Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16730 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16730 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Stan Adrian Bogdan, nato in Romania il 19/11/1986
avverso l’ordinanza emessa il 16/05/2015 dal Tribunale di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Pier Paolo Emanuele, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Adrian Bogdan Stan ricorre personalmente avverso il provvedimento indicato
in epigrafe, recante il parziale accoglimento di una richiesta di riesame
presentata nell’interesse dello stesso Stan nei riguardi di un’ordinanza emessa
dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria in data 07/04/2015.

Data Udienza: 12/11/2015

Il ricorrente risulta persona sottoposta a indagini in ordine al delitto di
omicidio preterintenzionale: secondo l’assunto accusatorio, egli avrebbe – in
concorso con Alexandru Avram ed Angelo Gabriel Nechifor – cagionato la morte
di Fanel Eredi Tuinea, con atti diretti a ledere l’integrità fisica dello stesso Tuinea.
Dalla ricostruzione dei fatti compiuta nell’ordinanza emessa dal Tribunale di
Reggio Calabria, in particolare, emerge che:

il Tuinea, nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2013, si era intrattenuto
con alcuni amici (il cognato Ionel Ica Olteanu, oltre a Cristian Moraru e

Alexandru Avram, consumando alcolici ma senza entrare nel locale e
pagare i relativi biglietti di ingresso;

dopo l’iniziale assenso dell’Avram all’acquisto di alcune birre presso il bar
della discoteca da parte del Tuinea e del Moraru (i quali gli avevano
rappresentato di essere in attesa dell’arrivo degli altri giovani, chiedendo
anche il permesso di recarsi talora in bagno), il gestore dell’esercizio ed i
suoi collaboratori avevano mutato atteggiamento: in particolare, lo Stan
– barman

del locale –

aveva ripetuto più volte ai soggetti che

stazionavano all’esterno che, se avessero ritardato ancora l’ingresso,
avrebbero dovuto pagare 20,00 euro ciascuno invece dell’ordinario prezzo
del biglietto (pari a 5,00 euro);

lo stesso Stan, alla richiesta del Tuinea di avere una porzione di olive,
aveva reagito dandogli uno spintone e intimandogli di andar via;

mentre i quattro si allontanavano davvero, anche per evitare che le cose
potessero degenerare, l’Avram aveva preso a seguirli, insieme allo Stan
ed al “buttafuori” Nechifor, quindi aveva raggiunto l’Olteanu picchiandolo
con violenza;

mentre il Nechifor e lo Stan si posizionavano in modo tale da impedire agli
altri di intervenire in aiuto dei loro amici, l’Avram aveva continuato a
colpire con calci e pugni sia l’Olteanu che il Tuinea, il quale aveva tentato
di bloccarlo per impedirgli di proseguire nell’azione violenta in danno del
cognato;

rialzatosi da terra ferito e sanguinante (l’Avram lo aveva attinto anche
con una bottiglia di vetro), il Tuinea aveva cercato di scappare per
sottrarsi ai colpi dell’altro, dirigendosi verso una vicina strada statale che
aveva attraversato camminando all’indietro, ma – raggiunto il centro
della carreggiata – era stato investito da un’autovettura in transito,
riportando lesioni mortali.
Il Tribunale, confermate le valutazioni del Gip in ordine alla ravvisabilità del

delitto ex art. 584 cod. pen., nonché circa la sussistenza delle esigenze cautelari

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Fanel Cot) all’esterno di una discoteca gestita dal suo connazionale

contemplate dall’art. 274, lett. a) e c), del codice di rito, sostituiva alla custodia
in carcere, inizialmente disposta a carico dello Stan, la diversa misura degli
arresti domiciliari, con applicazione del braccialetto elettronico.
Con l’odierno ricorso, lo Stan deduce:
– inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen., 110
e 584 cod. pen., nonché vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata
L’indagato rappresenta che vi sarebbe una evidente incoerenza narrativa
nel racconto di due dei presunti testimoni oculari (il Cot e l’Olteanu),
giustificata dal Tribunale in ragione del loro stato di agitazione e della

