Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16758 del 12/12/2012
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16758 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PRI VITERA DOMENICO N. IL 25/03/1972
SPINALE GIOVANNI N. IL 14/01/1965
SANFILIPPO ALFIO N. IL 20/01/1966
avverso la sentenza n. 1418/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
11/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. <- 1 0.0c 4ciAt `r/ ° _111 '
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che ha concluso per C P4-M)LLAIN t\,...k.
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A-A1L,/ Pth-Tptri i ryliuto W ci A ri() It-ArcA-Tv 0.44rit , i Data Udienza: 12/12/2012 RITENUTO IN FATI-0
1. - Con sentenza dell'Il gennaio 2012, la Corte d'appello di Catania ha
confermato, quanto alla ritenuta responsabilità penale degli imputati, la sentenza resa
a seguito di giudizio abbreviato dal GUP del Tribunale di Catania il 24 febbraio 2011.
1.1. - Con quest'ultima pronuncia, l'imputato Spinale Giovanni era stato
condannato, ritenuta la recidiva e la continuazione con reati oggetto di precedenti
condanne, per il delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen., per avere, unitamente ad altri
mafioso suddivisa in squadre, per commettere una serie indeterminata di delitti contro
la persona - quali gli omicidi perpetrati al fine di mantenere rapporti di forza nel
territorio - per espandere il predominio criminale, per commettere rapine, furti,
estorsioni, traffici di sostanze stupefacenti; con le aggravanti del carattere armato
dell'associazione e della recidiva specifica reiterata e infraquinquennale.
1.2. - L'imputato Privitera Domenico era stato condannato, per il reato di cui
agli artt. 110, 81 secondo comma, 378, secondo comma, cod. pen., 7 della legge n.
203 del 1991, perché, in concorso con altri soggetti per i quali si procede
separatamente, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi
diversi, aveva aiutato un latitante, destinatario di ordinanza di custodia cautelare, a
sottrarsi alla ricerca della polizia giudiziaria. In particolare, aveva incontrato il latitante
per ricevere dallo stesso le direttive in ordine alla gestione del traffico di stupefacenti
per conto del gruppo mafioso in una stalla, nella disponibilità dell'imputato stesso e
del coimputato Sanfilippo, dotandosi di apparecchi ricetrasmittenti idonei a captare le
frequenze in uso alle forze dell'ordine e di un apparecchio elettronico idoneo a
ostacolare l'intercettazione delle frequenze dei telefoni cellulari; con l'aggravante di
avere commesso il fatto al fine di agevolare l'organizzazione mafiosa della quale detto
latitante era il reggente.
1.3. - L'imputato Sanfilippo Alfio era condannato per il reato di
favoreggiamento aggravato, di cui sopra, in concorso con il coimputato Privitera, e per
il delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché 7 della
legge n. 203 del 1991, perché, in concorso con altri, deteneva, a fini di spaccio, in
locale attiguo a quello in cui si svolgeva la riunione e di cui possedeva le chiavi all'atto
dell'arresto da parte della polizia giudiziaria, oltre 15 kg di sostanza stupefacente di
tipo marijuana, divisa in diversi sacchetti, nonché materiale per il taglio e il
confezionamento della stessa; con l'aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi
delle condizioni di assoggettamento ed omertà derivanti dall'essere il latitante di cui
2 soggetti, alcuni identificati, altri da identificare, preso parte ad un'associazione di tipo 4 sopra il reggente di un'organizzazione mafiosa; con l'ulteriore aggravante della
recidiva reiterata e infraquinquennale.
1.4. - Con la sentenza qui impugnata, la Corte d'appello ha rideterminato in
diminuzione le pene cui gli odierni ricorrenti erano stati condannati.
