Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1683 del 27/11/2013

Penale Sent. Sez. 6 Num. 1683 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA

decidendo sul ricorso proposto da A.A.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Francesco Mauro Iacoviello che ha concluso per l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. A.A., ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza
17 giugno 2013 del G.I.P. presso il Tribunale di Genova, che ha rigettato
l’opposizione proposta ex art.263 comma 5 cod. proc. pen., contro il decreto del

Data Udienza: 27/11/2013

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P.M. che aveva respinto la richiesta di restituzione dei beni sequestrati in data 27
novembre 2012 .
2. Nell’opposizione, presentata in data 28 gennaio u.s. (udienza tenuta in
data 13 marzo 2013), la difesa

dell’imputato ha insistito nella richiesta di

restituzione di denaro e beni in sequestro rilevando: a) che nel dicembre 2009 il
dell’art. 73 d.P.R. 309/90; b) che il ricorrente aveva espiato interamente la pena
tra custodia cautelare in carcere e detenzione domiciliare; c) che il nuovo
procedimento penale, che ha portato nel novembre 2012, ad una nuova ordinanza
di custodia cautelare e al sequestro di quanto oggi oggetto dell’opposizione
rigettata, traerebbe origine da fatti risalenti anch’essi all’autunno del 2009 e
concernenti sempre lo spaccio di sostanze stupefacenti; d) che l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere ed il sequestro di denaro e beni sono sopravvenuti
circa tre anni dopo i fatti contestati e a 4 mesi di distanza dalla prima
scarcerazione (fine pena) del A.A.; e) che tutti i beni in sequestro sono stati
prodotti e messi in vendita in epoca successiva al 2009, quindi, “verosimilmente”,
nulla hanno a che vedere con il procedimento penale che trae origine da fatti del
2009; f) che il G.I.P., chiamato a valutare questi elementi, pur con tutte le prove
degli acquisti, innegabilmente successivi al 2009, non accoglieva la richiesta,
attraverso una dogmatica argomentazione le cui premesse risulterebbero errate.
3. Dal decreto di convalida della perquisizione e del sequestro ex art. 352
cod. proc. pen. risulta che il P.M. ha -tra l’altro- argomentato sulla sussistenza di
un ‘fondato motivo che sulla persona e nel luogo controllato potessero essere
rinvenute tracce utili alle investigazioni in corso, facilmente disperdibili, come si
evidenzia dalla descrizione dei fatti ascritti nell’ordinanza cautelare 12 ottobre
2012″.
4. Il G.I.P., con il provvedimento impugnato, ha rigettato l’opposizione con
la testuale motivazione che segue: a) in merito alla somma di denaro sequestrata,
la documentazione allegata all’istanza di dissequestro non pare idonea a
giustificare il possesso del denaro da parte dell’indagato, non essendo le ricevute
delle vincite nominative; b) con riferimento agli altri beni in sequestro, il P.M. ha
motivato il rigetto dell’istanza di dissequestro con la necessità di svolgere

A.A. era stato arrestato e condannato a tre anni di reclusione per violazione

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accertamenti sui beni e le argomentazioni svolte nell’opposizione, basate sul mero
decorso del tempo dai fatti oggetto del presente procedimento, sono inidonee a
confutare tale conclusione.
5.

Con un unico motivo di impugnazione si prospetta insufficienza e

manifesta illogicità dell’ordinanza, non avendo il giudice tenuto conto delle

fatti di causa del ricorrente, nonché la prova della legittimità del possesso dei beni
sequestrati, per le ragioni indicate nell’opposizione ed alle quali non è stata data
conveniente e precisa risposta, essendo stati i cellulari prodotti e messi in vendita
in epoca successiva al 2009; quanto al denaro il provvedimento nulla dice salvo il
richiamo alla vincita anonima.
6. Ritiene la Corte che il provvedimento impugnato, pur sinteticamente
motivato, non sia suscettibile di censura in questa sede, non risultando affatto
provati gli assunti difensivi di “estraneità ai fatti di causa del ricorrente, nonché la
prova della legittimità del possesso dei beni sequestrati”, attesa l’insufficienza, allo
stato, delle prove sulla lecita provenienza e disponibilità del denaro (€. 2.000) e
dei beni (5 cellulari, 1 tablet, 1 computer portatile), rinvenuti dalla Polizia
giudiziaria (nel corso dell’esecuzione di un’ordinanza di misura della custodia
cautelare in carcere per uno dei delitti indicati dall’art.380 cod. proc. pen.), all’atto
della perquisizione nell’abitazione dell’indagato in Genova Via Fontana rossa
n.23/15, persona pregiudicata ed indagata ex art. 73 d.p.r. 309/90, priva di stabile
occupazione.
7. Va infatti in proposito rammentato:
a) che il sequestro probatorio è una misura di ricerca della prova (Cass.
pen. sez. 3,35806/10 r.v. 248364);
b) che ai fini della legittimità del decreto di perquisizione e del conseguente
sequestro, il “fumus” necessario per la ricerca della prova è quello inerente
all’avvenuta commissione dei reati, nella loro materiale accezione, e non già alla
colpevolezza del singolo, sicché il mezzo è ritualmente disposto anche qualora il
fatto non sia materialmente accertato, ma ne sia ragionevolmente presumibile o
probabile la commissione, desumibile anche da elementi logici (Cass. pen. sez. 3,
6465/2008 Rv. 239159. Massime precedenti Conformi: N. 899 del 1992 Rv.

prodotte prove documentali che avrebbero consentito il giudizio di estraneità ai

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190418, N. 84 del 1997 Rv. 208468. Massime precedenti Vedi: N. 1686 del 1993
Rv. 194420, N. 195 del 1994 Rv. 196563, N. 2379 del 1994 Rv. 198397, N. 4556
del 1994 Rv. 196770);
c) che il sequestro probatorio, proprio perchè mezzo di ricerca della prova dei
fatti costituenti reato, non può per ciò stesso essere fondato sulla prova del

solo sul fumus di esso, cioè sulla mera possibilità del rapporto di esse con il reato.
Qualora, quindi, dal complesso delle prime indagini tale fumus emerga, il
sequestro si appalesa non solo legittimo ma opportuno, in quanto volto a stabilire,
di per sè o attraverso le successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il
collegamento pertinenziale tra res e illecito (Cass. Penale sez. III, sentenza
13641/2002, Pedron; Cass., Sez. II, 20.11.1999, n. 3273).
8. Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del
provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il giorno 27 novembre 2013
Il consigliere estensore

carattere di pertinenza ovvero di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, ma

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