cattiva padronanza dell’italiano, sì da far ritenere che, a distanza di
qualche giorno, essi furono in grado di esporre più linearmente i fatti,
oltre che con maggiore completezza. Secondo lo Stan, però, le seconde
dichiarazioni dei suddetti non completano le prime, ponendosi invece in
contrasto con quelle, e vi sono discrasie anche nei contributi dei due
testimoni, ove singolarmente considerati, in relazione a quanto sostenuto
dal Moraru.
In particolare, il Cot e l’Olteanu avevano riferito, nell’immediatezza, che
lo Stan non aveva assunto alcun comportamento significativo, prima
dell’ultima fase (quando era stato l’Avram ad aggredire l’Olteanu ed il
Tuinea). L’Olteanu si era poi corretto, ricordando che lo Stan era uscito
dal locale una sola volta ed aveva spintonato il Tuinea, condotta non
collimante con quella descritta dal Moraru (secondo cui lo Stan era uscito
più volte, avvertendo i connazionali della prospettiva di maggiorazione del
prezzo d’ingresso).
Altre divergenze si registrerebbero sulle ragioni dell’aggressione: per il
Moraru, il tutto si era verificato perché essi non avevano pagato la
somma indicata dallo Stan; l’Olteanu aveva invece fatto parola di un
pregresso diverbio fra l’Avram ed il Tuinea, del quale aveva avuto
contezza proprio dal Moraru; il Cot non aveva invece dato spiegazioni di
sorta sulla scaturigine della violenza, limitandosi a sottolineare il carattere
litigioso di chi ne era stato autore.
Il ricorrente fa ancora osservare che i giudici di merito sposano la
ricostruzione offerta in prima battuta dal Cot e dall’Olteanu, secondo cui il
Tuinea si diede alla fuga correndo all’indietro: ma, stando alla stessa
prima versione dei due testi, l’Avrann picchiò prima il Tuinea e poi
l’Olteanu (dunque, il Tuinea non avrebbe avuto ragione di allontanarsi
continuando a tenere d’occhio l’Avram e temendo una immediata
prosecuzione delle violenze in suo danno, visto che l’aggressore era ormai
intento a colpire suo cognato; intanto, è pacifico che lo Stan ed il Nechifor
i

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si limitarono ad impedire agli altri di intervenire). Solo in seguito, il Cot e
l’Olteanu si erano corretti, sostenendo che il Tuinea era stato preso a calci
e pugni dopo una prima aggressione allo stesso Olteanu.
Lo Stan lamenta quindi erronea applicazione della legge penale in punto
di affermazione della gravità indiziaria per il delitto di omicidio
preterintenzionale anche sul piano dell’elemento soggettivo: ad avviso del
ricorrente, il Tribunale «mostra di accordare preferenza a quel recente,
ma di certo non anche esclusivo, orientamento giurisprudenziale

oggettivistica […], secondo la quale appunto la fattispecie
preterintenzionale sarebbe stata caratterizzata dalla combinazione del
dolo rispetto all’evento di percosse o lesioni, con l’attribuzione in via
oggettiva dell’ulteriore evento morte»; tuttavia, sarebbe stato necessario
privilegiare l’interpretazione secondo cui l’elemento psicologico del delitto
preterintenzionale si fonda sul “dolo misto a colpa”, richiedendosi
comunque un “nucleo di prevedibilità in concreto” dell’evento

inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 274, lett. a) e c) cod. proc.
pen., nonché carenze motivazionali in punto di esigenze cautelari
Il ricorrente segnala che – dalla data di presunta commissione del fatto sono decorsi circa 20 mesi, a dispetto della necessità che il pericolo di
recidiva specifica abbia concretezza ed attualità; nel contempo, la
presunta possibilità dello Stan di incidere sulle dichiarazioni dei propri
connazionali, e dunque di condizionare la genuinità delle acquisizioni
probatorie, appare irragionevolmente valorizzata dai giudici del riesame,
come a dipingere un “tipo di autore” basato pregiudizialmente sull’etnia
dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
1.1 E’ necessario sottolineare, infatti, che le censure sollevate dall’indagato
relativamente alle differenti versioni offerte dai soggetti escussi dagli inquirenti
mirano a sollecitare il giudice di legittimità ad una non consentita rivalutazione
delle risultanze istruttorie, risolvendosi in doglianze afferenti il merito. Peraltro,
se è vero che l’Olteanu e gli altri amici della vittima esposero ricostruzioni
apparentemente incerte su alcuni particolari, in specie ove si raffronti il
contenuto dei diversi verbali a loro firma, è anche innegabile come il Tribunale di
Reggio Calabria abbia spiegato in termini del tutto congrui e lineari:

