Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16799 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16799 Anno 2018
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: CALASELICE BARBARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

X. GIOVANNI nato a Bari il 18/04/1978

avverso la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari del
11/05/2017

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero nella persona del Sostituto
Procuratore generale Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 20/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari ha applicato a
Giovanni X. la pena di anni due mesi quattro di reclusione per il reato di
bancarotta fraudolenta, nonché la pena accessoria di cui all’art. 216, ultimo
comma, R.D. 1 marzo 1942 n. 267.

ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato
deducendo la violazione di legge per essere stata applicata la pena accessoria
nella durata prevista per legge, anche se la pena principale irrogata, all’esito di
applicazione di pena, è inferiore ad anni due di reclusione. All’uopo sostiene il
ricorrente che deve essere considerata soltanto la misura della pena base e non
quella definitivamente risultata dall’applicazione dell’aumento operato a titolo di
continuazione.

3. Il Sostituto Procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta,
con la quale ha chiesto l’annullamento senza rinvio limitatamente alla pena
accessoria irrogata nella misura di anni dieci, riportando la giurisprudenza di
questa Corte di legittimità che, per il caso di continuazione, ha affermato che la
determinazione della pena, ai sensi ed effetti dell’art. 445 cod. proc. pen., va
effettuata tenendo presente la misura della pena base.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. E’ noto a questa Corte e senz’altro condivisibile il principio di diritto,
costantemente affermato in sede di legittimità, secondo il quale, in caso di
applicazione di pena, ai fini dell’irrogazione della sanzione accessoria deve farsi
riferimento, in caso di riconosciuta continuazione tra più reati, alla
determinazione in concreto della pena base, quale individuata per il reato più
grave e non a quella globale, comprensiva anche degli aumenti per la
continuazione (Sez. 6, n. 3633 del 20/12/2016, dep. 2017, Cagnazzo, Rv.
269425; Sez. 6, n. 22508 del 24/05/2011, Di Cioccio, Rv. 250500).

2

2. Avverso l’indicata pronuncia adottata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen,

3. Nella specie, tuttavia, per la determinazione della pena complessiva
applicata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’istituto indicato nel
provvedimento impugnato non è quello della continuazione di cui all’art. 81 cod.
pen., in relazione al quale risulta elaborato il riportato principio giurisprudenziale.
Dall’esame della motivazione del giudice di primo grado, invero, emerge che alla
misura della pena concordata tra le parti, di anni tre mesi sei di reclusione, poi
ridotta di un terzo per il rito alla pena di anni due mesi quattro di reclusione, si è

tre mesi sei di reclusione, per effetto della cd. continuazione fallimentare, ai
sensi dell’art. 219 legge fall, tenuto conto che il giudice di merito richiama
espressamente l’art. 219 cit. ed irroga l’aumento,

attesa la pluralità delle

violazioni ascritte all’imputato (cfr. pag. 4 della motivazione della sentenza di
applicazione di pena impugnata).
3.1. Orbene rispetto a tale istituto è noto che secondo la giurisprudenza di
questa Corte di legittimità i più fatti sono autonomi reati, che non possono
essere qualificati come in continuazione tra loro, ai sensi dell’art. 81 cod. pen,
atteso che, nel caso di consumazione di una pluralità di
condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento (com’è
avvenuto nel caso di specie), le stesse mantengono la propria autonomia
ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori,
nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall. Si tratta,
quindi, dell’applicazione di una disposizione che detta per i reati fallimentari una
peculiare disciplina, reputata, dalla giurisprudenza di questa Corte, derogatoria
rispetto a quella ordinaria prevista dalla disposizione codicistica di cui all’art. 81
cod. pen. (Sez. U., n. 21039 del 27 gennaio 2011, Loy, Rv. 249665). E’ stato poi
affermato, conformemente a tale indirizzo, che la configurazione, sotto il profilo
formale, della cd. continuazione fallimentare, di cui all’art. art. 219 legge fall.
quale circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilità al giudizio di
bilanciamento con le circostanze attenuanti (Sez. 5, n. 23275 del 29/04/2014,
Gurgone, Rv. 259846; Sez. 5, n. 21036 del 17/04/2013, Bossone, Rv. 255146).

4. Nella specie, in definitiva, alla misura della pena applicata su concorde
richiesta delle parti il giudice perviene non attraverso un aumento operato ex
art. 81 cod. pen., non computabile ai fini di cui all’art. 445, comma 1, cod.
proc. pen., come dedotto, bensì per effetto della cd. continuazione fallimentare
alla quale deve essere attribuita la diversa natura sin qui delineata, con la

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pervenuti partendo dalla pena base di anni tre di reclusione, aumentata ad anni

conseguenza che di quella porzione deve tenersi conto, ai fini della
determinazione della pena finale, ex art. 445, comma 1, cod. proc. pen.
4.1. E’ infine appena il caso di osservare che la qualificazione giuridica
operata non può essere sindacata, in questo specifico caso, in sede di legittimità,
tenuto conto dei limiti di cui all’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., trattandosi di
misura di pena determinata a seguito di un’errata qualificazione giuridica delle
circostanze che concorrono alla sua commisurazione, la cui illegalità non è stata

4.2. Né detto vizio appare, nella specie, censurabile d’ufficio, tenuto conto
che non è conducente ad un risultato finale del calcolo non conforme ai
parametri edittali vigenti. Peraltro, in concreto, la corretta applicazione degli
istituti giuridici descritti potrebbe condurre a risultati quantitativi identici, non
risultando specificata, in alcuna parte della motivazione del provvedimento
impugnato, l’incidenza della condotta della commissione di più fatti di
bancarotta, sull’operato giudizio di bilanciamento, non avendo il giudice
(erroneamente) qualificato la condotta come circostanza aggravante.

5. Consegue a quanto sin qui esposto, il rigetto del ricorso con condanna del
ricorrente alle spese del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 20/02/2018

Il Presidente

Il Co

Car

Bar ara alaselic

Depositato in Canc
Roma, lì

I Zì

devoluta con l’impugnazione.

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