Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16743 del 05/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16743 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI MIRKO N. IL 30/06/1977
avverso l’ordinanza n. 398/2015 TRIB. LIBERTA’ di ANCONA, del
10/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/02/2016

- Udito il Procuratore Generale delle Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr.ssa Paola Filippi, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Ancona ha, con l’ordinanza impugnata, rigettato
l’appello proposto da Ferrari Mirko avverso la decisione della Corte d’appello
della medesima città, che aveva sostituito la misura cautelare dell’obbligo di

trasgredito, in due occasioni, all’obbligo a lui imposto di non allontanarsi dal
comune di residenza (Colonnella, in provincia di Teramo).

2. Ricorre per Cassazione il prevenuto con due motivi. Col primo lamenta la
violazione di plurime norme di legge per non essere stato interrogato dal
magistrato di sorveglianza competente, essendo ristretto fuori della
circoscrizione del giudice procedente, sebbene ne avesse fatto espresso richiesta
all’atto della notifica – da parte dei carabinieri – del provvedimento di
sostituzione. Aggiunge che il mancato interrogatorio “non appare sanabile dalla
comparizione personale dell’imputato all’udienza camerale”, nel corso della quale
non è stato sentito.
Con altro motivo lamenta la violazione dell’art. 276 cod. proc. pen. e la
mancanza di motivazione “sulla gravità della condotta trasgressiva”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Come già ricordato dal giudice del provvedimento impugnato, nell’ipotesi di
aggravamento delle misure cautelari personali a seguito della trasgressione alle
prescrizioni imposte, il giudice non deve procedere all’interrogatorio di garanzia
in alcuno dei casi contemplati dall’art. 276, commi 1 e 1-ter, cod. proc. pen.
(Cass., SU, n. 4932 del 4/2/2009. Da ultimo, Cass., n. 5162 del 14/1/2014), e,
quindi, nemmeno nel caso – ricorrente nella specie – in cui la misura dell’obbligo
di dimora sia sostituita con quella degli arresti domiciliari.

2. Contro il provvedimento di sostituzione della misura cautelare’è consentito
l’appello al Tribunale del riesame. Il procedimento dinanzi al Tribunale suddetto
si svolge nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen. (così, art. 310 cod.
proc. pen.). Per tale udienza il prevenuto deve essere avvisato e può comparire
personalmente. Tanto è in concreto avvenuto, dacché lo stesso ricorrente dà atto
di essere comparso dinanzi al Tribunale del riesame, dove avrebbe potuto
2

dimora con quella, più afflittiva, degli arresti domiciliari, per avere il prevenuto

rendere, se lo avesse voluto, tutte le dichiarazioni utili alla sua difesa. Nessuna
violazione è ricollegabile, pertanto, al fatto che non sia stato interrogato dal
magistrato di sorveglianza, trattandosi, all’evidenza, di disposizione dettata a
favore del soggetto “detenuto” o “internato” fuori della circoscrizionale del
Tribunale e che non sia potuto comparire personalmente in udienza. Tale
disposizione è chiaramente inapplicabile al soggetto ristretto agli arresti
domiciliari e che abbia ottenuto l’autorizzazione a comparire in udienza, o vi sia
stato tradotto, data la sua alternatività con l’audizione da parte del magistrato di

3. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile perché non tiene conto delle
puntuali osservazioni e argomentazioni della Corte d’appello, secondo cui la
banalità dei motivi che hanno originato la violazione delle prescrizioni correlate
all’obbligo di dimora (il Ferrari si è allontanato dal comune di Colonnella per
partecipare, in un caso, ad una riunione di condominio e, in un altro, per
trascorrere una serata in compagnia) dimostrano che il prevenuto non ha la
necessaria percezione degli obblighi di cui è gravato e palesa – ancor di più l’assoluto spregio delle regole da parte sua. Tale motivazione, lungi dal
concretizzare un deficit argomentativo “sulla gravità della condotta trasgressiva”
rappresenta, invece, pregnante spiegazione delle ragioni che hanno imposto
l’aggravamento della misura, sicché sostiene adeguatamente la conclusione del
giudicante.

4. Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, in ragione dei motivi dedotti, si reputa
equo quantificare in € 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5/2/2016.

sorveglianza.

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