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costituente una “riedizione in forma aggiornata” della risalente teoria

- che il Cot e l’Olteanu non furono inizialmente assistiti da un interprete, oltre ad
essere (nell’immediatezza dei fatti) certamente rimasti sconvolti dall’accaduto;
– che tra i fatti descritti dalle varie persone assunte a verbale vi fu una
innegabile contestualità, al di là del rilievo che taluno ebbe a coglierne o ad
enfatizzarne aspetti peculiari rispetto a quelli ricordati da altri;
– l’assoluta irrilevanza del particolare che il Tuinea fosse stato o meno colpito
dall’Avram prima che questi si scagliasse contro l’Olteanu, ancora una volta per
la strettissima vicinanza temporale fra i diversi accadimenti.

riportate dal Tuinea, in conseguenza dell’investimento, sul lato destro del corpo,
costituisce un dato obiettivo ed innegabile: i giudici del riesame, infatti, scrivono
a pag. 9 del provvedimento oggetto di ricorso che la vittima riportò «fratture
della clavicola destra, della terza, quarta e quinta costola destra, e lesioni
contusive al polmone e al rene destro». Parimenti non controverso è che il
soggetto passivo presentasse (al contempo) «numerose lesioni contusive di tipo
escoriativo poste nella regione frontale, orbitaria sinistra, nasale e mascellare
sinistra, nonché al labbro superiore e al mento, ed una ferita lacero-contusa
posta nella regione parietale sinistra» (v. ancora la motivazione dell’ordinanza
impugnata, a pag. 7). E’ dunque pacifico che il defunto venne attinto su un lato
che, tenendo conto della direzione della macchina investitrice, conferma
l’assunto dei testimoni, secondo cui egli procedeva all’indietro; ed è altrettanto
indiscutibile che, prima e indipendentemente da quell’investimento, il Tuinea
fosse stato picchiato.
Ne deriva che le dichiarazioni dell’Olteanu, del Cot e del Moraru ricevono,
con riferimento al nucleo essenziale, plurimi riscontri obiettivi: ed il problema
non è verificare se, in base alla successione delle condotte violente dell’Avram,
come descritta dai presenti, il Tuinea si fosse trovato logicamente costretto a
camminare di spalle, bensì prendere atto che lo fece davvero. Parimenti
inconsistente è l’obiezione difensiva secondo cui non si comprende se lo Stan
uscì davvero dalla discoteca per annunciare più o meno scherzosamente che il
biglietto sarebbe venuto a costare più del dovuto, oppure se prese a spintonare
proprio il Tuinea: quel che conta è che tutti i testimoni sono comunque concordi
sul rilievo che, nel momento in cui essi si accingevano ad andarsene, vennero
inseguiti non solo dall’Avram, ma anche dal Nechifor e dall’odierno ricorrente.
1.2 In punto di configurabilità del delitto di omicidio preterintenzionale,
peraltro in termini di gravità indiziaria

ex art. 273 cod. proc. pen., deve

ricordarsi che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare
come il reato de quo sia ravvisabile in fattispecie sostanzialmente sovrapponibili
a quella odierna: ad esempio, nel caso di un soggetto sottoposto a percosse e

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Va poi evidenziato che la circostanza della localizzazione delle lesioni

calci, che – nel tentativo di sottrarsi all’inseguimento degli aggressori, i quali
palesavano la perdurante volontà di dare corso ad ulteriori atti di violenza – era
precipitato da un parapetto scavalcato durante la fuga, è stato affermato il
principio di diritto secondo cui «ai fini dell’integrazione dell’omicidio
preterintenzionale, è necessario che l’autore dell’aggressione abbia commesso
atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ed effetto tra
gli atti predetti e l’evento letale, senza necessità che la serie causale che ha
prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di