2. - Avverso la sentenza l'imputato Spinale ha proposto, tramite i difensori,
ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, si rileva la violazione dell'art. 192 la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Premette la
difesa che le fonti di prova poste a fondamento della condanna sono il verbale di
identificazione e di arresto nel corso dell'irruzione da parte di agenti della polizia in
una stalla all'interno della quale l'imputato veniva trovato in compagnia di un boss
mafioso latitante e di altre cinque persone, intente, secondo l'ipotesi accusatoria, a
programmare il futuro assetto del clan mafioso e ad aiutare il latitante a sottrarsi alle
ricerche della polizia giudiziaria. Tale ricostruzione era corroborata dalle dichiarazioni
di alcuni collaboratori di giustizia, che addebitavano al ricorrente la partecipazione a
riunioni di vertice dell'associazione e la commissione di reati-fine nell'interesse della
stessa. A fronte di un complesso quadro probatorio - lamenta la difesa - la Corte
d'appello si sarebbe limitata a richiamare le motivazioni fornite dal giudice di primo
grado, senza alcuno specifico riferimento alla posizione del ricorrente e, in particolare,
senza dare adeguata risposta alla ricostruzione alternativa fornita dalla difesa e senza
armonizzare le palesi contraddizioni rintracciabili nelle propalazione dei collaboratori.
La difesa evidenzia in particolare, che: a) le dichiarazioni di Sturiale sono inattendibili,
perché egli indica quale capo del gruppo criminale nel 2007 soggetto diverso dagli
effettivi capi e si riferisce a un'estorsione ai danni di un imprenditore in modo
contraddittorio; b) le dichiarazioni di Cavallaro sono limitate a una sua conoscenza
dell'imputato nel corso di una cena nella quale il boss aveva fatto leggere allo stesso
imputato delle carte, poi bruciate, relative a vicende associative; dichiarazioni in
contrasto con quelle rese dal collaborante Musumeci; e) le dichiarazioni di Musumeci
smentiscono che la cena di cui riferisce Cavallaro si sia svolta; d) le dichiarazioni di
Pettinati presentano numerosi profili di contraddittorietà relativamente ai vincoli di
amicizia mafiosa attribuiti all'imputato, alla sua disponibilità di mezzi pesanti per lo
smaltimento abusivo di ferro da demolizione, alla presenza di Spinale a una riunione
mafiosa; e) non vi è mai stata la compresenza dei collaboratori di giustizia che
accusano l'imputato ad uno stesso episodio, né il nome dell'imputato è mai stato cod. proc. pen. in relazione alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, nonché t riscontrato in conversazioni intercettate, né lo stesso è stato colto nell'atto di
commettere o programmare reati; f) quanto alla presenza dell'imputato nella stalla
dove la polizia aveva fatto irruzione, nessuno dei dichiaranti ha saputo riferire in
merito agli argomenti della discussione tenuta. Vi sarebbe, poi, un'intrinseca
contraddittorietà della motivazione laddove l'imputato era stato condannato per il
reato di favoreggiamento, la cui prova era data dalla presenza di scanner e
ricetrasmittenti sintonizzate sulle frequenze delle forze dell'ordine in un locale
droga, perché l'imputato non aveva la disponibilità dei locali ove la sostanza
stupefacente era custodita, che erano gli stessi dove erano state rinvenute le
apparecchiature citate.
2.2. - Con un secondo motivo di impugnazione, si denuncia la violazione degli
artt. 63, quarto comma, e 99, quinto comma, cod. pen., in relazione agli aumenti di
pena a titolo di aggravante adottati nei confronti dell'imputato. Secondo la
prospettazione difensiva, il trattamento sanzionatorio riservato all'imputato stesso è
stato aggravato attraverso un aumento di pena pari a due terzi, sulla scorta del fatto
che si trattava di un soggetto al quale era stata contestata la recidiva specifica
reiterata e infraquinquennale. Non si sarebbe considerato, sul punto, che la recidiva
che può determinare un aumento di pena superiore a un terzo è una circostanza
aggravante ad effetto speciale e, pertanto, soggiace, ove ricorrano altre circostanze
aggravanti ad effetto speciale, alla regola dell'applicazione della pena stabilita per la
circostanza più grave, con possibilità per giudice di applicare un ulteriore aumento.
