Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16759 del 19/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16759 Anno 2018
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MOROSINI ELISABETTA MARIA

Data Udienza: 19/02/2018

SENTENZA

sul ricorso proposto da
LANDUZZI RAFFAELE nato a BOLOGNA il 11/04/1973

avverso la sentenza del 01/02/2017 della CORTE APPELLO di TRENTO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Marilia Di
Nardo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Girolamo Mancino, che ha concluso riportandosi ai motivi
del ricorso e chiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trento ha confermato la
condanna, all’esito di giudizio abbreviato, di Landuzzi Raffaele per il reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale e per quello di cui all’art. 236 legge fall. (capi
F e A), allo stesso ascritti come consulente, in concorso con gli amministratori,
della “Europa Trasporti Marini di Marini Tiziano e c. s.n.c.” (di seguito Eurotrama),
società dichiarata fallita il 16 dicembre 2010, nonché per il reato di falso ideologico
in certificati previsto dall’art. 481 cod. pen. (capo B); mentre, diversamente

apprezzando i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ha ridotto la pena da anni due e
mesi otto di reclusione a quella di anni due, mesi uno e giorni dieci.
In sintesi i fatti contestati riguardano l’esposizione di attività inesistenti
nell’ambito dell’avvio della procedura di concordato preventivo (ricorso e allegata
relazione a firma del Landuzzi, depositati il 4 novembre 2010); la falsità ideologica
della relazione integrativa del 25 novembre 2010, con la quale Landuzzi ha
attestato la veridicità dei dati presentati per l’ammissione al concordato
preventivo; la distrazione di ricavi pari ad oltre 2.500.000,00 euro, somma
incassata, per conto della fallita, dalla Planets Cargo s.p.a., sulla base di un
contratto di agenzia — alla cui predisposizione ha concorso Landuzzi — per mezzo
del quale la Eurotrama ha conferito alla Planets il mandato a riscuotere i pagamenti
dei propri clienti, senza vincolare la società mandataria alla restituzione alla
mandante delle somme in tal modo incassate.

2. Avverso la sentenza ricorre Landuzzi Raffaele, per il tramite del difensore,
articolando cinque motivi, con cui deduce violazione di legge e vizi motivazionali.
2.1 Con il primo contesta la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto
di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo F).
Assume il ricorrente che, una volta esclusa la qualifica di amministratore di
fatto già ad opera del primo giudice ed inquadrata la condotta in quella
dell’extraneus, sarebbe stato necessario un vaglio più penetrante sul tema della
effettiva sussistenza del suo contributo alla realizzazione delle distrazioni, nonché
dell’elemento soggettivo che dovrebbe essere assistito dalla consapevolezza di
determinare un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori.
In particolare il giudice di merito sarebbe incorso in un evidente errore logico
nel ritenere che l’attività di assistenza prestata dall’imputato, peraltro limitata a
compiti specifici, avrebbe implicato un concorso nell’attività distrattiva.

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Si ripercorrono le acquisizioni probatorie a supporto della tesi esposta,
criticando la valenza persuasiva degli elementi, di segno opposto, valorizzati dai
giudici di merito.
2.2 Con il secondo motivo si censura la ritenuta colpevolezza per il reato di
cui all’art. 236 legge fall. (capo A).
Secondo il ricorrente difetterebbe, sotto il profilo oggettivo, il requisito della
offensività della condotta, sotto quello soggettivo, il dolo del reato, in quanto
verrebbero in rilievo meri errori professionali ascrivibili a colpa.

responsabilità per il delitto di cui all’art. 481 cod. pen. (capo B), considerato che
all’imputato non potrebbe ascriversi la qualifica di persona esercente un servizio
di pubblica necessità e che, in ogni caso, detta fattispecie delittuosa dovrebbe
ritenersi assorbita in quella di cui all’art. 236 legge fall.
2.4 Con il quinto motivo si deduce l’erronea applicazione della pena accessoria
di cui all’art. 216 legge fall. per la durata di dieci anni, quando invece una
interpretazione costituzionalmente orientata imporrebbe di commisurarla alla
durata della pena principale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. Il primo motivo è inammissibile.
1.1 La doglianza riproduce analogo motivo di appello, su cui il giudice di
secondo grado ha fornito congrua risposta.
La decisione impugnata espone, in maniera ampia e argomentata, i plurimi e
convergenti elementi dimostrativi dell’apporto concorsuale fornito dal Landuzzi
nella realizzazione delle distrazioni che avvenivano proprio grazie all’utilizzo dello
strumento negoziale congeniato dal ricorrente: la chiamata in correità da parte di
Marini, amministratore della fallita, che indica in Landuzzi la persona che,

