Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16755 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16755 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) DI SALVO ROSA N. IL 01/08/1941
avverso la sentenza n. 1068/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 17/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2012 la relazione fatta dAl
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -1-ktei.1.0che ha concluso per

t:■

/

per la parte civile, l’Avv

dit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/12/2012

Ritenuto che la Corte di appello di Palermo, con sentenza del 17 gennaio 2012,

in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 17 settembre
2010, ha dichiarato non doversi procedere per essere i reati edilizi estinti per
prescrizione ed ha rideterminato la pena in relazione alla condanna pronunciata
nei confronti di Di Salvo Rosa, in relazione al reato di cui agli artt. 110, 349 c.p.,
per violazione di sigilli commessa in concorso con il coniuge, quale proprietaria
del manufatto realizzato abusivamente, fatto accertato in Bagheria il 23
settembre 2006;
sentenza, in quanto la stessa era risultata estranea agli abusi edilizi ed invece la
Corte d’appello l’aveva ritenuta responsabile della violazione di sigilli sulla base
della disponibilità dell’immobile e del fatto di risiedere vicino ai luoghi ove il
marito aveva realizzato le opere abusive, senza tenere conto che la
giurisprudenza ha affermato che la mera qualità di proprietario non coincide con
una condotta di concorso con chi abbia materialmente eseguito i reati; inoltre
non si sarebbe dovuto considerare quale elemento a carico della ricorrente il
fatto che la stessa avesse presentato domanda di sanatoria, atteso che una volta
posto in essere da altri l’abuso edilizio, è normale che il proprietario
dell’immobile possa avere un legittimo interesse a regolarizzarlo.
Considerato che i motivi di ricorso non risultano fondati;

che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni,
la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella
precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr.
Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del
14/1/2003, Delvai, Rv. 223061);
che la giurisprudenza ha precisato che “la responsabilità del proprietario o
comproprietario, non formalmente committente delle opere abusive, può dedursi
da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l’interesse alla
trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l’esecutore del
manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il
deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell’immobile
secondo le norme civilistiche sull’accessione nonché tutti quei comportamenti
(positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove
circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato” (così
Sez.3, n. 25669 del 30/5/2012, dep. 3/7/2012, Zeno e altro, Rv. 253065);
che, nel caso di specie, i giudici di merito hanno fatto applicazione dei principi
sopra richiamati ed hanno ritenuto, con un apprezzamento di fatto
congruamente motivato e non censurabile in questa sede, che l’imputata doveva

che l’imputata ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della

essere ritenuta responsabile del reato di violazione di sigilli, non solo perché
proprietaria del manufatto abusivo in corso di realizzazione e perché lo stesso si
trovava in prossimità della sua residenza, ma soprattutto in quanto la Di Salvo
era stata nominata custode dello stesso al momento del sequestro in data 15
aprile 2006, come risultava dalla sottoscrizione del relativo verbale, con il quale
la stessa era stata resa edotta degli obblighi di custodia;
che pertanto, a parere dei giudici di merito, la ricorrente era perfettamente
consapevole degli obblighi gravanti, risultando irrilevante il fatto che la stessa
alla continuazione dei lavori abusivi, dovendosi piuttosto concludere per un
sicuro ruolo di concorrente morale;
che pertanto il ricorso deve essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna
della ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il i4 dicembre 2012.

fosse o meno l’esecutrice materiale dell’opera di rimozione dei sigilli, funzionale

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