Nel caso di specie, la disponibilità di armi da parte del clan mafioso, di cui al quarto
comma, dell'art. 416 bis cod. pen. dovrebbe essere ritenuta circostanza più grave
rispetto alla recidiva, perché prevede una pena maggiore nel massimo edittale
previsto (24 anni di reclusione contro i 20 per la recidiva ex art. 99, quinto comma, adiacente a quello dove fu operato l'arresto, e assolto da quello di detenzione di cod. pen.). Ad avviso della difesa, in conclusione, la Corte d'appello non avrebbe
potuto aumentare la pena in misura superiore a un terzo.
2.3. - Si lamenta, in terzo luogo, la mancanza di motivazione con riferimento
all'omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che il giudice
non avrebbe preso in considerazione gli elementi prospettati dalla difesa e non
avrebbe svolto alcun discorso giustificativo sulle ragioni ostative alla concessione delle
circostanze in parola.
2.4. - Si lamenta, poi, la violazione dell'articolo 81, secondo comma, cod. pen.,
nonché la carenza di motivazione quanto alla continuazione con riferimento ai reati già
4 X_ accertati con altre sentenze definitive. Ad avviso della difesa, in particolare, il reato
associativo accertato nel presente giudizio non avrebbe dovuto essere considerato il
più grave, essendo meno grave di quello oggetto della sentenza della Corte d'assise
d'appello di Catania divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2004.
2.5. - La difesa dell'imputato Spinale ha presentato motivi aggiunti con i quali
sostanzialmente ribadisce quanto già evidenziato nel ricorso circa la scarsa
attendibilità e la contraddittorietà intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni dei
3. - La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche dall'imputato
Privitera.
3.1. - Si deducono, in primo luogo, la violazione dell'art. 378, secondo comma,
cod. pen. e l'omessa motivazione in relazione al reato di favoreggiamento, perché la
Corte d'appello si sarebbe limitata all'affermazione secondo cui la sussistenza del
reato sarebbe desumibile dalla semplice presenza dell'imputato alla riunione tenutasi
nella stalla ed avente ad oggetto la cura di interessi degli interessi del boss latitante
che vi partecipava. Precisa la difesa che, dalle intercettazioni di conversazioni, non si
desumerebbe alcunché circa tale reato e che, anzi, il Gip, con ordinanza del 12 marzo
2010, nel negare l'applicazione della misura cautelare a carico dell'imputato, ha
sostenuto che la mera presenza all'incontro non può essere ritenuto elemento
sufficiente a giustificare l'ipotesi accusatoria.
3.2. - Con un secondo motivo di censura, si lamentano la violazione di legge e
l'omessa motivazione in relazione all'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del
1991, sul rilievo che mancherebbe la prova del fatto che l'incontro con il latitante
fosse finalizzato a ricevere dallo stesso direttive in ordine alla gestione del traffico di
stupefacenti per conto di gruppo mafioso. Secondo la ricostruzione difensiva, la
circostanza che in un locale attiguo in uso al solo Sanfilippo venissero ritrovate
ricetrasmittenti, apparecchiature idonee locale le intercettazioni e sostanza
stupefacente non sono elementi tali da ricollegare la riunione al fine di favorire la
latitanza del boss mafioso; in mancanza, per di più, di accertamenti circa la
funzionalità effettiva di tali apparecchiature. A ciò dovrebbe aggiungersi che il solo
Sanfilippo aveva le chiavi del locale in questione e che solo due collaboratori di
giustizia avrebbero resi dichiarazioni riguardanti l'imputato odierno ricorrente.