2.3 Con il terzo e il quarto motivo ci si duole della affermazione di

unitamente all’Androllo, ideò l’operazione distrattiva; i relativi elementi di riscontro
“esterno” individuati sia nell’invio a Landuzzi della bozza del contratto di agenzia
simulato, per ottenerne il controllo e l’avallo, sia nelle ammissioni dell’imputato
(pagine 23 – 24 della sentenza di appello).
Il giudice di merito risponde in maniera specifica anche sul punto afferente il
profilo temporale, retrodatando, sulla scorta delle testimonianze, ai mesi di marzo
e aprile 2010 la presenza in azienda di Landuzzi, quale soggetto che impartiva le
indicazioni sulle modalità di fatturazione a Planets, arrogandosi poteri decisionali
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ben al di là dei compiti formali di cui è stato poi investito con contratto di
consulenza del 26 maggio 2010 (pagina 23 in fondo).
La Corte di appello, dopo attenta disamina, conclude che

“plurime,

convergenti e solidissime prove dimostrano, dunque, che l’imputato avesse
assunto all’interno di Eurotrama funzioni tutt’altro che circoscritte (alla verifica
fiscale) od occasionali, ma piuttosto un ruolo di vero e proprio consulente aziendale
e in tale veste di suggeritore/promotore di quel contratto di agenzia che,
apparentemente diretto a risanare la società mediante il trasferimento di Planets

dei crediti di Eurotrama, ne legittimava il definitivo incasso a favore di Planets così
irreparabilmente compromettendo gli interessi dei creditori di Eurotrama” (pagina
25 sentenza impugnata).
Con il che si supera anche la questione relativa all’elemento soggettivo del
reato, posto che gli elementi evidenziati dai giudici di merito pongono in luce la
finalità dell’operazione commerciale, concepita proprio per distrarre i compensi di
Eurotrama, destinandoli in favore di altro soggetto, con pregiudizio dei creditori
della fallita.
Il ricorrente non si confronta con questa motivazione, non svolge alcuna
critica argomentata, ma, selezionando le fonti di prova, si limita a riproporre il
proprio soggettivo convincimento circa il fatto che quegli elementi derivino, in
parte, da una erronea valutazione delle prove e dall’altra non siano sufficienti a
sorreggere una affermazione di penale responsabilità.
Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (per tutte Sez. U., 30/4/1997, n. 6402,
Dessimone, Rv. 207944; tra le altre Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004,
Elia, Rv. 229369).
1.2 La condotta del ricorrente, come delineata dalla Corte di appello, integra
pacificamente gli estremi del concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione, posto che il Landuzzi, quale consulente contabile,
consapevole dei propositi distrattivi dell’amministratore di una società in dissesto,
ha fornito consigli e suggerimenti sul mezzo giuridico idoneo a sottrarre i beni ai
creditori (Sez. 5, n. 8276 del 06/11/2015 dep. 2016, Curtopelle, Rv. 267724).

2. Il secondo motivo è inammissibile.

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(non esposta con le banche e affidabile) dell’attività di fatturazione e riscossione

La questione relativa all’offensività della condotta contestata ai sensi dell’art.
236 legge fall. (capo A) non risulta essere stata previamente dedotta come motivo
di appello in violazione di quanto è prescritto dall’art. 606 comma 3 cod. proc.
pen..
La doglianza sull’elemento soggettivo è stata confutata dalla Corte di appello
per il tramite di puntuale e specifica dissertazione (pagine 28 – 32), con la quale
il ricorrente non si confronta. Valgono i principi richiamati sopra al paragrafo 1.1.

3. Sono infondati il terzo e quarto motivo afferenti il reato di cui all’art. 481

3.1 La norma in rassegna punisce la falsità ideologica commessa in certificati
da persona esercente un servizio di pubblica necessità.
Non può revocarsi in dubbio che l’imputato abbia assunto la veste di cui all’art.
359 n. 1) cod. pen., trattandosi di privato esercente la professione di
commercialista — il cui esercizio è per legge vietato senza una speciale abilitazione
dello Stato — che ha prestato la propria opera nell’espletamento di un servizio di
pubblica utilità a lui assegnato e consistente nell’attestare al Tribunale fallimentare
la veridicità dei dati aziendali della società Eurotrama e la fattibilità del piano
concordata rio.
L’argomento della difesa — secondo cui tale opzione ermeneutica
comporterebbe l’applicazione retroattiva dell’art. 236 bis legge fall., che punisce
la condotta del professionista attestatore che espone informazioni false — prova
troppo. L’introduzione di una specifica fattispecie incriminatrice non implica la
precedente irrilevanza penale della condotta, tanto che il codice penale regola
espressamente tale evenienza all’art. 2 comma 4 cod. pen..
3.2 Neppure è configurabile un concorso apparente di norme tra il reato di cui
all’art. 236 legge fall. (contestato sub capo A) e quello di cui all’art. 481 cod. pen.
(contestato sub capo B).
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite in tale materia non operano criteri
valutativi diversi da quello di specialità previsto dall’art.15 cod. pen., che si fonda
sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare
l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez.
U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668).
Ebbene la comparazione astratta tra la fattispecie di cui all’art. 236 legge fall.
e quella di cui all’art. 481 cod. pen. dimostra l’insussistenza di qualunque
correlazione tra le norme, che risultano, all’evidenza, autonome.
Aggiungasi che nel caso in rassegna vengono in rilievo condotte anche
materialmente diverse e distinte: il capo A) concerne il ricorso di avvio della
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cod. pen. (capo B).

procedura concorsuale e l’allegata relazione, depositata il 4 novembre 2010 priva
di attestazione di veridicità; mentre il capo B) riguarda la successiva attestazione
di veridicità effettuata dal ricorrente, su richiesta del Tribunale, nella relazione
depositata il 25 novembre 2010.