253744; v. anche Cass., Sez. V, n. 3946/2003 del 03/12/2002, Belquacem, dove
si precisa che deve ritenersi sussistente il nesso causale quando la morte sia
conseguenza di una specifica situazione di pericolo cagionata dalla condotta
intenzionale del reo, volta a percuotere o ledere il soggetto passivo).
Né la condotta del Tuinea di attraversare repentinamente e all’indietro la
strada statale – necessitata dalla condotta aggressiva posta in essere nei suoi
confronti, cui concorse lo Stan con le modalità sopra evidenziate – può assumere
valenza dirimente ex art. 41, comma secondo, cod. pen., atteso che «non sono
cause da sole sufficienti a determinare l’evento quelle che operano in sinergia
con la condotta dell’imputato, sì che, venendo a mancare una delle due, l’evento
non si sarebbe verificato, perché non possono essere qualificate come del tutto
indipendenti dalla condotta del soggetto agente» (Cass., Sez. V, n. 15220 del
26/01/2011, Trabelsi, Rv 249967). Tanto più che gli stessi giudici calabresi
precisano come le risultanze delle indagini preliminari indichino quella strada
statale come l’unica via di fuga di cui, nelle circostanze dell’aggressione subita, il
Tuinea poteva concretamente disporre: a pag. 6 dell’ordinanza impugnata, sul
punto, si fa riferimento anche ad un rilievo fotografico aereo curato dalla polizia
giudiziaria.
1.3 Sul piano dell’elemento soggettivo, ritiene la Corte di richiamare le
indicazioni offerte dalla giurisprudenza di questa stessa Sezione, negli ultimi
anni, in base alle quali si è più volte ribadito – sup erando l’orientamento
secondo il quale sarebbe necessario ravvisare l’elemento psicologico del delitto di
omicidio preterintenzionale in un dolo misto a colpa – che l’art. 584 cod. pen.
«non esige affatto che l’evento più grave sia dovuto a negligenza, imperizia o
imprudenza (atteso che la norma in questione prevede semplicemente che, con
atti diretti a percuotere o ledere un soggetto, se ne causi la morte)»; ciò anche
perché «sarebbe assurdo pretendere cautela (quanto alle conseguenze) da parte
di chi, comunque, mette in atto un’aggressione fisica nei confronti di un terzo».
Del resto, dalle più rilevanti pronunce della Corte Costituzionale in tema di
riferibilità psicologica di un fatto all’agente soggettivo, tra cui la n. 364 del 1988,

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lesioni voluto dall’agente» (Cass., Sez. V, n. 41017 del 12/07/2012, S., Rv

emerge «che il comma 1 dell’art. 27 della Carta fondamentale non contiene un
tassativo divieto di responsabilità oggettiva, dal momento che esso si limita a
postulare la colpevolezza dell’agente in ordine agli elementi più significativi della
fattispecie. Detti elementi vanno individuati di volta in volta. Insomma,
responsabilità oggettiva è concetto ben distinto da quello di responsabilità per
fatto di terzi. Orbene, poiché il delitto è preterintenzionale “quando dall’azione od
omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dal
soggetto” (art. 43 cod. pen.), deve necessariamente giungersi alla conclusione

perseguito dall’agente, è comunque conseguenza della sua condotta e, per
questo, ne aggrava il trattamento sanzionatorio. In altre parole, l’agente
risponde per fatto proprio, sia pure per un evento più grave di quello
effettivamente voluto» (Cass., Sez. V, n. 13114 del 13/02/2002, Izzo).
Nel 2006 si è rilevato che «il delitto di cui all’art. 584 c.p. ha un titolo
proprio ed esclusivo di responsabilità. L’art. 42 cod. pen., fondando la regola di
responsabilità nel dolo, prevede quali eccezioni il delitto preterintenzionale e
colposo. E infine afferma che la legge determina i casi in cui l’evento è posto
altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua condotta. Va perciò
escluso che l’omicidio preterintenzionale sia punibile a titolo di dolo e
responsabilità obiettiva insieme […]. Per intendere la