4. - La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche dall'imputato
Sanfilippo. collaboratori di giustizia. 4.1. - Il primo motivo di ricorso è riferito alla mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al contestato reato di
favoreggiamento. Si sostiene, in particolare, che dagli atti processuali non sarebbe
emerso alcun elemento idoneo a dimostrare che l'imputato abbia posto in essere una
condotta volta a favorire la latitanza del boss mafioso arrestato presso la stalla di sua
proprietà. Sarebbe, anzi, è emerso che il latitante non utilizzava la stalla come rifugio
e che la sua presenza all'interno di quel locale era del tutto causale, non essendo stato
per le sue esigenze primarie.
4.2. - Si lamentano, in secondo luogo, la mancanza, la contraddittorietà e la
manifesta illogicità della motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui
all'art. 7 della legge numero 203 del 1991, sul rilievo che le dichiarazioni dei soggetti
fermati in occasione dell'arresto del latitante avrebbero fatto riferimento ad un
incontro meramente casuale. Inoltre - prosegue la difesa - la circostanza che la
sostanza stupefacente e le apparecchiature rinvenute nel locale attiguo fossero
nell'esclusiva disponibilità del Sanfilippo risulterebbe ampiamente provata, con la
conseguenza che la detenzione dello stupefacente e delle apparecchiature non era
destinata ad agevolare l'associazione criminosa o la latitanza del boss.
4.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si prospettano la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta
credibilità dei collaboratori di giustizia, perché la Corte d'appello avrebbe trascurato il
fatto che solo due collaboratori si erano riferiti al Sanfilippo quale appartenente al
sodalizio criminoso. Tali collaboratori, ad avviso della difesa, avrebbero reso
dichiarazioni generiche e prive di riscontri individualizzanti.
4.4. - Si lamenta, in quarto luogo, la carenza della motivazione in relazione alla
mancata concessione le circostanze attenuanti generiche, perché la Corte d'appello
avrebbe trascurato le argomentazioni esposte nei motivi di gravame e nei motivi
aggiunti, senza considerare che l'imputato aveva reso ampia confessione in ordine al
reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ammettendo l'esclusiva disponibilità
della sostanza stupefacente rinvenuto nel vano attiguo alla stalla e l'estraneità degli
altri soggetti presenti rispetto alla detenzione della stessa.
5. - Il difensore degli imputati Privitera e Sanfilippo ha presentato motivi
aggiunti, rilevando che l'aumento dì pena per la recidiva dovrebbe essere limitato in
applicazione la regola generale di cui all'articolo 63, quarto comma, cod. pen. e che,
alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2011, ai fini rinvenuto alcun genere di prima necessità o capo d'abbigliamento che potesse servirgli dell'applicazione del primo comma dell'art. 62 bis cod. pen., si deve tenere conto della
condotta del reo susseguente reato; condotta concretatasi, per Sanfilippo, nell'ampia
confessione resa, per Privitera, nell'ammissione di rapporti personali con il latitante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. - Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato Spinale è fondato,
limitatamente al trattamento sanzionatorio.
6.1. - In relazione alla prova della responsabilità penale - profilo oggetto del
impugnata contiene una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente,
che si salda e si integra con quella di primo grado, con la quale si pone in piena
continuità.
