorrente [pag. 15: con il che la censura illustrata supra al § 1.1.
a), resta disattesa], il vero e proprio quadro indiziario a carico del Rinzivillo si
trova illustrato a pag. 17 ss ed è costituito da: a) “numerose captazioni
telefoniche ed ambientali” dalle quali il Tribunale ha desunto “il ruolo di cerniera”
che il Rinzivillo Luigi aveva assunto fra il cugino Rinzivillo Salvatore ed i sodali
delle altre famiglie mafiose; b) l’aver messo a disposizione del Rinzivillo
Salvatore l’agenzia di scommesse per i summit mafiosi: il fatto è pacifico e
neppure contestato dal ricorrente; c) l’aver tenuto i contatti con Maranto Antonio
Giovanni, capo famiglia di Polizzi Generosa; d) l’aver usato un linguaggio
criptico; e) l’aver consentito, in più occasioni, al cugino Salvatore di utilizzare la
propria utenza telefonica; f) l’aver procurato appuntamenti fra diversi soggetti ed
il cugino Salvatore; g) l’essere stato messo al corrente delle attività illecite del
sodalizio; h) essersi interessato all’assunzione lavorativa di Mulè Vincenzo presso
l’impresa Vasta.
La difesa del ricorrente non contesta, in punto di fatto, le suddette
emergenze processuali, ma si basa tutta su pretese illogicità della motivazione in
quanto il tribunale avrebbe offerto un’interpretazione unilateralmente
sfavorevole al ricorrente avendo fatto propria la tesi accusatoria e sminuito al
tesi difensiva.
Sennonchè, quando si esamina la tesi difensiva non si tarda ad avvedersi
che si fonda su una parcellizzazione di tutto il suddetto quadro indiziario che
viene contestato in ogni singolo indizio sminuendone la valenza accusatoria sotto
il profilo dell’irrilevanza in quanto si tratterebbe di episodi insignificanti che
trovavano, al più, la loro giustificazione nella parentela.
Al che deve replicarsi che il procedimento logico di valutazione degli indizi si
articola in due distinti momenti.

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Il tribunale tratta della posizione del ricorrente a pag. 14 ss dell’ordinanza.

Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di
precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che
tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale
gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente
proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere
secondo le regole di esperienza.
Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e
unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che “nella
valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si

sicché l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria,
e l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il
quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto … che – giova ricordare
– non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o
storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e
sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice” (Cass., Sez. Un. 4
febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231).
Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state ribadite
dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e
complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera
sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione
propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente,
ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti
e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12 luglio
2005, n. 33748, rv. 231678).
Orbene, è sufficiente la lettura della motivazione dell’ordinanza impugnata,
per avvedersi che il tribunale, sostanzialmente, si è attenuto al suddetto
procedimento logico in quanto, non solo i singoli indizi evidenziati sono gravi e
precisi, ma anche perché, unitariamente valutati, danno un quadro probatorio
univoco e convergente nei confronti dell’indagato.
Il tribunale, ha anche preso in esame le specifiche doglianze dedotte in sede
di riesame (cfr pag. 19-23) ma le ha puntualmente disattese con motivazione
logica, congrua e coerente con gli evidenziati elementi di natura fattuale e logica.
Di conseguenza, la censura dedotta in questa sede, va ritenuta nulla più che
un modo surrettizio di introdurre in sede di legittimità una nuova valutazione di
quegli stessi elementi processuali già presi in esame dal tribunale ma disattesi
con motivazione logica e congrua e, quindi, non censurabile in questa sede.
Quanto all’unico argomento di diritto secondo il quale nell’ordinanza
impugnata non esisteva un cenno ad una qualsiasi remunerazione o utilità che
Rinzivillo Luigi avrebbe ricevuto dall’appartenenza al sodalizio criminale, è
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integra con gli altri, talché il limite della valenza di ognuno risulta superato

appena il caso di rilevare che l’art. 416 bis cod. pen. non prevede, fra i requisiti
materiali del reato, che il sodale riceva un beneficio dal far parte
dell’associazione.

2. LA

VIOLAZIONE DELL’ART.

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QUINQUIES

L. 356/1992 E 7 L. 203/1991

Il tribunale tratta della suddetta imputazione a pag. 23 ss dell’ordinanza
impugnata.
Gli indizi a carico del ricorrente sono costituiti:
a) da numerose captazioni telefoniche ed ambientali dalle quali il tribunale
ha desunto che l’agenzia di scommesse sportive “Luxury Internet Point” —
intestata in un primo momento a Bongiorno Liborio, e, successivamente, a
Stimolo Fabio – era «riconducibile con ragionevole certezza a Rinzivillo Luigi che,
già in passato proposto per l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali,
né ha effettuato l’intestazione fittizia a terzi»;
b) dalle dichiarazioni rese dallo stesso Bongiorno Liborio che, in sede di
interrogatorio di garanzia, riferì che il Rinzivillo era proprietario al 50% della
società;
c)

dalla cronologia dei vari

passaggi

nell’intestazione dell’attività

commerciale;
d) dalle modeste capacità reddittuali del Bongiorno e dello Stimolo per far
fronte alla spese di acquisto e gestione della società.
Sotto il profilo soggettivo (dolo specifico diretto all’elusione delle misure di
prevenzione patrimoniale), il Tribunale ha evidenziato che il ricorrente aveva
interesse ad intestare a terzi quell’attività commerciale sia perché, in
considerazione dei suoi trascorsi, temeva di essere sottoposto a misura di
prevenzione patrimoniale sia perché sussisteva una sperequazione economica fra
entrate ed uscite.
Alla stregua di tali oggettivi dati fattuali, il tribunale ha quindi concluso che
sussisteva un quadro probatorio grave che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte (puntualmente richiamata), integrava gli estremi del suddetto reato.
Sul punto, le censure dedotte dalla difesa del ricorrente in questa sede,
vanno ritenute del tutto generiche, aspecifiche e meramente reiterative della
medesima tesi difensiva peraltro ampiamente confutata dal tribunale (pag 25
ss).
Anche la censura in ordine alla dedotta insussistenza dell’aggravante di cui
all’art. 7 Legge cit., è manifestamente infondata in quanto il tribunale ha
dimostrato, sulla base di precisi dati fattuali, che il locale nel quale veniva
esercitata l’attività imprenditoriale, era, poi, adibito a luogo di incontro fra i
sodali dell’associazione mafiosa, ed, in primis, da Rinzvillo Salvatore che, benché

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residente a Roma, continuava a far capo a Gela per l’attività della suddetta
associazione.

3. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q. M.
RIGETTA

CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94/1 ter disp. att. cod.
proc. pen.
Così deciso il 22/03/2018
Il Consigliere es,ensore
Geppino Rago

Il Presidente
Adriano Iasillo

il ricorso e

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