ratio

normativa, va

innanzitutto osservato che l’art. 43 cod. pen. costruisce l’elemento psicologico
quale causalità morale, in parallelo a quella materiale (art. 40 cod. pen.),
fondandola sul rapporto tra intenzione, costituita da volontà e previsione del
risultato della condotta, ed evento conseguente alla stessa condotta. Definendo
il delitto doloso secondo l’intenzione, l’articolo pone la regola di responsabilità
nella corrispondenza dell’evento, da cui dipende l’esistenza del reato,
all’intenzione di risultato. La corrispondenza permane nel delitto
preterintenzionale, nel quale è superata solo dalla maggior gravità dell’evento.
La corrispondenza è invece esclusa nel delitto colposo nel quale l’evento,
seppure preveduto, è in contrasto con il risultato intenzionale. Ed è per questa
ragione che l’art. 43 cod. pen. detta quali parametri di causalità morale (“quando
l’evento … si verifica a causa di …”) la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia o
l’inosservanza di norme da parte dell’agente LI A riprova strutturale,
l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale è unico, perché ad esso
corrisponde un solo evento, da cui dipende l’esistenza del reato. Tanto trova
conferma, oltre che nella lettera della norma incriminatrice in rapporto al dettato
dell’art. 15 cod. pen., nelle norme sul concorso di reati […]. Secondo l’art. 584
cod. pen., la condotta consiste in atti diretti a commettere taluno dei delitti di cui
agli artt. 581 o 582 cod. pen., mentre l’evento cagionato, da cui dipende

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7

che esso è caratterizzato dal verificarsi di un evento che, benché non sia

l’esistenza del delitto, è la morte».

Ciò comporta che deve intendersi

«sufficiente il tentativo di percosse, men che di lesione, per la punibilità a titolo
di omicidio preterintenzionale (se per es. ad un atto aggressivo, che non attinga
il corpo dell’offeso, segua un infarto). Orbene, se l’agente ha voluto un evento
minore omogeneo, quale conseguenza della condotta ai sensi dell’art. 581 o 582
cod. pen., la progressività del delitto di cui all’art. 584 cod. pen., implica, giusta
la regola dell’art. 15 cod. pen., assorbimento del delitto sussidiario di cui all’art.
581 o 582 cod. pen.; e proprio il riferimento all’art. 586 cod. pen., la cui

psicologico”, lo conferma. L’art. 586 cod. pen., disciplina un delitto “contro
l’intenzione”, perché l’evento mortale, o anche solo lesivo […] è conseguenza
non voluta di un delitto doloso non sussidiario. La disposizione si fonda dunque,
al contrario di quella di cui all’art. 584 cod. pen., sulla disomogeneità dell’evento
lesivo o mortale, rispetto al risultato prefigurato e voluto dall’agente, tant’è che
rinvia all’art. 83 cod. pen., che disciplina l’aberrazione, e a sua volta stabilisce
bensì che l’agente risponda a titolo di colpa del delitto qualificato dall’evento
diverso, quando il fatto è preveduto come delitto colposo, ma conferma il
concorso di reati, se l’agente ha cagionato anche l’evento voluto. L’art. 586 cod.
pen., dunque, non si rifà alla regola dell’art. 15 cod. pen., ma a quella del
concorso di reati, perché i due eventi eterogenei, ovvero rapportabili a norme
che disciplinano diversa materia, implicano ciascuno un proprio elemento
psicologico. Viceversa, l’art. 584 cod. pen. non richiede un ulteriore elemento
psicologico oltre il dolo di delitto sussidiario, perché l’evento da cui dipende
l’esistenza del reato progressivo è unico» (Cass., Sez. V, n. 13673
dell’08/03/2006, Haile).
La sentenza appena richiamata, cui si ritiene di prestare completa adesione,
consente pertanto di escludere la possibilità di ricavare dalla disciplina dettata
dall’art. 586 cod. pen. regole ermeneutiche ex se applicabili anche per la corretta
interpretazione della norma di cui al precedente art. 584: non a caso, la
successiva giurisprudenza di questa Sezione – anche tenendo conto delle
indicazioni offerte medio tempore dal massimo organo di nomofilachia sulla
figura criminosa prevista dall’anzidetto art. 586 (Cass., Sez. U, n. 22676 del
22/01/2009, Ronci) ribadisce che il reato di omicidio preterintenzionale «è
costituito dal fatto di chi ponendo in essere atti diretti a percuotere o ledere una
persona, ne cagioni la morte, la quale rappresenta quindi un quid pluris rispetto
all’evento effettivamente perseguito. E’ sufficiente pertanto, ai fini della
sussistenza dell’ipotesi criminosa di cui all’art. 584 cod. pen., che esista un
rapporto di causa ed effetto tra i predetti atti e l’evento morte, mentre proprio
l’azione violenta (che può essere costituita anche da una spinta), estrinsecandosi