La responsabilità penale dell'imputato è, infatti, desunta da elementi
correttamente ritenuti univoci e concordanti, quali: a) la presenza dell'imputato
insieme con i coimputati e con il latitante Lo Giudice in una stalla nella quale si
svolgeva una riunione tra esponenti del clan mafioso di appartenenza; b) la presenza
in un locale attiguo, nella disponibilità di un coimputato, di apparecchiature idonee ad
intercettare le comunicazioni delle forze dell'ordine ed evitare intercettazioni;
apparecchiature la cui effettiva funzionalità è irrilevante, essendo, per loro natura,
utilizzate precipuamente da organizzazioni criminali; c) l'esistenza di due sentenze di
condanna passate in giudicato a carico dell'imputato, per avere fatto parte
esattamente dello stesso sodalizio criminale; d) le espressioni utilizzate dai
partecipanti all'incontro, indice inequivocabile di una loro partecipazione agli affari del
sodalizio e del loro interessamento per il mantenimento dello stato di latitanza di Lo
Giudice; e) le dichiarazioni dei collaboratori dì giustizia, che, in presenza di una
pluralità di elementi univoci assumono, comunque, un rilievo non decisivo; f) tra
queste le dichiarazioni di Pettinati, che ha riferito dell'appartenenza dell'imputato al
clan, di Sturiale, che ha riferito del fatto che l'imputato era stato incaricato di portare
a termine un'estorsione, di Musumeci, che ha riferito dei legami tra Spinale, Privitera
e Lo Giudice, di Cavallaro, che indicava Spinale come braccio destro di Privitera e
legato a Lo Giudice, con il quale discuteva delle vicende dell'associazione criminale; g)
vi è un'intercettazione ambientale relativa alla una riunione nel corso della quale
l'imputato ha discusso del ruolo svolto da un altro associato in un omicidio e dei
rapporti fra clan.
Si tratta di considerazioni che, per la loro pregnanza argomentativa, risultano
idonee ad escludere in radice ogni ricostruzione alternativa fornita dalla difesa e primo motivo di ricorso e dei motivi aggiunti - deve rilevarsi che la sentenza rendono a priori irrilevante, a prescindere da una puntuale verifica della loro
sussistenza, le prospettate contraddizioni fra le versioni dei fatti fornite dai diversi
collaboratori di giustizia circa la partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso;
contraddizioni che, del resto, hanno ad oggetto profili di mero dettaglio, del tutto
secondari per la ricostruzione dei fatti.
Quanto, poi, alla denunciata contraddizione logica fra la ritenuta responsabilità
penale dell'imputato per la detenzione degli strumenti tecnologici idonei ad interferire
droga, effettivamente presente nello stesso luogo in cui si trovano tali strumenti, deve
rilevarsi che essa effettivamente sussiste, anche se in senso diverso da quello indicato
dall'imputato. Dal complesso della motivazione della sentenza impugnata e di quella di
primo grado emergono, infatti, sufficienti elementi che avrebbero potuto indurre i
giudici di merito a ritenere sussistente la responsabilità penale anche in relazione alla
detenzione di stupefacenti. Non può procedersi, peraltro, in questa sede, ad una
rivalutazione del merito di tale specifico profilo di responsabilità, sia perché una
siffatta rivalutazione è esclusa dall'ambito del sindacato di legittimità, sia perché il
profilo in questione non è stato oggetto di impugnazione da parte del pubblico
ministero e risulta, dunque, a priori sottratto al presente grado di giudizio.
6.2. - Manifestamente insussistente risulta la violazione degli artt. 63, quarto
comma, e 99, quinto comma, cod. pen., in relazione agli aumenti di pena a titolo di
aggravante adottati nei confronti dell'imputato, dedotta con il secondo motivo di
ricorso. Afferma la difesa, sul punto, che l'aumento di pena non avrebbe potuto essere
superiore a un terzo, perché la disponibilità di armi da parte del clan mafioso, di cui al
quarto comma, dell'art. 416 bis cod. pen. avrebbe dovuto essere ritenuta circostanza
più grave rispetto alla recidiva, prevedendo una pena maggiore nel massimo edittale
previsto (24 anni di reclusione contro i 20 per la recidiva ex art. 99, quinto comma,
cod. pen.).
Si tratta di affermazioni evidentemente destituite di fondamento, perché
l'articolo 63 quarto comma cod. pen. prevede che nei casi - come quello di specie - in
cui vi è il concorso di più circostanze aggravanti effetti speciali, si applica soltanto la
pena stabilita per la circostanza più grave, che il giudice può ulteriormente
aumentare. è questo quanto è avvenuto nel caso di specie, in cui, in primo grado, i 10
anni di pena base sono stati aumentati di due terzi in considerazione della recidiva di
cui all'art. 99, quinto comma, cod. pen., mentre, in secondo grado, si è
semplicemente confermata tale statuizione. con le indagini e l'esclusione della responsabilità penale per la prevenzione della A 6.3. - Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta la
mancanza di motivazione con riferimento all'omessa concessione delle circostanze
attenuanti generiche, sul rilievo che il giudice non avrebbe preso in considerazione gli
elementi prospettati dalla difesa.