4. Infondato è, infine, il motivo riguardante la durata della pena accessoria di
cui all’art. 216 ultimo comma legge fall., che il ricorrente vorrebbe graduare in
rapporto alla durata della pena principale.

divenuto granitico a seguito della decisione della Corte Costituzionale n. 134 del
2012, la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale
e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa prevista per
il delitto di bancarotta fraudolenta ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni
(tra le altre Sez. 5, n. 15638 del 05/02/2015, Assello, Rv. 263267).
4.2 II collegio non ignora che con ordinanza del 6 luglio 2017 la sezione prima
di questa Corte ha nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 216 legge fall. nella parte in cui prevede pene accessorie in misura fissa,
ciononostante ritiene di non promuovere incidente di costituzionalità, in sintonia
con recenti pronunce della quinta sezione, sulla scorta dei passaggi argomentativi
di seguito in sintesi ripercorsi (tra le altre Sez. 5, n. 56323 del 26/10/2017,
Intrieri).
La questione — portata, in un passato recente, alla cognizione del giudice
delle leggi sia dalla Corte di appello di Trieste con ordinanza del 20 gennaio 2011
sia da questa stessa Corte con ordinanza del 21 aprile 2011 — è stata dichiarata
inammissibile dalla Consulta con sentenza n. 134 del 21 maggio 2012.
È vero che la soluzione adottata dall’organo competente è dipesa dal petitum
formulato dai rimettenti: una pronuncia additiva che rendesse applicabile l’art. 37
cod. pen., pronuncia che la Corte non ha ritenuto di poter emettere perché, si
legge in sentenza, «sono inammissibili le questioni di costituzionalità relative a
materie riservate alla discrezionalità del legislatore e che si risolvono in una
richiesta di pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato».
È dato di fatto, però, che la Corte Costituzionale – pur auspicando una riforma
delle pene accessorie nel loro complesso (e non solo di quelle previste dalla
legislazione fallimentare) – non ha inteso cogliere l’occasione per estendere
l’indagine alla “pura” costituzionalità delle norme denunciate, come pure era in
suo potere fare (e come ha fatto – concretamente – in molteplici occasioni), sul
presupposto, implicito, che gli artt. 216 e 223 della legge fallimentare non
contrastano con le norme costituzionali richiamate.
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4.1 Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità,

Tale pronuncia non contiene un “monito”, rivolto dalla Corte al legislatore,
affinché si affretti ad adeguare la disciplina delle pene accessorie ai principi della
Costituzione repubblicana (con i quali – si assume – quelle norme
contrasterebbero), dal momento che – a prescindere dal tenore letterale delle
espressioni utilizzate nella sentenza del 2012 – costituisce orientamento
consolidato del giudice costituzionale che la rigidità del sistema sanzionatorio
collide col “volto costituzionale” dell’illecito penale allorché concerna le pene fisse
nel loro complesso e non anche i

«trattamenti sanzionatori che coniughino

adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, ai tini dell’adeguamento della
risposta punitiva alle singole fattispecie concrete» (così, Corte Cost., ordinanza n.
91 del 2008, che ribadisce principi già affermati nelle sentenze n. 188 dell’8
novembre 1982 e n. 50 del 2 aprile 1980, che hanno ritenute legittime
costituzionalmente previsioni di pene pecuniarie fisse, anche di importo elevato,
congiunte a pene detentive variabili).
Tanto, senza considerare che, per giurisprudenza costante del giudice delle
leggi, la scelta e la quantificazione delle sanzioni per i singoli fatti punibili rientra
nella discrezionalità del legislatore, il cui esercizio è censurabile solo nel caso di
manifesta irragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2007, n. 394 del 2006
e n. 144 del 2005): irragionevolezza che non è dato ravvisare a fronte di reati che,
anche in astratto, sono considerati gravi dal legislatore, come dimostrato dalla
cornice edittale – minima e massima – ad essi riferibile.

5. Discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 19/02/2018

Il Presid

Il Consigliere estensore
Elisabetta

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Morosini

eposìtato in (Ptryfelt»
Roma, lì

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articolazioni rigide ed articolazioni elastiche, in maniera da lasciare comunque

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