8

disposizione parallela è tratta a conforto dalla teoria del “doppio elemento

in un’energia fisica, più o meno rilevante, esercitata direttamente nei confronti
della persona, ove consapevole e volontaria, è rivelatrice della sussistenza del
dolo di percosse o di lesioni, per cui, quando da essa derivi la morte, dà luogo a
responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale […]. L’elemento psicologico
del delitto preterintenzionale non è infatti costituito da dolo misto a colpa, ma
unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione
che la morte dell’aggredito sia causalmente conseguente alla condotta
dell’agente, il quale dunque risponde per fatto proprio, sia pure in relazione ad

legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorio […], senza che,
conseguentemente, debba accertarsi se l’evento morte fosse prevedibile secondo
il parametro legale dettato per la colpa, poiché nell’omicidio preterintenzionale la
prevedibilità dell’evento morte è insita nell’elemento psicologico del reato contro
l’incolumità fisica (percosse o lesioni) che il reo ha voluto realizzare» (Cass., Sez.
V, n. 16285 del 16/03/2010, Baldissin).
La tesi prospettata dal ricorrente, che auspica un sostanziale ritorno ad
approdi esegetici da tempo superati, si rivela dunque manifestamente infondata,
oltre ad essere formulata in termini del tutto generici: a tacer d’altro, tenendo
conto della chiara partecipazione dello Stan alla condotta brutalmente violenta
dell’Avram (prima mediante l’inseguimento, quindi impedendo agli astanti di
intervenire in ausilio dell’Olteanu e dello stesso Tuinea), l’indagato non spiega
perché la sua condotta non dimostrerebbe comunque che egli versasse – quanto
meno – in colpa circa la produzione dell’evento morte.
1.4 Quanto infine al tema delle esigenze cautelari, appaiono correttamente
valorizzati dal Tribunale di Reggio Calabria elementi che risultano ictu ocull
indicativi del pericolo di commissione di nuovi reati della stessa specie da parte
dello Stan, in ragione dell’estremo contenuto di violenza che ebbe a
caratterizzare l’aggressione cui egli concorse e della assoluta banalità dei motivi
che occasionarono la condotta in rubrica (avendo l’indagato, unitamente ai
complici, inteso rivalersi verso alcuni connazionali che avevano semplicemente
ritenuto di consumare fuori dalla discoteca le birre che avevano comunque
acquistato presso il locale, onde risparmiare cifre assai modeste). Nel
contempo, l’ordinanza impugnata chiarisce che il ricorrente si allontanò subito
dal luogo dove il Tuinea era stato investito, non prestandogli alcuna forma di
soccorso, mentre l’altro concorrente Nechifor si trattenne con l’Olteanu al solo
fine di minacciarlo di non dire nulla alle forze dell’ordine sui fatti che avevano
preceduto l’investimento, ripetendo quegli stessi comportamenti intimidatori
anche per telefono, nei giorni successivi.

9

un evento diverso da quello effettivamente voluto che, per esplicita previsione

E

,,,

Dinanzi a tali circostanziate argomentazioni, che peraltro confermano la
descrizione di un comportamento unitario e condiviso dai responsabili
dell’aggressione, anche in vista della loro preminente volontà di sottrarsi alle
conseguenze delle condotte realizzate, le censure esposte nel ricorso rimangono
del tutto generiche.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile

favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00, così
equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 12/11/2015.

alla sua volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al versamento in

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