Con il ricorso per cassazione la difesa ha, infatti, richiamato le censure già
sollevate con l'atto d'appello sul punto e riferite ad elementi quali l'attività lavorativa
svolta dall'imputato, la mancata commissione di reati-fine dell'associazione, il corretto
considerazione dal giudice di secondo grado, che si è limitato alla generica
affermazione di stile, secondo cui non emergono circostanze non previste dalla legge
che attengono alla responsabilità.
La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata in riferimento all'asetto
sanzionatorio, quanto al profilo delle circostanze attenuanti generiche. La Corte
distrettuale procederà, con libertà di giudizio, ad esaminare gli elementi prospettati
sul punto dall'appellante.
6.4. - Infondato è il quarto motivo di doglianza, con cui si prospettano la
violazione dell'art. 81, secondo comma, cod. pen., nonché la carenza di motivazione
quanto alla continuazione con riferimento ai reati già accertati con altre sentenze
definitive. Ad avviso della difesa, in particolare, il reato associativo accertato nel
presente giudizio non avrebbe dovuto essere considerato il più grave, essendo meno
grave di quello oggetto della sentenza della Corte d'assise d'appello di Catania
divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2004.
Tale affermazione è stata adeguatamente contrastata nella sentenza di primo
grado, con la quale la sentenza impugnata si pone in continuità.
La sentenza di primo grado reca infatti, sul punto, un'ampia motivazione circa le
ragioni per cui il reato accertato nel presente giudizio è il più grave, evidenziando, in
particolare, la preminenza all'interno del clan accertata nel presente giudizio, nonché il
riconoscimento della recidiva specifica e reiterata.
7. - Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato Privitera non è fondato.
7.1. - Il primo motivo di doglianza - con cui si deducono la violazione dell'art.
378, secondo comma, cod. pen. e l'omessa motivazione in relazione al reato di
favoreggiamento, sul rilievo la Corte d'appello si sarebbe limitata all'affermazione
secondo cui la sussistenza del reato sarebbe desumibile dalla semplice presenza
dell'imputato alla riunione tenutasi nella stalla ed avente ad oggetto la cura di
interessi degli interessi del boss latitante che vi partecipava - è infondato. comportamento processuale. Si tratta, a ben vedere, di aspetti non presi in v Correttamente, infatti, la Corte d'appello, con motivazione che riprende gli
argomenti già utilizzati nella sentenza di primo grado, desume la sussistenza del reato
da un complesso di elementi, fra i quali assumono rilievo decisivo proprio la presenza
simultanea di più soggetti nel luogo in cui il boss latitante si nascondeva e l'oggetto
della riunione a cui tali soggetti partecipavano, che era la cura degli interessi
dell'associazione e la protezione della latitanza di detto boss.
E a tali assorbenti considerazioni non può opporsi che, dalle intercettazioni di
consiste, in sostanza, nella mera prospettazione di una ricostruzione alternativa del
quadro probatorio; prospettazione preclusa in sede di legittimità.
Né, infine, può essere presa in considerazione in questa sede l'ordinanza del 12
marzo 2010, con la quale il Gip, nel negare l'applicazione della misura cautelare a
carico dell'imputato, ha sostenuto che la mera presenza all'incontro non può essere
ritenuto elemento sufficiente a giustificare l'ipotesi accusatoria. L'accertamento sul
quale tale ordinanza si basa è, infatti, evidentemente riferito alla sola fase cautelare, e
risulta ampiamente superato dalle risultanze dei due gradi di giudizio di merito.
