Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16769 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16769 Anno 2018
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
OLIVERI ANTONIO nato il 21/04/1950 a SEMINARA

avverso la sentenza del 22/11/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA

Data Udienza: 23/03/2018

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso per l’inammissibilità del ricordo;
udito il difensore della parte civile, avv. Federica Pugliese in sostituzione dell’avv.
Francesco Muzzopappa, che ha concluso per il rigetto del ricorso depositando
nota spese;
udito il difensore di Antonio Oliveri, avv. Giacomo lana, che ha concluso per

RITENUTO IN FATTO

1. Antonio Oliveri ricorre avverso la sentenza del 22 novembre 2016 con la
quale la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Palmi del 21 luglio 2014, confermava l’affermazione di responsabilità
dell’Oliveri per il reato continuato di cui agli artt. 610 e 636 cod. pen., commesso
in danno di Giuseppe Crea, rideterminando la pena inflitta e revocando la pena
accessoria dell’interdizione legale.
L’Oliveri era in particolare ritenuto responsabile di avere in due occasioni, il
13 settembre e il 13 novembre del 2011, introdotto un gregge di pecore nel
fondo del Crea, costringendolo con minacce a tollerare il pascolo abusivo, con
l’aggravante dell’uso del metodo mafioso nel richiamo ai rapporti dell’imputato
con l’associazione ndrangheta.

2. Il ricorrente propone tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale
sulla conferma della riqualificazione in primo grado, nel reato di violenza privata
come descritto in premessa, del reato di tentata estorsione originariamente
contestato all’Oliveri nell’aver minacciato il Crea per costringerlo a cedergli i
propri terreni, in violazione del principio di correlazione fra l’accusa e la
condanna nel momento in cui all’imputato era attribuita una finalità diversa da
quella oggetto dell’imputazione contestata.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale
sul ritenuto concorso fra i reati di violenza privata e pascolo abusivo, lamentando
la mancata valutazione dell’opposizione manifestata dal Crea alla condotta
dell’imputato, che ne impediva la prosecuzione, per effetto della quale la
condotta di pascolo abusivo precedeva quella di minaccia e non proseguiva

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l’accoglimento del ricorso;

contestualmente alla stessa, non raggiungendosi il fine di limitare la capacità di
autodeterminazione della persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale
sulla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, lamentando la mancata
indicazione di precisi e concreti elementi in tal senso, laddove le minacce
dell’imputato si esaurivano in comuni espressioni intimidatorie e il riferimento
alla famiglia mafiosa Alvaro era evocato unicamente dal Crea, mentre non era
considerato quanto riferito dallo stesso sull’espressa negazione dell’imputato di

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo dedotto sulla conferma della riqualificazione in primo grado
reato di tentata estorsione, originariamente contestato all’Oliveri, in quello di
violenza privata, è infondato.
Nelle imputazioni formulate fin dall’inizio nei confronti dell’Oliveri compariva
invero una dettagliata descrizione del fatto, che comprendeva non solo la
condotta di pascolo abusivo, ma anche gli atti intimidatori posti in essere
contestualmente a tale condotta, e quindi rappresentati come idonei a
costringere la persona offesa a tollerarne il compimento e la prosecuzione. La
fattispecie della violenza privata era dunque inclusa nell’originaria contestazione
in tutti gli elementi poi considerati nella sentenza impugnata come integrativi di
detta fattispecie nel caso concreto; e la finalità di costrizione del Crea alla
cessione dei terreni costituiva pertanto, in quella contestazione, un elemento
ulteriore rispetto ad un fatto già costitutivo dell’ipotesi criminosa poi ritenuta, la
cui esclusione determinava pertanto una limitazione, ma non un’immutazione del
fatto addebitato.

2. Il motivo dedotto sul ritenuto concorso fra i reati di violenza privata e
pascolo abusivo è infondato.
E’ in particolare infondata la censura di mancata valutazione dell’opposizione
del Crea alla condotta dell’imputato. Nella sentenza impugnata, dandosi atto che
la persona offesa manifestava in effetti l’intento di rivolgersi all’autorità per far
cessare il pascolo abusivo, si osservava che in risposta a questo atteggiamento
l’imputato diceva che al Crea che non si doveva permettere di fare ciò,
aggiungendo che aveva sempre fatto quello che voleva e avrebbe continuato a
farlo e minacciando il Crea di «mettergli la testa al posto dei piede»; e che tale
condotta minacciosa superava pertanto l’opposizione del Crea, il quale era di

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far parte della ndrangheta.

fatto costretto a tollerare la prosecuzione del pascolo degli animali dell’imputato
sul proprio terreno.
Il rilievo sulla configurabilità dell’ipotesi tentata del reato di violenza privata,
formulato dal difensore del ricorrente solo all’odierna udienza, è tardivo e
comunque manifestamente infondato, emergendo dalle riportate considerazioni
della Corte territoriale come la stessa abbia motivato il conseguimento, da parte
dell’Oliveri, del risultato di imporre alla persona offesa il pascolo abusivo.

del metodo mafioso.
La sentenza impugnata era coerentemente motivata sul punto con riguardo
in primo luogo all’oggettiva esistenza di legami della famiglia Oliveri con
l’ambiente mafioso, desumibili da una conversazione intercettata in altro
procedimento fra un esponente di spicco della criminalità organizzata del luogo,
Antonino Gioffré, e Angelo Oliveri, fratello dell’imputato, nel corso della quale il
primo riconosceva alla famiglia Oliveri la gestione del territorio, e dagli atti di
polizia giudiziaria sui rapporti parentali degli Oliveri con la famiglia mafiosa degli
Alvaro; e, di conseguenza, alle caratteristiche di intimidazione tipicamente
mafiosa che, ove inquadrate in tale contesto, assumevano sia le minacce
formulate dall’imputato in precedenza riportate, nel loro contenuto espressivo di
superiorità e indifferenza ai richiami all’intervento della pubblica autorità sui
propri comportamenti illeciti, sia la reazione all’accenno del Crea, nel corso della
discussione con l’Oliveri, ai rapporti di quest’ultimo con la famiglia Alvaro, al
quale l’imputato rispondeva ingiungendo al Crea di non permettersi di
pronunciare quel nome in quanto si trattava di una famiglia rispettabile.
Tanto rende infondati i rilievi del ricorrente sulla mancanza di precisi e
concreti elementi in ordine all’adozione del metodo mafioso nella condotta
minacciosa; mentre la circostanza per la quale l’imputato parlava degli Alvaro
solo dopo che gli stessi erano stati nominati dal Crea perde consistenza a fronte
degli accertati legami dell’Oliveri con quella famiglia.
Parimenti infondata è l’ulteriore censura di omessa valutazione dell’espressa
negazione dell’imputato, sempre durante i colloqui con il Crea, di far parte della
ndrangheta. Il dato era infatti menzionato nella sentenza impugnata e ritenuto
non decisivo, senza incorrere in vizi logici, rispetto alle descritte connotazioni
delle minacce profferite.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel

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3. E’ da ultimo infondato il motivo dedotto sulla sussistenza dell’aggravante

grado dalla parte civile, che avuto riguardo alla dimensione dell’impegno
processuale si liquidano in euro 2000 oltre accessori di legge.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
oltre alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida

Così deciso il 23/03/2018

Depositato in Cancelleria
Roma, li

dtAp.

in euro 2000 oltre accessori di legge.

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