7.2. - Sulla base di tali argomenti deve essere ritenuto infondato anche il
secondo motivo di censura, perché con esso si lamentano la violazione di legge e
l'omessa motivazione in relazione all'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del
1991, sulla base di rilievi già motivatamente disattesi in primo grado e in appello,
quali quelli relativi alla mancanza di prova del fatto che l'incontro con il latitante fosse
finalizzato a ricevere dallo stesso direttive in ordine alla gestione del traffico di
stupefacenti per conto di gruppo mafioso.
7.3. - Infondate sono anche le critiche proposte con i motivi aggiunti. Infatti
esse consistono, in parte, in affermazioni del tutto generiche circa la quantificazione
dell'aumento per la recidiva e, in parte, in rilievi, ampiamente smentiti dalle risultanze conversazioni, non si desumerebbe alcunché circa tale reato, perché tale obiezione processuali evidenziate nelle sentenze di primo e secondo grado, circa pretesi rapporti
di vicinanza "non criminale" con il latitante.
8. - Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato Sanfilippo non è fondato.
8.1. - Quanto al primo motivo - riferito alla mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al contestato reato di
favoreggiamento - è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte sub 6.1. e 7.1.
circa la piena idoneità e coerenza logica della motivazione della sentenza censurata.
Deve inoltre evidenziarsi che, con riferimento alla specifica posizione del
ricorrente Sanfilippo, le sentenze di primo e secondo grado hanno correttamente
10 A...\‘...._ ritenuto decisive, ai fini della ritenuta responsabilità penale, la disponibilità dei luoghi
e la presenza negli stessi della droga e di apparecchiature idonee ad ostacolare le
indagini.
8.2. - Sulla base di tali assorbenti considerazioni, devono essere ritenuti, del
pari, infondati, il secondo e il terzo motivo di ricorso, con cui si lamentano la
mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione
alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991 e, più in
Come già ampiamente osservato (in particolare al punto 6.1.), le dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia, peraltro concordanti sui profili essenziali della
responsabilità penale, non sono state ritenute decisivi dei giudici di primo e secondo
grado, che hanno tratto l'accertamento della responsabilità penale da elementi di
ancor più sicura evidenza e pregnanza, quali la compresenza dei coimputati e del
latitante sul luogo, nonché il tenore della riunione cui questi partecipavano e la
presenza di stupefacenti e apparecchiature atte ad ostacolare le indagini.
8.3. - Infondato è il quarto motivo di impugnazione (in parte ripreso con i
motivi aggiunti), con cui si lamenta, in sostanza, che la Corte d'appello non avrebbe
considerato che l'imputato aveva reso ampia confessione in ordine al reato di cui
all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ammettendo l'esclusiva disponibilità della
sostanza stupefacente rinvenuta nel vano attiguo alla stalla e l'estraneità degli altri
soggetti presenti rispetto alla detenzione della stessa.
Trattasi, infatti, con tutta evidenza, di dichiarazioni la cui valenza confessoria ha
una portata estremamente limitata, essendo dirette, non tanto ad un'ammissione di
responsabilità del dichiarante, quanto, piuttosto, allo scopo di scagionare i coimputati.
8.4. - Del tutto generiche risultano, infine - come già osservato subito 7.3. - le
censure mosse con i motivi aggiunti e relative all'aumento di pena per la recidiva.
9. - In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti
di Spinale Giovanni, limitatamente all'assetto sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione
della Corte d'appello di Catania. Il ricorso di Spinale deve essere, nel resto, rigettato. I
ricorsi di Privitera e Sanfilippo devono essere rigettati, con condanna al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Spinale Giovanni, limitatamente
all'assetto sanzionatorio, e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Catania. generale, in relazione alla ritenuta credibilità dei collaboratori di giustizia. Rigetta nel resto il suo ricorso, nonché i ricorsi di Privitera Domenico e Sanfilippo Alfio
e condanna Privitera e Sanfilippo al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2012.